L’industria della felicità al servizio del capitale

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Come la depressione può sconfiggere il capitale

La mancanza di entusiasmo e volontà dei lavoratori, potrebbe rappresentare, almeno in occidente, una minaccia per il capitalismo: la società di indagini demoscopiche, Gallup ha calcolato che l’infelicità dei dipendenti, costa all’economia americana 500 miliardi di dollari all’anno, tra ricchezza non prodotta, gettito fiscale non riscosso e costi per il sistema sanitario. Quasi conclusa l’era delle lotte sindacali organizzate, il disagio sul luogo di lavoro, ora si manifesterebbe sotto forma di apatia e di problemi di salute. A questo sono chiamate a rispondere le nuove ‘religioni secolari’, cioè le pratiche di meditazione e mindfulness, nell’ambito della industria della felicità, qui intesa come fenomeno misurabile, calcolabile, secondo la psicologia positivista, gli esperti di marketing e gli economisti.

Il disturbo depressivo-competitivo del neoliberismo

and_if_you_re_not_another_brick_in_the_wall__by_mad_tile_4432-d85971rLe passioni tristi, parafrasando Benasayag, secondo i dati dell’epidemiologia sociale, sono concentrate in società caratterizzate da grandi disuguaglianze e da valori superficiali e competitivi, cui è strettamente correlato il tasso di malattie mentali. Gli Stati Uniti dominano questa classifica. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha previsto che a breve la depressione sarà seconda solo alle patologie cardiache nella tabella di impatto delle malattie. Chi vive di competizione, i dirigenti per esempio, è soggetto alla cosiddetta sindrome da burnout, che include probabilità più alte di attacchi di cuore, ictus ed esaurimenti nervosi. Uno studio canadese ipotizza che più di un quarto delle assenze lavorative sia dovuto non a malattie ma proprio a quest’ultima sindrome. D’altro canto i disturbi mentali causano enormi costi economici, stimati fra il 3 e il 4% del PIL in Europa e Usa. La cosiddetta sindrome dello sbadiglio, cioè il disimpegno attivo è causa di pesanti costi economici, considerato che circa il 20% degli impiegati in USA e Europa, sarebbero ‘attivamente disimpegnati’, cioè andrebbero in ufficio solo per timbrare il cartellino e scaldare la sedia. Viene calcolato che il disimpegno attivo costi all’economia statunitense ben 550 miliardi di dollari l’anno.

Le due facce della tristezza

L’infelice diventa da un lato una sorta di deviante sociale, decade dall’essere ‘risorsa umana’, poiché va a boicottare quell’economia che trae profitto dall’entusiasmo sul postopink-floyd-another-brick-in-the-wall-hd-wallpaper di lavoro e dal desiderio di acquisto nel centro commerciale. L’uomo in questa società deve essere sempre performante, adattato alle regole sociali, consumatore, plasmabile come una gelatina e sempre in modalità on. Dall’altro lato per favorire ‘la via psicofarmacologica’ e l’industria del farmaco, si trasformano i momenti di sconforto personali e le peculiarità di ciascuno, in patologie da curare. Così essere tristi per più di due settimane in seguito alla perdita di un altro essere umano può essere patologico, secondo il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali ‘DSM 5’, e necessita di una bella cura col Wellbutrin, un farmaco antidepressivo, che è stato proprio propagandato come l’anti-depressivo anti-lutto.

Psicofarmaci per tutti

Se il futuro del capitalismo dipende, secondo l’ ipotesi iniziale, dalla capacità di combattere stress, infelicità, e malattia e di sostituirli con relax, felicità e benessere, non potendo, almeno per il momento, somministrare psicofarmaci a tutti, diventa sempre più indispensabile trovare il modo di rimettere in sesto manager stressati dalla competizione e prevenire e curare la possibile defaillance dei dipendenti. Nasce così con l’aiuto, penso inconsapevole, di un monaco buddista, la meditazione neoliberista.

