Sul precipizio climatico: chi già precipita, e chi sta nell’Ipcc

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Dopo il mio articolo Sull’orlo del precipizio climatico sento la necessità di scendere dalle considerazioni generali più nel concreto.

L’Ipcc è un comitato . . . “sub partes”

Comincio con una rettifica, faccio ammenda per l’affermazione che l’Ipcc è un panel INTERGOVERNATIVO. In realtà a ben vedere sembra piuttosto GOVERNATIVO: nel senso che sembra che gli Stati Uniti la facciano assolutamente da padroni. Il che, voglio precisarlo chiaramente, non ha a che vedere con la serietà scientifica dei suoi report, ma piuttosto con il presentare l’Ipcc come l’organismo autorizzato (e riconosciuto) a dire la parola finale sulla gravità della situazione climatica: semmai il vero merito che va riconosciuto all’Ipcc, e ai suoi report, è di avere sbugiardato definitivamente i negazionisti.

Ma veniamo alla rappresentatività. Parto da questo grafico, già molto eloquente:

Il punto che costantemente è taciuto è che l’Ipcc riflette inevitabilmente i punti vista dei paesi che vi sono sovra-rappresentati, i paesi ricchi! Penso che si possa essere d’accordo che gli scienziati britannici siano abbastanza omogenei con quelli statunitensi: insieme sommano più di 1/3 del totale. Soprattutto, i paesi ricchi la fanno veramente da padroni, mentre sono responsabili della grande maggioranza delle emissioni di gas serra. Com’è possibile pesare che l’Ipcc, come organismo, sia super partes? Che, per esempio, possa essere in grado di dire ai governi «Il tempo è scaduto»? Che senso ha continuare ad insistere che rimangono 8-10 anni per intervenire? Su cosa? Su quali situazioni? Non certo sui processi climatici nuovi che compaiono sempre più di frequente, e sono chiaramente irreversibili (vi tornerò nella seconda parte). Senza contare che vi sono regioni nelle quali il fatidico aumento di 1,5o C è già ora irrimediabilmente superato!

Ma non è tutto. Gli scienziati che stendono materialmente i rapporti sono supportati da molti altri, e si appoggiano a una messe di lavori e ricerche (14.000) pubblicati e referenziati. Orbene, un’accurata analisi delle referenze riportate dal Working Group 11 conclude, fra moltissime altre cose interessanti, che:

«[Fra] i primi 100 Paesi (su 185) da cui provengono le referenze, quelli più rappresentati sono, nell’ordine, gli Stati Uniti, coinvolti in 5871 referenze (circa il 50% del numero totale di referenze disponibili), il Regno Unito con 3039 referenze (26%), la Germania (2118 referenze), la Francia e la Cina (oltre 1500 referenze).»2

«Le citazioni nel rapporto sono fortemente dominate dal Nord globale e si leggono spesso dietro un paywall [accesso a pagamento ai contenuti di un sito]. Abbiamo riscontrato che il 99,95% dei riferimenti citati era scritto in inglese e che tre quarti di tutta la letteratura citata nel rapporto presentava almeno un autore con sede negli Stati Uniti o nel Regno Unito.»3

Ma ci sono molti altri aspetti generali che ‒ a monte dei lavori dell’Ipcc ‒ marcano le differenze tra il Nord e il Sud globali oppure, non meno rilevanti, di genere:

«Una recente analisi intitolata “The Reuters Hot List” ha stilato una classifica dei 1.000 scienziati del clima “più influenti”, in gran parte basata sulle loro pubblicazioni e sul loro impegno sui social media. Gli scienziati del Sud del mondo sono ampiamente sottorappresentati nella lista, con, ad esempio, solo cinque scienziati africani. Inoltre, solo 122 dei 1.000 autori sono donne.»4

La percentuale di autori dei 100 articoli di scienza del clima più citati nel periodo 2016-20, provenienti da ciascun continente. Il totale dell’Europa è distribuito fra i diversi Paesi, e in modo molto ineguale, Gran Bretagna e Germania prevalgono: Stati Uniti, Australia e Gran Bretagna insieme rappresentano più della metà di tutti gli autori di questa analisi (rispettivamente circa il 30%, il 15% e il 10%). Inoltre, nessun articolo di questa analisi è guidato da un ricercatore proveniente dall’Africa o dal Sud America.

