La mancata elezione del candidato sostenuto da Antonio Samaras, attuale primo ministro greco e leader del partito conservatore Nuova Democrazia, alla carica della presidenza ellenica nel corso delle tre votazioni disponibili secondo i dettami della Carta Costituzionale, ha determinato l’automatica indizione di elezioni anticipate.
Fra meno di una settimana quindi, i cittadini greci saranno chiamati alle urne per scegliere la composizione partitica del Parlamento unicamerale di Atene. L’attesa per il risultato finale è alta in tutta Europa, dato che le prospettive di vittoria per Syriza, la composita forza di sinistra guidata dal brillante Alexis Tsipras, sono decisamente alte.
Questo ha determinato il diffondersi di due opposti, ma ugualmente mal calibrati, sentimenti. Da un lato, troviamo le forze garanti della più stretta aderenza ai dettami dell’ideologia neo-liberista. Come sottolineato nelle interviste che hanno rilasciato nelle ultime settimane Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione Europea, e la cancelliera tedesca Angela Merkel, il voto democratico non può mettere in discussione gli accordi precedentemente assunti e le linee guida di politica economica. Questa visione fa implicito riferimento ad un’idea di democrazia strettamente protetta, nel senso di controllata, dove tutte le forze presenti in Parlamento con possibilità di assumere incarichi governativi condividono una comune visione iper-liberista in campo economico, discutendo invece animatamente sulla liberalizzazione delle droghe leggere e sui matrimoni omosessuali. Sul versante opposto, si situa invece tutta quella composita galassia di forze e persone che, anche rafforzate nelle proprie convinzioni dalle dichiarazioni sopracitate, guardano a Syriza come il riaffermarsi in Europa di una forza squisitamente di sinistra in grado di rompere l’asfissiante e nauseante continuità alla quale ci siamo abituati.
A costo di non essere molto popolare, sento di dissentire da entrambe le interpretazioni. Per essere più preciso, le due vulgate mi sembrano affette dallo stesso difetto: una sopravvalutazione del carattere di radicalità presente nella forza di Alexis Tsipras. La possibilità di una dettagliata analisi del programma presentato da Syriza e del suo quotidiano operato politico è ovviamente non pensabile qui. Ciò detto, mi sembra ugualmente facile ipotizzare che chiunque possieda i più elementari strumenti di erudizione politica possa convenire con me nel localizzare Syriza all’interno di quella straordinariamente vasta ed eterogenea famiglia politica che rientra sotto la dizione di social-democrazia. Come noto, l’elemento che più contraddistingue le forze partitiche che derivano ispirazione, più o meno direttamente, dal pensiero dell’economista britannico John Maynard Keynes, risiede nel perseguire una generale ridistribuzione di ricchezza a favore delle classi lavoratrici, pur all’interno di una stretta continuità di sistema. Inoltre, negli ultimi mesi Syriza ha mosso preoccupanti, almeno dal mio punto di vista, passi in direzione di un’ulteriore moderazione del suo programma. Fornendo rapidamente un pratico esempio, si può evidenziare come Syriza abbia ormai pienamente accettato l’idea di una rinegoziazione del Memorandum con la Troika, a fronte dell’annunciato completo stralcio.
Premesso tutto questo, non ritengo affatto il voto di domenica prossima in Grecia poco significativo. In realtà, mi sembra vero il contrario. A patto ovviamente che Syriza possa risultare la prima forza. A questo punto si potrebbe presentare una situazione interessante per almeno due ragioni. La prima è che la forza di Tsipras, attestata poco sopra il 30% nei sondaggi, vanta buone possibilità di raggiungere una maggioranza assoluta di seggi nel futuro Parlamento. A questo potrebbero contribuire quattro fattori: la crescente polarizzazione dei votanti attorno alle due principali formazioni (Syriza e Nuova Democrazia), la forte frammentazione partitica, la presenza di numerose circoscrizioni con un limitato numero di seggi in palio, e soprattutto il super-bonus di 50 seggi da assegnare al partito più votato.
In siffatta situazione, ed introduciamo adesso il secondo elemento, risulterebbe chiaro quanta mano libera la super-liberista Europa sarebbe disposta a concedere ad un governo blandamente keynesiano di un piccolo paese della sua provincia. Se la risposta dovesse essere il tentativo di disarcionare il governo monocolore di Syriza (oppure la coalizione tra questa e la forza di centro-sinistra To Patami) attraverso una destabilizzazione interna della Grecia, il segnale per tutti gli altri sarebbe chiarissimo: neanche moderati social-democratici sono più degni di cittadinanza in Europa.
*Gianni del Panta è un attivista, studioso di Scienze politiche.
Gianni Del Panta
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