Il posto degli alberi in città: ieri e oggi

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Firenze è fra i quattro Comuni italiani di oltre 250.000 abitanti con densità di verde urbano a gestione pubblica inferiore alla media nazionale (7,5% VS 9,3%); la città ha una disponibilità di verde urbano pari a 20,7 metri quadrati per abitante, nettamente sotto la media nazionale che è di 93,6 (Fonte: ISTAT, 2011). Ancora più rilevante è il fatto che Firenze è uno dei pochi Comuni nei quali non si è registrato incremento.

L’Amministrazione comunale cerca in ogni modo di negare questa realtà (altrimenti sarebbe costretta a dedicare spazi sottraendoli a usi più remunerativi): nelle tavole del Regolamento Urbanistico Comunale si censisce come verde pubblico ogni minimo frammento alberato o cespuglioso, come in Viale Fratelli Rosselli microaiuole spartitraffico dotate di un unico carpino fastigiato e la stessa Torre della Serpe, corredata com’è di due grosse ceppaie d’oleandro.

TramFiVoltaE’ dunque evidente la scarsa considerazione goduta dalle formazioni arboree urbane presso i nostri amministratori locali e realizzatori di opere pubbliche, che le considerano beni accessori, residuali e rinunciabili, infastiditi dal loro lungo ciclo vitale, inconciliabile con l’accelerazione della vita moderna. Non è sempre stato così. Certo, l’Italia centro-settentrionale vanta un precoce primato continentale di urbanità. Gran parte della popolazione alla fine del XIII secolo abitava in città murate, dove c’era ben poco spazio per alberature; a Firenze lo stesso olmo secco miracolato da San Zanobi in piazza San Giovanni non fu mai ripiantato.

La cinta muraria del XIV secolo incluse nella città parchi privati e spazi agricoli, in parte ancora conservati ai tempi in cui Firenze divenne capitale del Regno, come ben illustrato nella mostra “Una Capitale e il suo Architetto” all’Archivio di Stato, ma spazi alberati permanentemente adatti al pubblico passeggio sino a quel momento furono limitatissimi: il parterre fuori Porta San Gallo, un’antinaturalistica fila di gelsi, acacie e ailanti in prossimità delle mura, l’alberata del prato d’Ognissanti, il vialone del Poggio Imperiale, il Giardino dell’Orticoltura dal 1868. Firenze capitale ebbe due grandi piazze alberate interne alle mura, D’Azeglio e Indipendenza. Le grandi piazze degli ordini predicatori rimanevano programmaticamente prive di vegetazione.

L’architetto Giuseppe Poggi, al posto delle mura demolite contro il suo parere, progettò un sistema di larghi viali di circonvallazione, delle cui sezioni una piccola porzione era destinata al traffico veicolare, la maggior parte a passeggio pubblico; il quadruplice filare d’alberi d’alto fusto, accuratamente progettato anche dal punto di vista botanico, con specie decidue vicino ai fabbricati e sempreverdi più a distanza, non fu mai realizzato.

Nella Firenze tornata provinciale furono piantati duplici filari arborei lungo i nuovi viali, caratterizzandone ogni singolo tratto con specie diverse, anche esotiche. La piantagione nei nuovi quartieri esterni alla cerchia dei viali proseguì sino agli anni’30 del XX secolo, anche per effetto del Piano Regolatore Generale del 1915-24. La tramvia fu valutata incompatibile con le sistemazioni arboree del Viale dei Colli dallo stesso Poggi, che pretese modifiche progettuali, non accolte, alla linea Firenze-Greve; le perplessità di natura botanica furono smentite dalla constatazione di come i platani di Viale Volta non venissero danneggiati dai fumi della linea Firenze-Fiesole (divenuta elettrica dal 1890, prima in Italia), facendo emergere i veri motivi (connessi alle pretese di distinzione sociale delle nuova borghesia poggiolina) delle resistenze al passaggio in zona signorile di un mezzo di trasporto così plebeo (allora anche merci). Altre linee s’inserivano su viabilità storica non alberata, non impattando dunque coi viali.

Come accade per i boschi coetanei e monoplani, anche per le piantagioni arboree urbane è richiesto un piano di sostituzione al termine del ciclo vitale. Il turno non fu precisamente fissato dai realizzatori iniziali, che si resero presto conto del modesto accrescimento degli esemplari, dovuto alle condizioni ambientali sfavorevoli. Firenze ha un clima poco piovoso, con siccità estiva ricorrente, inoltre le modeste aiuole non pavimentate lasciate intorno alle piante si sono presto colmate di una nociva polvere calcarea. A posteriori si può valutare in 100 anni la maturità delle specie a lento accrescimento come tiglio e leccio. In realtà alcune fitopatie hanno costretto alla sostituzione anticipata delle specie più cagionevoli, come olmo e ippocastano, e all’introduzione di specie più rustiche, come il bagolaro. Nel viale Belfiore, un tempo tutto a tiglio, è presente una seconda generazione arborea, costituita da pino domestico. Una seconda generazione di tigli è stata ripiantata in un tratto di Viale Strozzi, in corrispondenza della ciclopista, all’interno di aiuole erbose efficacemente protette da cordoli. L’espansione urbana del secondo dopoguerra è stata accompagnata dalla piantagione di nuovi viali e piazze alberate in periferia, impiegando il pino domestico, a imitazione delle città marittime, il leccio e le specie decidue già usate in precedenza.

