Migranti. Il mondo alla rovescia

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1997; invitato a parlare a un convegno su “Le migrazioni del terzo millennio”, Umberto Eco disse che “noi oggi, dopo un XIX secolo pieno di immigranti, ci troviamo di fronte a fenomeni incerti. Oggi, in un clima di grande mobilità, è molto difficile dire se certi fenomeni sono di immigrazione o di migrazione […] le immigrazioni sono controllabili politicamente, le migrazioni no; sono come i fenomeni naturali […] i fenomeni che l’Europa cerca ancora di affrontare come casi di immigrazione sono invece casi di migrazione. Il Terzo Mondo sta bussando alle porte dell’Europa, e vi entra anche se l’Europa non è d’accordo […] se vi piace, sarà così, e se non vi piace sarà così lo stesso“.

Sono passati ventiquattro anni da allora, Umberto Eco non c’è più: lo Stato (e l’Unione europea) non sembra(no) aver preso sul serio le osservazioni del semiologo piemontese, e ancora si ostina(no) a rispondere con ciabatte e manganelli, per citare l’incipit di un bel libro di Maurizio Veglio (La malapena), uscito in questi giorni.

Li vedo i migranti, mentre l’estate attraverso a piedi il confine tra Piemonte e Francia, dove sono nato, dove ogni anno incontro boschi di larici e dove poi anche la vegetazione si fa più rada, quando si sale di quota; li vedevo anche d’inverno, quando ancora si poteva sciare, mentre in ciabatte (di nuovo loro) affondavano furtivi nella neve, e spesso ci crepavano. A volte qualcuno li aiuta, in altri casi c’è chi avvisa la gendarmerie.

La rotta alpina, quella che separa Claviere (ultimo Comune italiano prima del confine) da Briançon, attraverso il passo del Monginevro. Ne ha scritto Maurizio Pagliassotti nel 2019 (Ancora dodici chilometri); un libro necessario.

Conosciamo i nomi di chi negli anni si è dato da fare, ha scritto o ha fatto; uno che non si è fermato mai si chiama Cédric Herrou, agricoltore che ha fatto a spallate con l'(in)giustizia francese. Nel 2018 il Conseil constitutionnel ha escluso l’applicabilità di disposizioni del Ceseda nel caso di atti compiuti per fini umanitari e disinteressati. Proprio qui su Ristretti a luglio di quell’anno un bel documento dell’UCPI ricordò quel caso, il ruolo delle Corti costituzionali per la difesa dei Diritti, non solo del Diritto, gli opportuni distinguo eurounitari tra soccorso, assistenza e favoreggiamento. All’epoca, il Ministro dell’Interno era Matteo Salvini.

Dicembre 2018, in sala (ancora si andava al cinema) esce Dove bisogna stare, uno straordinario docufilm di Daniele Gaglianone, che attraverso le testimonianze di donne (anticonfine per eccellenza e costituzione), diverse per età e percorsi di vita, ci mostra il volto di un Paese che non si gira dall’altra parte, e praticando (non solo predicando) solidarietà prova ad affrontare i tanti problemi che un fenomeno come la migrazione produce.

In quella storia, bellissima, ci sono anche Gian Andrea Franchi e Lorena Fornasir, marito e moglie; lui ha 84 anni, è un ex insegnate di filosofia, lei ne ha 67, ed è psicoterapeuta. Sono i fondatori della Linea d’Ombra Odv, associazione triestina nata nel settembre 2019 per aiutare i migranti della rotta balcanica e portare aiuti ogni mese anche in Bosnia.

E siamo all’oggi. All’alba del 23 febbraio la Digos triestina perquisisce l’abitazione della coppia, sequestrando telefoni, computer, e documentazione della Onlus; contemporaneamente, vengono eseguiti numerosi arresti, a carico di cittadini stranieri. Per quanto si legge dalle pagine de Il Piccolo, si procederebbe per associazione finalizzata al favoreggiamento a fine di lucro dell’immigrazione clandestina.

Non conosco le carte, e mi guardo bene dal dire, ma alcune osservazioni possono farsi, sul metodo.

La prima; in tempo di notte si fanno gli arresti (si pensa che serva ad impedire la fuga…); ma se non si procede in tal senso, era necessario agire così per due persone anziane e del posto, che certamente non sarebbero fuggite, e che tutto quel che fanno promuovono e rendono pubblico?

Ed ancora (e ancor più grave), leggiamo sul giornale triestino un virgolettato del Procuratore De Nicolo, che speriamo smentisca, secondo cui “la Procura criminalizza i comportamenti che rivestono reato, cioè il favoreggiamento all’immigrazione clandestina con finalità di lucro. Se tra gli indagati c’è chi dimostrerà che ha operato non a scopo di lucro, ma umanitario, e non sapeva che dietro al proprio lavoro volontario di assistenza filantropica si svolgevano attività illecite la posizione sarà ovviamente archiviata”.

Così, par di capire, si usa un mezzo di ricerca della prova onerando gli indagati di dimostrare

la loro estraneità agli addebiti provvisori, che pure si ipotizzano nei loro confronti.

Forse la Corte EDU potrà dire qualcosa; intanto lo diciamo noi. Nessuno dubita della possibilità di utilizzo dello strumento, legalmente previsto, ma forse l’ingerenza nella vita privata degli indagati non era davvero in questo caso necessaria in una Società democratica, per usare le parole del giudice alsaziano; senza forse, invertire l’onere probatorio è semplicemente contrario alle regole processuali, giacché così si sovverte l’assiologia del sistema su cui si regge il codice di rito e, ancor prima, il precetto costituzionale di cui all’art.27, comma 2.

Allora stiamo dove bisogna stare, foss’anche in minoranza, e pazienza se qualcuno se ne avrà a male.

Del resto anche Giorgia Meloni (non esattamente una fan di chi assiste gli immigrati, ma molto di moda di questi tempi), citando Brecht, ha di recente giustificato la sua scelta politica controcorrente al mainstream, affermando che “ci sedemmo dalla parte del torto perché tutti gli altri posti erano occupati”; con la speranza che ci siano ancora sedie vuote e libere, dove appoggiare il Diritto e i Diritti, sappiamo andare controcorrente, anche se qualcuno suona all’alba alla porta di casa.

Michele Passione, da Ristretti Orizzonti

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