Scorie (nucleari) a perdere?

Ritorna l’incubo del nucleare? Forse gli italiani l’avevano archiviato troppo in fretta, dopo la vittoria nel referendum del 2011: che del resto rimane un primato, l’Italia è l’unico paese al mondo in cui la popolazione, attraverso due referendum (1987 e 2011), si è espressa con larghissima maggioranza contro l’uso del nucleare, imponendo nel 1987 la messa fuori servizio delle centrali nucleari allora esistenti.

Durante la campagna referendaria non mi stancavo di ripetere che il nucleare è una scelta senza uscita e senza ritorno! Della serie, hai voluto la bicicletta? Ora pedala! Del resto, gli utenti italiani dovrebbero ricordare che continuano, e continueranno, a pagare nella bolletta elettrica circa 300-400 milioni di euro all’anno come oneri nucleari, cioè per la gestione dell’eredità nucleare dei pur modesti programmi degli anni ’60-’80.

scorie-radioattive-deposito-gbInfatti l’Italia sconta un irresponsabile ritardo nella parte che dovrebbe sancire la chiusura del ciclo nucleare: la sistemazione dei rifiuti radioattivi. Che spesso, conviene ricordarlo, hanno vite lunghissime, di secoli o addirittura centinaia di migliaia di anni, prima di disattivarsi a livelli sostanzialmente non pericolosi (ricordiamo che registriamo la storia dell’uomo da circa 10.000 anni). In tutti questi decenni nel mondo ci si è preoccupati solo del business della costruzione di nuove centrali nucleari, e si sono lasciati accumularsi i rifiuti e gli enormi quantitativi di combustibile nucleare esaurito.

Chi non ricorda le rivolte popolari quando il governo Berlusconi nel 2003, senza previe discussioni, decise d’imperio la localizzazione del deposito nazionale dei rifiuti nucleari in Basilicata, a Scanzano Jonico? Dichiarando perfino un’emergenza nucleare nazionale, che è stata dimenticata ma non revocata.

Infatti i rifiuti nucleari italiani rimangono collocati in depositi “temporanei” (!) sparsi per la penisola in condizioni tutt’altro che soddisfacenti, e a volte assai precarie e pericolose (Latina, Garigliano, Trino Vercellese, Caorso, Saluggia, Rotondella, Casaccia, Ispra: rimane attualissima l’inchiesta di Report del 2008, L’Eredità. E sono destinati ad aumentare, mentre procederà l’annoso (e costoso) smantellamento delle quattro centrali nucleari. La realizzazione di un deposito nazionale dei rifiuti nucleari è quindi un imperativo non rinviabile.

Si tratta di materiali radioattivi (liquidi e solidi) provenienti dall’esercizio delle vecchie centrali nucleari (compreso il combustibile nucleare non ancora riprocessato), da programmi di ricerca, e da attività nel settore medico e industriale. Il loro volume complessivo è stimato tra 90.000-100.000 m³, di cui il 90-95% è costituito da rifiuti a bassa e media attività e il resto (5.000-10.000 m³) ad alta attività (cioè quelli più pericolosi). Sono, come dicevo, quantità relativamente modeste: per dare un’idea, 8.000 m³ è il volume di un cubo di 20x20x20 m di lato.

La maggior parte di questi depositi è gestita dalla Sogin, società di stato costituita nel 1999 a cui nel 2001 un decreto del Ministero dell’industria assegnò gli indirizzi operativi per tutte le attività riguardanti la chiusura del ciclo nucleare, sotto la sorveglianza dell’autorità di sicurezza. Per la cronaca, molti ricorderanno la Sogin per essere stata coinvolta in innumerevoli scandali.

La realizzazione di un deposito nazionale era da tempo all’ordine del giorno. Già nel 1999 il Gruppo di lavoro costituito presso la protezione civile aveva individuato i criteri di selezione da adottare per la scelta del sito su cui costruire il deposito, criteri ulteriormente approfonditi nel 2003 da uno studio dell’ENEA che includeva anche la carta delle aree potenzialmente idonee.

Ciò nonostante in tutti questi anni i provvedimenti presi, spesso inosservati o contraddetti da successivi atti legislativi, hanno creato storture e inadempienze croniche dal punto di vista normativo.