Queste ricerche richiedono poi ingenti investimenti in infrastrutture, quali super-computer e grandi server, che ovviamente sono proibitivi per i paesi del Sud globale. Tra le 100 istituzioni più citate nel WGI AR6, tutte si trovano in Nord America, Europa, Asia e Oceania. e Oceania: nessuna fra le prime 100 si trova in Sud America o in Africa.

Una mancanza di fondo: le emissioni del Pentagono. E degli eserciti

Intanto una precisazione. Le conferenze Cop e l’Ipcc fanno parte della cosiddetta “diplomazia climatica” ma hanno ruoli ed origine distinti. La Cop è la conferenza annuale sul clima delle Nazioni Unite, l’Ipcc, fondato sotto gli auspici dell’Organizzazione meteorologica mondiale (WMO) e del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP), è un gruppo di scienziati ed esperti che valutano la letteratura scientifica e forniscono informazioni scientifiche sul processo di cambiamento climatico: i suoi rapporti costituiscono un punto di riferimento fondamentale per le Cop.

Orbene, fino dalla Cop 3 del 1997 che approvò il Protocollo di Kyoto ‒ primo trattato internazionale in materia ambientale, peraltro mai ratificato da Washington, unico paese al mondo ‒ proprio gli Stati Uniti pretesero di essere esentati dal riportare le emissioni climalteranti del Pentagono e dall’obbligo di ridurre l’inquinamento, e i consumi, dovuti alle proprie forze armate (poi sancito da un decreto ufficiale della Casa Bianca nel 1999). L’Accordo di Parigi del 2015 cambiò le cose almeno formalmente, confermando che i paesi non sono obbligati a ridurre le loro emissioni militari ma hanno un’esenzione automatica: gli Usa interpretano che sia lasciata agli stati nazionali la decisione su quali settori nazionali dovrebbero effettuare tagli alle emissioni prima del 2030: e non sembra proprio che abbiano la minima intenzione di ridurre le proprie attività militari.

Questo problema non è affatto di importanza marginale perché il Pentagono è il maggiore responsabile individuale (governativo) al mondo di emissioni di CO2 5: cioè a parte gli Stati nazionali. L’esercito americano emette più anidride carbonica nell’atmosfera di interi paesi come la Danimarca o il Portogallo6.

Rimane il fatto che i governi non sono tenuti a riportare le emissioni dovute alle attività dei propri eserciti. In internet si trova moltissimo materiale, ma queste osservazioni sono sufficienti a denunciare questa enorme lacuna, che non sembra essere denunciata dai media che riportano i report dell’Ipcc.

Al di là del fatidico limite di riscaldamento di 1,5o C: la gravità situazioni specifiche

Non sono certo in gradi di fare un’analisi generale, ma sono tante le situazioni nelle quali il carismatico limite di riscaldamento di 1,5o C è stato superato, irreversibilmente.

Africa

Parto dall’Africa, riferendomi a un articolo della rivista Foreign Policy, Africa Brief, “Climate Change Wreaks Havoc in Southern Africa”, della giornalista Nosmot Gbadamosi7.

«La siccità in Somalia, le inondazioni in Nigeria e un ciclone in Malawi hanno confermato le cupe proiezioni climatiche degli scienziati sul futuro dell’Africa. …

Il rapporto è stato pubblicato lo stesso giorno di un altro sondaggio delle Nazioni Unite che ha stimato che 43.000 persone sono morte durante la peggiore siccità della Somalia negli ultimi decenni, e la metà di queste morti erano probabilmente bambini sotto i 5 anni.

La scorsa settimana il ciclone Freddy, che ha devastato il Mozambico, il Madagascar, l’isola della Riunione e lo Zimbabwe, è tornato a colpire l’Africa australe per la seconda volta in un mese, uccidendo centinaia di persone in Malawi e Mozambico e lasciando decine di migliaia di senzatetto in quella che potrebbe essere la tempesta prolungata più lunga mai registrata.

