Israele a Expo, quella irresistibile voglia di muro

Expo 2015 ospiterà un padiglione dello Stato di Israele. La sua particolarità sarà di essere in verticale: l’idea originaria consiste nel trasporre un pezzo di campo agricolo da orizzontale a verticale e dimostrare come per nutrire il mondo si possa occupare poco spazio. La realizzazione di questa idea è una parete verticale, irrigata con un sistema a goccia controllato da un computer, che non sarà una finta decorazione ma una superficie verde veramente coltivata, con pomodori e cereali.

Chiunque sia minimamente informato sulla realtà dell’occupazione israeliana, non può non vederci la rappresentazione del muro fatto costruire per isolare come ghetti i territori palestinesi. La spiegazione ufficiale parla della trattazione della storia dell’agricoltura in Israele, raccontando come siano stati convertiti terreni apparentemente improduttivi, fino ad arrivare alle più avanzate tecnologie oggi in uso. Dall’organizzazione di Expo 2015 Israele è rappresentato come un laboratorio agricolo su scala internazionale in grado di esportare conoscenza e tecnologia, avendo saputo coltivare sulla terra rocciosa, fatto crescere piante nel deserto, inventato nuovi metodi di irrigazione e migliorato la qualità delle sementi.

No Expo IsraeleMa cosa c’è dietro lo sviluppo agricolo di Israele? L’organizzazione israeliana Kerem Navot in uno studio documenta che dal 1997 a oggi l’area dei terreni agricoli connessi alle colonie insediate in Cisgiordania è aumentata del 35% e ha fornito una forma di confisca delle terre molto meno onerosa della costruzione delle unità abitative. L’ONU ha rivelato in un rapporto del 2012 che solo una famiglia palestinese su quattro può essere considerata in una situazione di sicurezza alimentare, a causa della politica di occupazione, attuata con impedimenti alla circolazione di persone e di merci. C’è inoltre la questione delle risorse idriche: Amnesty International ha denunciato in passato che la politica di appropriazione illegale dell’acqua nei territori occupati e la distruzione di infrastrutture idriche è servita anche come mezzo per l’abbandono forzato delle terre da parte dei palestinesi.

La partecipazione privilegiata che Expo 2015 ha riconosciuto allo stato di Israele si accompagna alla partnership riconosciuta a Selex, azienda del gruppo Finmeccanica (con un importante stabilimento anche a Campi Bisenzio), produttrice di sistemi di difesa e fornitrice dell’esercito israeliano, che svela l’intreccio di interessi sottostante. Selex è anche titolare della sicurezza dell’evento. “Nutrire il pianeta” con i missili? L’operazione di “green washing” messa in atto dalle multinazionali che partecipano a Expo 2015 per propagandare una inesistente etica di comportamento e di contributo allo sviluppo alimentare ed energetico del pianeta è in questo caso costruita da uno Stato, come normalizzazione delle proprie politiche.

In varie regioni italiane sta montando una campagna contro la partecipazione di Israele all’Expo, inserita come svelamento del contesto di ipocrisia che circonda l’evento in generale. Anche in Toscana realtà e soggetti che si mobilitano accanto al popolo palestinese hanno iniziato a muoversi con alcune iniziative di presentazione in cui sono state spiegate le reali motivazioni della partecipazione israeliana e i rapporti con lo Stato italiano ed ambienti imprenditoriali interessati a concludere affari, in particolare nel settore militare. Una prossima presentazione è prevista il 21 marzo allo spazio occupato della Polveriera a Firenze (http://lapolveriera.blogspot.it/2015/02/know-your-enemies-expo-2015.html).

Fields of tomorrow è il nome del padiglione israeliano a Expo 2015, proprio di fronte all’area destinata ai padiglioni italiani, 2.370 mq che dopo l’evento contribuiranno insieme agli altri padiglioni a lasciare in eredità al territorio un’enorme distesa di cemento, laddove fino a poco tempo fa c’erano campi coltivati. Forse era meglio chiamarlo Fields of yesterday.