Il 24 ottobre scorso è stata rimandata a data da destinarsi la sentenza del processo di appello contro 11 antifascisti fiorentini per i fatti di via della Scala del 23 maggio 2009, dopo che il primo grado si era concluso con una condanna a 8 mesi per “tentate lesioni”.
I fatti. Quel giorno i neonazisti toscani di Forza Nuova si erano dati appuntamento presso un negozio di un loro camerata in via della Scala, e in serata si sono resi protagonisti di aggressioni e minacce in tutto il centro di Firenze, girando indisturbati con mazze e catene. Vari ragazzi e ragazze minacciati e rincorsi dai fascisti hanno segnalato la cosa e chiesto aiuto, e a seguito di questo allarme diversi compagni sono accorsi in zona Santa Maria Novella, dove sono stati intercettati dalle forze dell’ordine, che si erano guardate bene dall’intervenire nei confronti dei fascisti. Nessuna rissa, nessuno scontro, quindi. Semplicemente un manipolo di picchiatori neri liberi di scorrazzare nel centro di Firenze, e 11 antifascisti sotto processo.
Non che ci sia da sorprendersi troppo della vicenda, non è la prima volta che le istituzioni mostrano una colpevole indulgenza nei confronti dei movimenti di estrema destra, evidentemente funzionali – come sempre – al mantenimento e alla gestione del potere da parte delle classi dominanti: dalla repressione delle lotte operaie e contadine da parte del movimento fascista prima e del regime poi, alla strategia della tensione e alle stragi, fino ai fascisti di un qualche millennio a braccetto con improbabili leader nazionali, sempre protetti da polizia e carabinieri.
Non è il solo processo che si sta tenendo a Firenze nei confronti di chi ha partecipato a mobilitazioni antifasciste ma non solo: il 18 novembre è attesa la sentenza del “processone” contro 86 imputati di vari movimenti fiorentini, e poi per i fatti delle Piagge ancora a contrasto di iniziative di Forza Nuova, i presìdi contro la sede di Casa Pound, e altro.
Un clima repressivo generale che si va inasprendo, nelle aule di tribunale come nelle piazze, dove sempre più frequentemente le forze dell’ordine intervengono con estrema durezza: lo abbiamo visto contro gli studenti al Galileo, lo abbiamo visto a Bologna nei giorni scorsi. Il manganello e la denuncia sono in gran voga in questo periodo, e segnano con violenza una feroce contrazione degli spazi di agibilità politica nelle città: non si può contestare, protestare, mettere in discussione il potere, i suoi personaggi, i suoi simboli. Vietato.
Ma vietare non sempre serve. E a fronte di questo inasprimento dell’apparato repressivo occorre innanzitutto comprendere come questo sia uno dei fattori del conflitto in essere, non un semplice “accidente” che a volte può capitare: la repressione ha tante forme, non solo le più evidenti, ed è sempre presente laddove si alzi una voce critica e si sviluppi un conflitto. E deve essere considerata un fronte di lotta.
E qui, contro un dominio sempre più feroce in nome del profitto dei mercati, dell’ordine e della sicurezza, e contro l’apparato repressivo che lo sostiene, è determinante sviluppare la solidarietà: è un’arma potente, se agita con continuità e determinazione, imparando dalle esperienze e aumentando il livello di consapevolezza.
Come ci ha insegnato il movimento NOTAV, uniti e solidali, senza divisioni fra buoni e cattivi, proseguiamo nelle lotte.
Maurizio De Zordo
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