Alberature, verde e vivibilità urbana: è possibile una città 3, 30, 300?

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Cecil Konijnendijk è un ecologo forestale nato in un villaggio rurale olandese: ha studiato scienze forestali all’Università di Wageningen e si è addottorato all’Università della Finlandia orientale. Si occupa di forestazione urbana, che ha insegnato in Danimarca, Svezia, Columbia britannica, Belgio, Cina, ed è noto principalmente per il suo modello 3, 30, 300, secondo il quale ogni cittadino avrebbe diritto a vedere tre alberi da casa, scuola e lavoro, a vivere in un rione in cui il trenta per cento del terreno è coperto da vegetazione arborea e a disporre di uno spazio pubblico alberato di qualità entro trecento metri. Lo slogan è facilmente memorizzabile e comunicabile, sebbene la sua divulgazione sia talvolta accompagnata da esempi non particolarmente convincenti, come i pavimentatissimi superblock di Barcellona. Ma al di là dell’efficacia comunicativa, è realistica la regola proposta?

Le città storiche europee, specialmente quelle che sono state cinte da mura, palizzate o fossati, sono per la maggior parte edificate e il suolo pubblico è destinato principalmente alla viabilità; la densità funzionale e il primato dell’architettura sono le loro caratteristiche programmatiche più apprezzabili.

Il progetto Environmental Insights Explorer monitora, tra l’altro, la copertura arborea, indicatrice soprattutto della potenziale mitigazione climatica; di seguito lo si utilizzerà tenendo conto della carriera di Cecil Konijnendijk, prendendo ad esempio tre città danesi: Copenaghen, AAlborg e Vejle, ove la copertura arborea dell’area urbana è rispettivamente del 20, 17 e 20% ed è particolarmente carente nei rispettivi centri storici di antica origine.

Ma persino in continenti ove l’urbanizzazione è stata tardiva, i dati non sono troppo diversi, per esempio la città di Vancouver ha una copertura arborea del 26% e una recente ricerca eseguita a Melbourne giunge alla conclusione che l’auspicato 30% non si possa raggiungere neppure con l’accanita adozione di accorgimenti tesi alla massimizzazione della copertura, evidenziando peraltro inconvenienti prevedibili in caso di scelta di soli alberi di prima grandezza. Il numero di piante, indicatore frequentemente utilizzato nei piani e nei bilanci comunali del verde, è utile per valutare la biodiversità dell’alberatura urbana, che è bene sia composta da specie diverse, con esclusione delle aliene invasive, senza la prevalenza troppo netta di una o di poche, ma non è utile per valutare gli effetti complessivi di mitigazione climatica e depurazione dell’aria.

Come stanno le tre più popolate città toscane? Nei centri abitati di Firenze, Prato e Livorno la copertura arborea è rispettivamente del 24, 12 (9% secondo l’applicazione i-Tree Canopy provata dal Comune) e 15% e il verde pubblico per abitante rispettivamente metri quadri 26,7, 28 e 12,8.

Alcune aree sono particolarmente povere di copertura arborea, così il centro di Firenze interno alla prima cerchia muraria comunale e il pentagono buontalentiano a Livorno, mentre a Prato la demolizione dell’antico ospedale, sostituito da un parco comunale in corso di realizzazione, incrementerà il valore di copertura. Sono quasi prive di copertura arborea le maggiori aree commerciali e industriali, (che si rivelano in estate isole di calore) ma lo sono anche i seminativi rimasti inclusi nel tessuto urbano a Prato e soprattutto i diciotto ettari un tempo agricoli, artificializzati per far posto al nuovo ospedale e agli altrettanto estesi parcheggi (peraltro l’autobus LAM 1+ serve l’ospedale con una corsa ogni 16 minuti, frequenza decisamente insufficiente in orari di punta). Il programma Prato Forest City incrementerà del 28% la superficie coperta complessiva, allineandola a quella di Livorno.

Villa Maria e dintorni a Livorno nel 1954 e nel 1975

A Livorno nel secondo dopoguerra furono densamente edificate ampie porzioni di ombrosi parchi privati, perdendo irrimediabilmente aree di reperimento per verde pubblico urbano a dote dei moderni quartieri; simile destino ebbe il Parco Demidoff a Firenze San Donato.

Gli strumenti urbanistici vigenti, più ancora dei piani del verde approvati (es. Livorno e Prato menzionati da Isprambiente) o annunciati, sono decisivi sul futuro della copertura arborea, se ispirati al rapporto del Club di Roma “I limiti dello sviluppo” del 1972, anziché all’abusato principio della massimizzazione dello sviluppo immobiliare e infrastrutturale.

A Firenze Novoli la maggior copertura arborea, spontanea, si registra nelle aree Nucci, seminativi più o meno arborati abbandonati da decenni, riconquistati dalla vegetazione spontanea, l’edificazione dei quali minimizzerà le principali aree di reperimento per nuovo verde pubblico nel rione; anche in altri quartieri si osservano piccoli boschi di neoformazione registrati da Urban Atlas Copernicus (cfr foto di copertina); la più estesa area di reperimento per un corridoio di connessione ecologica è quella delle ex Officine Grandi Riparazioni, gravata da previsioni edificatorie per 54000 metri quadrati e confinante con le costruende linea tramviaria e strada Pistoiese-Rosselli. A Livorno i cittadini protestano contro la prevista nuova edificazione di terreni agricoli abbandonati riconquistati dalla vegetazione spontanea, non vedendo accolte le loro pur propositive osservazioni formali e venendo anzi apostrofati a mezzo stampa dagli amministratori con frasi sprezzanti e svalutanti. A Prato si sperimenta la depavimentazione di aree in precedenza impermeabili, con operazioni d’interesse anche scientifico, per aumentare la ritenzione di acqua meteorica e incrementare la copertura arborea. Rinunciare a qualche intervento infrastrutturale ed edilizio garantisce la salvaguardia di spazio pubblico suscettibile di avere una copertura arborea.

Pocket Garden

Il discorso cambia se si prendono in considerazione i territori comunali per intero. Comuni piccoli e densamente abitati hanno copertura arborea e valenza naturalistica limitate; a Firenze la superficie boschiva interessa quasi l’8% del territorio, pochi ettari di palude e di bosco sono ricompresi nella rete ecologica europea Natura 2000 e le due ANPIL sono piuttosto urbanizzate. A Prato la superficie agricola (seminativo e prato 38,5%) è maggiore di quella boschiva, ma ci sono siti Natura 2000, due collinari boschivi nelle rispettive ANPIL e uno palustre nella piana. Il grande Comune di Livorno è in prevalenza boscato e comprende una riserva naturale statale, una regionale, un’isola del Parco Nazionale dell’Arcipelago toscano, tutto questo in siti Natura 2000, oltre alle aree marine protette.

Dei tre casi di studio toscani, Livorno è l’unico comparabile coi grandi Comuni svedesi di Stoccolma (40%) e Göteborg (47%) in termini di copertura arborea a scala comunale, peraltro condividendo con quelli la carenza di copertura arborea nelle parti più antiche delle città.

La ricchezza di verde rurale non esime dal fare ogni possibile sforzo per garantire vivibilità climatica e qualità dell’aria all’interno delle città ove si svolge la vita della maggioranza della popolazione, non trascurando perciò la regola 300, i metri di distanza entro i quali si possa trovare uno spazio pubblico alberato che non sia mero arredo urbano o un pocket garden.

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Paolo Degli Antoni

Paolo Degli Antoni, dottore forestale, Comitato Ex Fiat Belfiore-Marcello

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