Ami la natura? Sei un “ambientalista del fare”? Oppure hai bisogno di una psicoterapia?

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Il Comune di Firenze comprende superfici urbanizzate ed altre agricole, palustri, fluviali e forestali. La pregevole pubblicazione nel 1987, da parte dell’Assessorato all’ambiente, di Firenzecologia – Il Ventaglio, Roma, specialmente nei capitoli scritti da Pier Virgilio Arrigoni, mette in luce il valore del paesaggio agrario e degli ecosistemi (semi)naturali presenti. L’autore precisa: “La vegetazione si dice naturale quando è formata da individui che si insediano e si riproducono spontaneamente in un determinato luogo, antropica quando è costituita, almeno in prevalenza, da individui seminati o impiantati dall’uomo”.

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Oliveta abbandonata – Villa Salviati

A seminati e piantati aggiungerei “involontariamente dispersi”, con riferimento alle specie aliene invasive. “Prima degli insediamenti umani [nel]la piana fiorentina … cresceva una selva formata da alberi decidui tolleranti l’umidità del suolo, come la farnia”, il pioppo bianco, il pioppo nero, l’ontano nero, l’olmo campestre, il carpino e il frassino meridionale, mentre sulle colline doveva trovarsi un bosco misto di cerro, carpino nero, loppo, ciavardello, biancospino e melo fiorentino nelle esposizioni fresche, di roverella, orniello, leccio, corbezzolo, fillirea, alaterno e lentaggine nelle esposizioni solatie.

Della vegetazione naturale … restano ancora alcuni lembi forestali” e palustri, mentre negli ultimi 150 anni “il travolgente sviluppo edilizio ha ridotto cospicuamente le superfici coltivate modificando notevolmente il paesaggio”, caratterizzato soprattutto dalle colture legnose da frutto e dalle produzioni orticole. Sebbene all’interno delle mura siano perdurate colture agrarie sino all’unità d’Italia “… quando la città era piccola … si ricercavano nella vegetazione” soprattutto funzioni estetiche e psicologiche, soddisfatte dai giardini, “manifesta e felice negazione della natura al naturale (Lux)… Nelle città moderne … le esigenze sociali della collettività … prevalgono su quelle private. Acquista quindi grande importanza il giardino pubblico, la cui filosofia è profondamente diversa da quella dei giardini privati, .. modeste aree verdi di carattere ornamentale, come le alberature di piazze e viali e le aiuole decorative” inidonee a fronteggiare le rinnovate esigenze dei cittadini, tra le quali la mitigazione degli eccessi climatici, la depurazione dell’aria, la regimazione delle acque meteoriche e spazi di biodiversità.

Insieme a Firenzecologia è stata pubblicata la Carta ecologica del Comune di Firenze, che evidenzia numerose aree agricole abbandonate, alcune in corrispondenza di interventi edilizi, attesi anche per decenni e non realizzati, come a Novoli nelle aree Nucci. La situazione trent’anni dopo è molto mutata, alcuni terreni abbandonati sono stati rimessi a coltura, altri sono stati edificati o infrastrutturati, altri ancora si sono evoluti in habitat boschivi, riconosciuti dalla Regione Toscana nel Piano paesaggistico e tipizzati nel Repertorio Naturalistico Toscano ReNaTo soprattutto col codice H027, trattandosi di alberature pioniere di pianura.

Questi habitat si sono sviluppati nelle aree estrattive abbandonate, e di questo tratto nell’articolo sulla Rivista Agraria.org, e nei cantieri edili abbandonati, abbastanza diffusi a seguito della crisi immobiliare.

La visione biocentrica dell’evoluzione dell’uso del suolo nei Comuni della piana fiorentina è ben espressa nel rapporto del WWF 2013 Riutilizziamo l’Italia; il WWF ha intrapreso un percorso di ricognizione, rivalutazione e messa in rete dei frammenti ecosistemici, da completarsi anche a scapito della rendita fondiaria residua, nell’interesse pubblico.

Il canitiere abbandonato di viale Belfiore
Il cantiere abbandonato di viale Belfiore

In questa ottica, preso atto della rinaturalizzazione in corso, il Comitato dei cittadini ex FIAT Belfiore-Marcello ha segnalato come area naturale il cantiere abbandonato da sette anni dalla BTP, poi FIDIA, ai fini dell’edizione 2016 del censimento dei “luoghi del cuore” del Fondo per l’Ambiente Italiano.