La trappola individualistica del benessere

Durante il Forum economico mondiale (Wef) di Davos, nel 2014, scrive il sociologo William Davies nel saggio ‘L’industria della felicità’, cui si ispira questo articolo, insieme a miliardari, pop star e presidenti, c’era Matthieu Ricard, un monaco buddista, conosciuto come ‘l’uomo più felice del mondo’, ex biologo, ora interprete francese del Dalai Lama, a dare lezioni di consapevolezza e di tecniche di rilassamento. Il forum era sommerso da discorsi di mindfulness, una tecnica di consapevolezza, elaborata combinando psicologia positiva, buddismo, terapia cognitivo-comportamentale e neuroscienze. Ogni giorno prima dell’inizio dei lavori, per tutti i partecipanti c’era la possibilità di meditare con lui, per apprendere queste tecniche: ‘ Voi non siete schiavi dei vostri pensieri…li avvertiva l’uomo vestito di giallo e rosso, mentre stringeva fra le mani un iPad. Potete semplicemente guardarli….Come un pastore seduto sopra un prato guarda le proprie pecore…’.

Consulenti di felicità

Dato che il mantra della psicologia positiva è che la felicità è una scelta personale, un crescente numero di aziende utilizza i consulenti di felicità, chiamati cho (chief happiness officer), manager responsabili della felicità dei dipendenti e di fare squadra, che danno consigli ai datori di lavoro su come far ritrovare l’entusiasmo non solo ai dipendenti, ma addirittura anche ai disoccupati e agli sfrattati, come è successo a Londra. Google ha introdotto un ’jolly good fellow’ aziendale, un bravo ragazzo col compito di diffondere empatia e consapevolezza in azienda. La felicità diventa così funzionale all’economia ed al profitto. La promozione dell’essere positivi, soprattutto nei posti di lavoro, nelle scuole e nella pubblicità può essere una forma di controllo sociale, perché spinge i dipendenti a essere più produttivi, e i bambini a diventare in armonia con una certa forma di capitalismo.

Atleti aziendali

Queste tecniche di meditazione anti stress, quindi, non sono regali, non sono rivolte ad una cura di sé, ma sono al servizio di specifici interessi politici ed economici, a sostegno di una cultura individualistica. Per mantenere in forma i dirigenti ci sono costosi ‘corsi per diventare atleti aziendali’, basati sulla psicologia della motivazione, cui si aggiunge un cocktail di chiacchiere neuroscientifiche e pratiche di meditazione buddista. Il modello ideale di esistenza cui si anela è caratterizzato da: duro lavoro, felicità, salute e soprattutto ricchezza. Così diffondere ottimismo nella società e sentimenti positivi dentro le imprese, diventa uno strumento indispensabile sia per la gestione del potere aziendale, sia per la governance politica.

La felicità, una risorsa da sfruttare, un muscolo da allenare

I lavoratori sono più produttivi quando si sentono più felici, pare addirittura fino al 12% in più, così le persone più felici ottengono più dalle loro carriere e questo spiega il perché di tanto interesse per la felicità lavorativa, per i guru della felicità. Se la felicità è una scelta, siamo tutti in grado di influenzarne i nostri livelli: il neuroscienziato Paul Zak, consiglia di considerarla come un muscolo da allenare regolarmente. Dietro questo modo di vedere così individualizzato, si nasconde anche la possibilità di incolpare le persone della loro infelicità, dei loro fallimenti, rei di non averci lavorato abbastanza su. Uno dei più rinomati guru della felicità americani, l’imprenditoreTony Hsieh, consiglia alle aziende di misurare la felicità dei dipendenti e di licenziare quel 10% di dipendenti meno impegnati, al fine di rendere più impegnato il restante 90%. Punirne 10 per educarne 90!

Misurare la felicità

Si sta cercando di trasformare, un’emozione, la felicità, da sentimento metafisico di difficile definizione a realtà concreta, misurabile (e perciò reale) e soprattutto di importanza capitale per le politiche dei governi e delle imprese. Così gli strumenti di monitoraggio della felicità stanno invadendo la nostra vita quotidiana. Si chiama edonimetro, un misuratore psicofisico, in continuo, del livello di piacere provato da un individuo, sviluppato alla London School of Economics. La già menzionata Gallup, interroga mille adulti americani al giorno sulla loro felicità e sul loro benessere, costruendo quotidianamente la possibilità di tracciare il sentimento pubblico con grande precisione. La General Sentiment, è una compagnia di ’analisi dei sentimenti’ che raccoglie informazioni da circa 60 milioni di fonti. Le nostre conversazioni pseudoprivate ad esempio tramite Facebook sono considerate ottimi oggetti di analisi, fonte di dati preziosi per ricerche di mercato. Da una parte tutte queste informazioni possono servire a migliorare la nostra salute ed il nostro benessere, ma dall’altra possono essere ad uso e consumo del profitto e di strategie politiche volte a industrializzare e monetizzare la felicità.