I cicloni sono tipici della regione tra novembre e aprile, ma ciò che rende Freddy unico, secondo gli esperti meteorologici dell’ONU, è che non si è mai completamente dissipato, nonostante le numerose frane. Gli scienziati dicono che il riscaldamento globale causato dalla maggior parte delle nazioni industrializzate che emettono gas serra ha reso l’attività del ciclone più frequente e intensa. …

“Il livello di devastazione con cui abbiamo a che fare è maggiore delle risorse che abbiamo”, ha detto il presidente malawiano Lazarus Chakwera in un discorso televisivo. …

Circa 59.000 mozambicani sono sfollati a causa della tempesta, secondo le autorità locali [più di 350.000 in Malawi]. La situazione è stata aggravata da un’epidemia di colera in corso. Secondo l’Unicef, i casi sono quadruplicati a oltre 10.000, con più di 2.300 casi segnalati nella scorsa settimana.»

«Secondo l’Agenzia internazionale per l’energia, “oltre il 95 per cento del consumo mondiale di carbone è in corso in paesi che si sono impegnati a ridurre le loro emissioni a zero netto.”

Raggiungere lo zero netto in Africa è stato complicato dagli obiettivi di fornire elettricità a molti nella regione che non hanno accesso e quindi usano forme tossiche di energia come la legna da ardere. I leader africani sostengono che l’unico modo realistico per fornire energia a buon mercato è attraverso il carbone.

Uno studio pubblicato il mese scorso sulla rivista Nature ha trovato che gli scienziati dell’Ipcc si aspettano che i paesi africani riducano l’uso di combustibili fossili due volte più velocemente delle nazioni sviluppate. Tuttavia, il prestito di denaro per gli investimenti in energie rinnovabili è più costoso per le nazioni africane.»

Asia occidentale. Si registra un’ondata sbalorditiva di calore precoce, con centinaia di nuovi record di temperatura massima per marzo: 41,4o C in Vietnam, 40,0o C in Laos, 37,9o C a Taiwan.

L’Argentina ha avuto l’estate più rovente da almeno 62 anni: a metà marzo, ormai nell’autunno meteorologico, si sono registrate punte fino a 40o C, seguite da violenti temporali.

Qualche aggiornamento sull’inverno negli Stati Uniti

Mentre in Europa abbiamo sperimentato un inverno straordinariamente mite e secco, a si prospetta un’estate con gravissimi problemi idrici, la situazione è radicalmente diversa negli Usa. Da più di un mese il paese è stato attraversato diagonalmente da una forte corrente a getto, che spinge il calore a concentrarsi nel Sud Est con punte di calore eccezionali, mentre l’aria fredda è spinta ad Ovest dove sulla costa del Pacifico incontra correnti sature di umidità provocando piogge torrenziali, inondazioni. e nevicate eccezionali

Verso la fine di febbraio almeno 75 milioni di americani erano sotto osservazione, allerta o avviso di tempesta. Migliaia di voli sono stati interrotti. Primi di marzo si sono verificate forti nevicate in gran parte del Midwest e in alcune zone di pianura, oltre a rare nevicate nella contea di Los Angeles e a San Francisco.

Verso la metà di marzo pioggia, neve pesante e venti forti anche a New York e nel New England.

Il 22 marzo un’altra fortissima tempesta si è abbattuta sulla California: fortissimi venti, piogge intense e inondazioni hanno scosso la Bay Area e il sud del Paese: più di 200.000 clienti hanno perso la corrente. La tempesta trascina un fiume atmosferico verso la California meridionale, causando pioggia intensa, neve e forti venti. Un tornado ha colpito la parte orientale di Los Angeles, il più forte nell’area metropolitana dal 1983. E venerdì 24 un tornado ha ucciso 26 persone in aree rurali (prevalentemente di afroamericani) in Mississippi ed Arizona, decine i feriti.

Diametralmente all’opposto, caldo record nel Sud e lungo la costa orientale, la primavera è già iniziata. Si denuncia un aumento delle allergie.

Poi, biodiversità. Una misteriosa malattia ha devastato una specie di stella marina lungo la costa del Pacifico: le stelle marine sono fondamentali per mantenere le enormi giungle di alghe sottomarine che immagazzinano il carbonio, senza di esse, gli effetti del cambiamento climatico potrebbero peggiorare.