Sono state raccolte molte firme, da parte di cittadini attivi consapevoli della carenza di spazi pubblici in genere, ma soprattutto di spazi dove prevalga non un “verde” generico, bensì di valore naturalistico, diventando con l’occasione osservatori appassionati dell’entomofauna (es. libellule) e avifauna che progressivamente popola gli spazi abbandonati. Particolarmente interessati si sono rivelati studenti, intenzionati ad approfondire la tematica nelle loro tesi di laurea, e giovani professionisti, come Marco Giuseppi, autore dell’articolo Paesaggi periurbani sospesi tra abbandono e valorizzazione, nuovi approcci.

Altre persone hanno rifiutato di firmare, esternando l’avversione per una visione urbanistica biocentrica; provo a raggrupparle in base alla motivazione addotta per non amare la natura spontanea, il “terzo paesaggio” di G. Clément, tenendo presente che sono possibili identità multiple.

  1. Ossimorici “ambientalisti del fare” che antepongono lo sviluppo economico alla natura, alla quale riconoscono diritto residuale d’esistenza nella misura in cui contribuisce allo sviluppo.

  2. Idealisti crociani, che non ammettono l’evoluzione del paesaggio al di fuori del controllo umano, basandosi su un’estetica formale astratta, spesso giustificandosi con la storicità del paesaggio toscano, come se non esistesse un indice di naturalità internazionalmente riconosciuto, con una graduazione dal totalmente artificiale (0) all’ecosistema vergine (10), con gli habitat postcolturali posizionati nel mosaico paesaggistico a un dignitoso valore 6.

  3. Automobilisti impenitenti, che orgogliosamente rivendicano spazio per parcheggiare la loro auto, anteponendo il loro diritto (?) alla mobilità individuale motorizzata ad altre funzioni, pregiudizialmente indisposti alla riduzione del parco auto, che è la soluzione risolutiva.

  4. Persone dal superego rigidamente strutturato, che non ammettono l’anarchia della natura, proiezione del loro inconscio profondo al quale non riconoscono né dignità né spazio.

Con le persone dei primi due gruppi è quasi impossibile interagire, con quelle del gruppo 3 sto faticosamente lavorando di lima e di bulino e qualcuna ha già rinunciato all’automobile, a quelle del gruppo 4 consiglierei nel loro interesse una psicoterapia, qualcuna sta pian piano autonomamente ammorbidendo le proprie posizioni anche a seguito di riflessioni indotte dal censimento FAI.

Quanto agli “ambientalisti del fare” un caso eclatante è rappresentato dall’archivio storico dell’UE a Villa Salviati. Con importanti finanziamenti pubblici, anni fa fu realizzato l’archivio interrato; il terreno di risulta fu impiegato per livellamenti nel contesto di un progetto, elaborato dall’Università di Firenze, di ripristino delle antiche colture, abbandonate da decenni, con grande enfasi sulla agro-bio-diversità. Espressi le mie perplessità su un’operazione distruttiva di un ecosistema postcolturale, ma il progetto generale, comprensivo della rimessa a coltura, fu approvato in conferenza dei servizi. I terreni furono lavorati … e subito abbandonati, a spese dei contribuenti; oggi chiunque può constatare la ricostituzione spontanea dell’arbusteto preesistente. Uno stralcio del finanziamento fu attenzionato dal ROS, con indagini a carico dell’impresa appaltatrice e del Provveditore alle opere pubbliche pro tempore, condannato.

In conclusione piace citare nuovamente Pier Virgilio Arrigoni: “dovrebbe essere verificata la possibilità di realizzare interventi conservativi e di indirizzare le trasformazioni verso ordinamenti paesaggisticamente ancora validi” rese economicamente sopportabili dirottando “risorse pubbliche e private oggi destinate allo sviluppo di un giardinaggio intensivo di dubbio valore estetico” e Marco Giuseppi: “la gestione e la progettazione del verde urbano e periurbano non deve essere priva dei processi partecipativi che possano coinvolgere la cittadinanza attiva nelle scelte effettuate, perché realizzare parchi urbani e periurbani non è da intendersi soltanto come un semplice processo di abbellimento o di valorizzazione, ma corrisponde all’assunzione delle responsabilità da parte del progettista consapevole di andare ad operare in un contesto storico ed evolutivo che caratterizza la città e i suoi dintorni”.

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Paolo Degli Antoni

Paolo Degli Antoni, dottore forestale, Comitato Ex Fiat Belfiore-Marcello

2 commenti su “Ami la natura? Sei un “ambientalista del fare”? Oppure hai bisogno di una psicoterapia?”

  1. Pingback: Tutela del patrimonio arboreo e arbustivo di Firenze - Rivista di Agraria.org

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