Neutralità delle piattaforme

Come utilizzeranno le enormi quantità di informazioni sui comportamenti delle persone nella loro vita privata, aziende come Google, Facebook, Twitter? Analizzando 50 milioni di tweet al giorno, il Progetto di Pittsburgh è stato costruito, dalla omonima università, per mappare l’andamento della felicità complessiva della popolazione. Sulla scorta di questi dati è stato rilevato per esempio, che il martedi è il giorno meno felice della settimana, mentre quello più felice è il sabato, come aveva intuito anche il Leopardi. Per monitorare l’ umore del singolo individuo, ci sono delle applicazione per gli smartphone, fra queste Track Your Happiness, sviluppata ad Harvard, o Mappiness, sviluppata alla London School of Economics, che, a intervalli di poche ore, chiedono alle persone i dettagli (espressi in numeri) dei loro stati d’animo e della attività in cui sono impegnati. Da queste è emerso che il massimo grado di felicità viene raggiunto nelle ‘relazioni intime’…chi l’avrebbe mai pensato!

Shopping predittivo

Mentre gli specialisti di neuromarketing sono al lavoro per osservare come una pubblicità attivi una particolare area del cervello, in attesa di scoprire il pulsante dell’acquisto, quello della felicità, quello per regolare il dolore, a breve potremo essere sollevati dallo shopping e dal rischio di diventarne dipendenti. Grazie allo shopping predittivo, le compagnie ci spediranno a casa prodotti (ad esempio libri o la spesa), senza che ne abbiamo fatto richiesta, esclusivamente sulla base dell’analisi algoritmica o del monitoraggio della smart home. Così basandosi su informazioni relative al nostro passato, la nostra creatività e libertà saranno messe in serio pericolo e diventeremo dei replicanti di noi stessi e del tipo di società in cui viviamo.

Non è tutto psicologico

‘Se ci devono essere soluzioni sociali e politiche ai problemi che causano infelicità, allora il primo passo deve essere quello di smettere di considerarli in termini esclusivamente psicologici’ dice William Davies. Non basta per riparare l’individuo, mettere una toppa di consapevolezza. Se le persone sono scontente o arrabbiate, possono anche esserlo nei confronti di qualcosa che è al di fuori di loro e possono scegliere di lottare per cambiarla. Non sempre i problemi psicologici delle persone hanno origine nella mente o nel corpo di un individuo isolato e nemmeno nella famiglia, ma cominciano da una più ampia alienazione, sociale, politica, economica. Le fonti dello stress vanno cercate non solo all’interno dell’individuo, ma anche nell’ambiente che lo circonda. La sofferenza va certamente ridotta, ma non con una ideologia che cura l’infelicità solo e soltanto in termini cognitivi e di comportamento. Ogni uomo non è un atomo separato da ciò che lo circonda, ma è interconnesso con gli altri, con tutte le altre cose del pianeta ed a determinare la sua salute concorrono fattori sociali, relazionali, economici, politici, ambientali, genetici. Ignorando questo la psicologia, e tecniche come la mindfulness, rischiano di favorire il ripiegamento narcisistico, di diventare un dispositivo per addomesticare la mente, una stampella per il capitalismo e uno strumento di manipolazione e di controllo psicologico a disposizione di esperti, di marketing e della politica. Invece una moderna pratica di consapevolezza, senza etichetta, può davvero essere una cura popolare ed a basso costo, un dispositivo democratico, per il benessere di sé, degli altri e di tutto ciò che ci circonda, se coniuga la cura di sé con la cura del mondo, l’impegno sociale e quello ambientale, con la crescita personale.

*Gian Luca Garetti

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Gian Luca Garetti

Gian Luca Garetti, è nato a Firenze, medico di medicina generale e psicoterapeuta, vive a Strada in Chianti. Si è occupato di salute mentale a livello istituzionale, ora promuove corsi di educazione interiore ispirati alla meditazione. Si occupa attivamente di ambiente, è membro di Medicina Democratica e di ISDE (International Society of Doctors for the Environment).

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