La senescenza degli esemplari, le fitopatie e soprattutto la volontà politica di dar spazio alla mobilità pubblica e privata sempre più intensa e a parcheggi, ha tolto progressivamente spazio alle alberature, alcune delle quali sono state sostituite piantando troppo a ridosso delle costruzioni, costringendo così a ripetute e drastiche potature già nel prossimo avvenire e accorciando il ciclo vitale delle stesse piante. In molti casi gli esemplari espiantati sono stati sostituiti con pari o maggior numero d’individui della stessa specie, ma in condizioni inidonee all’accrescimento (come i lecci aduggiati senza speranza lungo Via Caduti di Nassiria) o di cultivar fastigiate, destinate a sviluppare anche da adulte una chioma stretta, per non disturbare il traffico veicolare, con preferenza per il perastro e per il carpino bianco. Nei giardini pubblici, nelle piazze e lungo le strade non mancano stucchevoli assortimenti di ciliegi giapponesi e di altre piante esotiche, ad abbellire, senza riuscirci, inemendabili speculazioni edilizie.

Le funzioni di mitigazione climatica, d’intercettazione della pioggia e di depurazione dell’aria sono proporzionali alla superficie coperta dagli alberi, non al loro numero, dunque le distanze insufficienti dai fabbricati e le forme fastigiate comportano una ridotta fornitura di servizi ambientali. Il caso che colpisce maggiormente l’opinione pubblica è la sostituzione delle alberature, anticipata (20 o 30 anni prima del turno), con specie diverse e con sesti d’impianto discutibili, lungo gli assi viari prescelti per la messa in opera delle linee tramviarie nn. 2 e 3. Anche ulteriori linee previste dal Regolamento Urbanistico Comunale comporteranno la perdita di alberature importanti; nel caso della linea n.5 si tratta di un filare di pino domestico e leccio lungo Via Mariti, giunto alla metà del suo ciclo vitale, e dei bagolari lungo Viale Redi.

Accade anche che ripiantumazioni promesse a seguito di lavori infrastrutturali e tecnicamente possibili, non vengano eseguite per il venir meno dello strumento finanziario che le presuppone; è il caso, per esempio, del viale Fratelli Rosselli, lato opposto alla tramvia, ancora tristemente vuoto.

La casistica più preoccupante si verifica tuttavia in occasione della realizzazione di volumi interrati destinati a parcheggio o ad altri usi, che comporta l’interruzione dei flussi meteorici e la posa in opera di pellicole di terra inerbite, permanentemente inidonee a ospitare una vegetazione arborea.

Numerose sono le criticità evidenziate, mentre una pianificazione territoriale di senso contrario assegnerebbe un posto agli alberi come invariante strutturale, riconoscendo come prioritarie le funzioni di mitigazione climatica, depurazione dell’aria, regimazione delle acque meteoriche, connettività ecologica e miglior qualità della vita dei residenti e degli utilizzatori della città, sottraendo semmai spazi all’edilizia residenziale privata, alla mobilità motorizzata individuale e alla sosta degli autoveicoli, mai agli ecosistemi, com’è invece purtroppo accaduto per il Viale lungo l’Affrico (torrente coperto ai sensi del Piano Regolatore Generale del 1962-64).

*Paolo Degli Antoni, dottore forestale, Comitato Ex Fiat Belfiore-Marcello

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Paolo Degli Antoni

Paolo Degli Antoni, dottore forestale, Comitato Ex Fiat Belfiore-Marcello

1 commento su “Il posto degli alberi in città: ieri e oggi”

  1. Antonio Bianchi

    In questi giorni il progetto di sostituzione anticipata dei pini domestici sul Viale Belfiore si sta realizzando. I pini vengono abbattuti e verranno sostituiti con tigli, come richiesto dalla Soprintendenza già nel 2007 in ossequio all’originale alberatura tardo-ottocentesca. Alcuni tigli erano già stati piantati sotto copertura e verranno integrati con nuovi giovani esemplari. Un lavoro fatto bene richiederebbe ampi spazi di terreno libero intorno alle piante, anche a costo di ridurre i posti auto

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