Ma c’è un feedback generale con il riscaldamento globale: «mentre l’uomo riscalda il pianeta, la biodiversità sta crollando. Queste due crisi globali sono collegate in molti modi. Ma i dettagli degli intricati anelli di retroazione tra il declino della biodiversità e il cambiamento climatico sono sorprendentemente poco studiati.»8

Così come, si può dire, quasi in modo simmetrico ma sempre con una correlazione, i cambiamenti climatici, il mutamento dei modelli di insediamento e la mancanza di preparazione fanno sì che le zone aride siano le più esposte al rischio di inondazioni.9

Intanto, a dispetto di tutto: si prevede che 158,4 milioni di passeggeri voleranno a marzo e aprile, superando i livelli del 2019.

Per di più, i voli in jet privati sono in fortissimo aumento in tutto il mondo: “L’utilizzo di jet privati è aumentato di oltre il 30% rispetto ai livelli pre-Covid. Raddoppiano partenze e arrivi dallo scalo di Napoli, Londra-Maiorca la tratta più battuta. I prezzi sono raddoppiati, spostarsi da Parigi a Mykonos costa 25mila euro con un fortissimo impatto in termini di emissioni di CO2”.

Sul notevole impatto ambientale del volo aereo scrive la Dott.sa Antonella Litta, di Isde Viterbo: «Negli ultimi decenni, il traffico aereo ha registrato una fase di crescita pressoché costante soprattutto per quanto riguarda il settore del trasporto merci e quello dei voli low cost, solitamente legato al turismo definito anche “mordi e fuggi” determinando così un incremento importante del suo impatto negativo sull’ambiente, soprattutto in termini di inquinamento atmosferico, acustico e importante contributo ai cambiamenti climatici» (Trasporto aereo e clima, Il Cisalpino, 43/2017).

L’Iccp non pubblicherà altre edizioni da qui al 2030.

Angelo Baracca su https://contropiano.org

1 Altri due gruppi si occupano rispettivamente degli impatti e vulnerabilità, e delle mitigazioni dei cambiamenti climatici: forse non stupisce che richiamino meno l’attenzione.

2 F. Chavelli, S. Connors, Analysis of the WGI contribution to the Sixth Assessment Report: Review of the WGI AR6 references, 26 febbraio 2022, file://///home/utente/Scaricati/CHAVELLI_IPCC_WGI_AR6_References_Analysis_Report.pdf.

3 “Guest post: What 13,500 citations reveal about the IPCC’s climate science report”, Carbon Brief, 16 marzo 2023, https://www.carbonbrief.org/guest-post-what-13500-citations-reveal-about-the-ipccs-climate-science-report/.

4 A. Tandon, “Analysis: The lack of diversity in climate-science research”, Carbon Brief, 6 ottobre 2021, https://www.carbonbrief.org/analysis-the-lack-of-diversity-in-climate-science-research/.

5 L’analisi più aggiornata ed esaustiva delle emissioni del Pentagono è stata pubblicata cinque mesi fa da Neta Crawford, professoressa di relazioni internazionali all’Università di Oxford: The Pentagon, Climate Change, and War – Charting the Rise and Fall of U.S. Military Emissions, MIT Press, ottobre 2022.

6 Si veda ad esempio, S. Kehrt, “The U.S. Military Emits More Carbon Dioxide Into the Atmosphere Than Entire Countries Like Denmark or Portugal”, Inside Climate News, 18 gennaio 2022, https://insideclimatenews.org/news/18012022/military-carbon-emissions/.

8 M. Mahecha et al., “Biodiversity loss and climate extremes – study the feedbacks“, Nature, 19 novembre 2022, https://www.nature.com/articles/d41586-022-04152-y.

9 Jie Yin et al., “Flash floods: why are more of them devastating the world’s driest regions?”, Nature, 7 marzo 2023, https://www.nature.com/articles/d41586-023-00626-9

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Angelo Baracca

Già Professore di Fisica all'Universita di Firenze, è specializzato nelle tematiche legate al nucleare civile e militare, e ha pubblicato più di 100 articoli su questi temi in riviste internazionali e nazionali,oltre a vari manuali didattici e saggi. Fin dagli anni ’70 partecipa al movimento antinucleare ed ecopacifista, nel 1999 promotore del Comitato Scienziate/i Contro la Guerra. Sui temi dell'energia nucleare, armamenti nucleari e disarmo ha pubblicato: “A Volte Ritornano. Il Nucleare” (2005) e “L’Italia Torna al Nucleare?” (2008). Ha collaborato con Università e Centri di Ricerca in Francia, Gran Bretagna, Germania, Spagna, Cuba, Argentina.

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