Cime tempestose, recupero di bellezze
Creuza de mä
Umbre de muri muri de mainé/ dunde ne vegnì duve l’è ch’ané/ da ‘n scitu duve a l’ûn-a a se mustra nûa/ e a neutte a n’à puntou u cutellu ä gua/ e a muntä l’àse gh’é restou Diu/ u Diàu l’é in çë e u s’è gh’è faetu u nìu/ ne sciurtìmmu da u mä pe sciugà e osse da u Dria/ e a funtan-a di cumbi ‘nta cä de pria/ E ‘nt’a cä de pria chi ghe saià/ int’à cä du Dria che u nu l’è mainà/ gente de Lûgan facce da mandillä/ qui che du luassu preferiscian l’ä/ figge de famiggia udù de bun/ che ti peu ammiàle senza u gundun/ E a ‘ste panse veue cose che daià/ cose da beive, cose da mangiä/ frittûa de pigneu giancu de Purtufin/ çervelle de bae ‘nt’u meximu vin/ lasagne da fiddià ai quattru tucchi/ paciûgu in aegruduse de lévre de cuppi/ E ‘nt’a barca du vin ghe naveghiemu ‘nsc’i scheuggi/ emigranti du rìe cu’i cioi ‘nt’i euggi/ finché u matin crescià da puéilu rechéugge/ frè di ganeuffeni e dè figge/ can d’a corda marsa d’aegua e de sä/ che a ne liga e a ne porta ‘nte ‘na creuza de mä.
Mulattiera di mare
Ombre di facce facce di marinai/ da dove venite dov’è che andate/ da un posto dove la luna si mostra nuda/ e la notte ci ha puntato il coltello alla gola/ e a montare l’asino c’è rimasto Dio/ il Diavolo è in cielo e ci si è fatto il nido/ usciamo dal mare per asciugare le ossa dell’Andrea/ alla fontana dei colombi nella casa di pietra/ E nella casa di pietra chi ci sarà/ nella casa dell’Andrea che non è marinaio/ gente di Lugano facce da tagliaborse/ quelli che della spigola preferiscono l’ala/ ragazze di famiglia, odore di buono/ che puoi guardarle senza preservativo/ E a queste pance vuote cosa gli darà/ cose da bere, cose da mangiare/ frittura di pesciolini, bianco di Portofino/ cervelli di agnello nello stesso vino/ lasagne da tagliare ai quattro sughi/ posticcio in agrodolce di lepre di tegole/ E nella barca del vino ci navigheremo sugli scogli/ emigranti della risata con i chiodi negli occhi/ finché il mattino crescerà da poterlo raccogliere/ fratello dei garofani e delle ragazze/ padrone della corda marcia d’acqua e di sale/ che ci lega e ci porta in una mulattiera di mare.
Se con una pistola puntata alla tempia, dovessi scegliere solo una, dico una, canzone di Fabrizio sceglierei questa. Legata da “cime” di acqua e di sale, è per me il più bel racconto di un progetto iniziato da tempo e compiuto, che si mostra, si richiude e risale nell’incavo dell’onda, in un guazzabuglio di lingue diventate una lingua.
Quest’uomo di porto, porto di mare, che con noi naufraga e ritorna pieno di doni. Vengono da tutti i mari di tutte le terre, ( e eeanda e eeanda eee anda eo) e da dove tutti gli uomini, nella fatica di essere, diventano uno solo e capace di grandi sguardi, all’orizzonte, imparando a livello del mare. E nella casa di Andrea, saranno le cose da bere e cose da mangiare, che a queste pance vuote si offrirà. Non più un piatto, una ricetta (‘a cimmà) ma identità e memorie, capacità e tripudio di dignità, dal pasticcio di lepre al bianco di Portofino, i profumi di molti gesti. Tra 2 muri di confine si apre una creuza, così come quando all’improvviso ci appaiono “viottoli di mare” che il vento, crespando l’acqua, li rende simili e noi, consapevoli di poter o dover scegliere; è un apertura che passando tra Due, convoglia tutto in Uno, che può contenerle tutte.
Io non scriverò le “ricette” di casa di Andrea, mi chiamo Barbara e non vivo a Genova, anche se in Liguria ho passato molto tempo. Di cose da bere e da mangiare, sulla mia tavola virtuale ce ne sono molte, potete scegliere; solo vorrei dedicare ancora una cosa, oltre a quella proposta in occasione della manifestazione “coda di lupo”, quando attaccammo alle pareti tutte le foto che gli organizzatori ci spedirono per un’esposizione dedicata a Fabrizio, cosi come inserimmo nel menu un piatto ligure: i pansotti col sugo di noci.
Rimane il rammarico di non aver potuto frugare nel libro di cucina di casa De Andrè, come promesso, ma forse è stato meglio così: troppa emozione. Allora scelgo una bevanda, assai diffusa nel mondo, diversa ed uguale a seconda delle genti che ne bevono.
E così stappando “la bottiglia di orzata dove galleggiava Milano“, la ricetta che vi scrivo, è invece allegra e solare. Serve a preparare l’Horchata de arroz, che con questo caldo…
riso bianco
acqua
alloro
cannella
zucchero semolato
latte di mucca
Si mettono 250 gr di riso (tutti quei fondi nei cartoccini di risi di varia natura e con cotture differenti che altrimenti non sapresti cosa farne) in un contenitore con 4 litri di acqua fredda, facendo riposare in frigo per una notte. Aggiungere 1 stecca di cannella spezzettata e 4 foglie di alloro spiegazzate (più aroma) e rimettere in frigo per 3 ore. Ora si toglie l’alloro e si frulla con una frusta a immersione. Così com’è, tutto a crudo. Prendiamo un colino fitto e rovesciamo piano, in un altro contenitore, solo il liquido, senza il riso frullato che renderebbe tutto troppo amidoso. Si aggiusta con zucchero a piacere ed un litro di latte. Indicatissima per grandi e piccini, si conserva in frigo per 4 o 5 giorni ed è, in fondo, solo un’altro tipo di orzata, come se ne inventarono molti altri.
Barbara Zattoni
Ultimi post di Barbara Zattoni (vedi tutti)
- Dalla cucina di Barbara: brindiamo al ritorno di Lula e alle sue battaglie per Fame Zero - 31 Ottobre 2022
- Confini disumani: spettacolo di “Equilibrio dinamico” - 1 Settembre 2021
- La cucina è politica, il nuovo ebook di Barbara Zattoni - 22 Marzo 2021