Dopo innumerevoli ritardi (provvedimenti presi, poi spesso inosservati o contraddetti da successivi atti legislativi), nel gennaio del 2014 l’Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) ha emanato una Guida Tecnica che stabilisce i criteri per l’individuazione del sito su cui costruire il deposito (unitamente all’annesso, e misterioso, Parco Tecnologico).

Va detto subito che la Guida Tecnica non risulta adeguata, in quanto definisce i criteri per la localizzazione di un deposito per rifiuti radioattivi esclusivamente a bassa e media attività che non corrisponde alla definizione del deposito nazionale, che invece deve ospitare anche i rifiuti ad alta attività, mentre ora non è chiaro che fine faranno.

I criteri scelti, suddivisi in criteri di esclusione e criteri di approfondimento, rispecchiano – nell’impostazione – le linee guida che l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (IAEA) di Vienna ha sviluppato in materia, ma solo limitatamente alla prima e seconda fase di selezione delle aree ritenute idonee, dalle quali, con una successiva terza fase, si dovrebbe effettuare la selezione/caratterizzazione del sito finale.

Un fatto inquietante, e che attualmente allarma molte popolazioni, è che i precedenti criteri di esclusione erano più stringenti di quelli della Guida Tecnica attuale: ad esempio, non sono più escluse a priori le isole maggiori, non sono più quantificate le distanze minime da centri abitati, la distanza minima da autostrade e superstrade è stata dimezzata da 2Km a 1Km, la soglia di altitudine è stata elevata fino a comprendere zone montane, ecc.

Si obietterà che l’ulteriore restringimento delle aree idonee verrà fatto con i criteri di approfondimento: ma allora perché non farlo direttamente in esclusione, perché stressare l’opinione pubblica inutilmente con le inevitabili illazioni sulla candidatura di questo o quel sito?

La tensione su questo problema è salita quando il governo ha stabilito di rinviare la conoscenza della mappa dei siti idonei a dopo le elezioni regionali (per il timore fin troppo evidente che l’informazione potesse influire, chiaramente in modo negativo, sul verdetto elettorale).

In particolare si è sviluppato un forte movimento popolare in Sardegna, un’isola che come dicevamo era stata esclusa in passato come possibile destinazione del deposito, per di più già gravata ed anche martoriata da pesantissime servitù militari, fonti di gravissimi inquinamenti. Ma si rincorrono anche le voci che la Toscana possa essere tra le zone prescelte, in particolare la Maremma, che invece dovrebbe essere rigorosamente protetta per i propri valori naturalistici.

Sembrava che il mistero dovesse sciogliersi tra pochi giorni, ma un comunicato del Ministero dell’Ambiente fa sapere che (ANSA 17 giugno):
L’Ispra ha ricevuto in questi giorni dalla Sogin l’aggiornamento della Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee alla localizzazione del deposito nazionale e della relativa documentazione. Tale aggiornamento era stato richiesto lo scorso aprile dai ministeri dell’Ambiente e dello Sviluppo economico per recepire i rilievi formulati nella relazione predisposta dall’Ispra stesso sulla base della prima proposta presentata dalla Sogin nel gennaio scorso. … L’Ispra ha in corso le conseguenti attività di verifica, che prevede di completare con la trasmissione ai ministeri dell’aggiornamento della proposta e della propria relazione entro la prima decade del prossimo mese di luglio, affinché i ministeri stessi possano procedere a rilasciare alla Sogin il nulla osta alla pubblicazione della Carta“.

Questo è il paese dei rinvii, e non si sa mai se e che cosa ci sia sotto. Si noti che si dovrà aspettare ancora che “i ministeri stessi possano procedere a rilasciare alla Sogin il nulla osta alla pubblicazione della Carta”! Ogni commento è superfluo, ma ogni illazione o sospetto è pienamente giustificato.

In ogni modo, si aprirà allora, pur con ritardo, la fase della selezione e caratterizzazione del sito, e poi quella dei criteri di realizzazione, che nascondono ancora non poche incognite e riserve. Come dicevamo all’inizio, il deposito nazionale è ormai una scelta necessaria, in qualche località bisognerà pur metterlo. Si dovrà pretendere che si tratti di una scelta ampiamente discussa con le popolazioni interessate (e le manovre dilatorie non depongono bene, quanto a trasparenza), fornendo loro le assicurazioni e garanzie più rigorose. Vi sarà l’occasione per ritornare sulle fasi successive.

*Angelo Baracca, fisico, attivo nel movimento antinucleare