Nella propaganda elettorale dei fautori della controriforma costituzionale viene utilizzato un argomento retorico fortemente demagogico e fuorviante che porta a dire che la risposta al quesito referendario, appunto il NO, è posizione conservatrice, è posizione di chi non vuole cambiare lo stato di cose esistente, di chi non vuole innovare.
Ci sono referendum a cui abbiamo o avremmo – per questioni di età non tutti lo hanno potuto sempre fare – votato NO e che hanno reso migliore e più civile questo Paese.
Non è paradossale ricordare che i due referendum abrogativi più famosi, quelli che hanno dato una svolta in tema di diritti, siano stati due sonori NO.
La prima consultazione referendaria fu una grande vittoria delle forze che si opponevano al regime democristiano dell’epoca: il referendum sul divorzio. Nel 1970 era passata una timida legge che introduceva il divorzio, la legge c.d. Baslini-Fortuna dai nomi dei politici proponenti. Timida nelle prescrizioni – erano necessari almeno cinque anni di separazione per ottenere il divorzio e, per colpa, sette – e timida financo nel lessico: non si poteva infatti divorziare ma far “cessare civilmente gli effetti civili del matrimonio”.
Il NO all’abrogazione raggiunse quasi il 60%. Erano anni di grandi movimenti e grandi manifestazioni. I partiti si allinearono nella difesa della legge ad eccezione della DC e del MSI. Ad oggi, la vittoria del NO all’abrogazione del divorzio, viene ricordata come uno spartiacque nella cultura democratica di questo paese.
Qualche anno più tardi – nel 1981 – sotto attacco ci finì la neonata legge sull’aborto frutto di un compromesso, comunque decoroso, al netto di alcune sbavature, anche importanti, come l’ammissione dell’inammissibile obiezione di coscienza. Similmente alla legge sul divorzio il lessico fu quanto meno cauto: la donna non abortiva, la donna interrompeva volontariamente la gravidanza. Paradossalmente, nella legge c.d. sull’aborto, il termine aborto non compare mai!
Le richieste di abrogazione furono in questo caso due: una del fronte cattolico (referendum massimale), l’altra del partito radicale (referendum minimale). Il primo avrebbe riportato l’aborto come reato, il secondo avrebbe liberalizzato verso le strutture private. Entrambi bocciati con un NO sonoro. Nel fronte del SI sempre democristiani e missini e sempre la loro concezione di uno Stato che si confondeva con la religione e che negava l’autodeterminazione sul corpo delle donne.
Ricordiamo però che il 4 dicembre andremo a votare per un referendum confermativo/oppositivo alla revisione costituzionale e non a un referendum abrogativo. Anche in questo caso i precedenti ci inorgogliscono. Nel 2006 siamo andati alle urne per confermare o meno la riforma costituzionale voluta dall’allora governo Berlusconi che avrebbe introdotto una sorta di premierato, che avrebbe modificato il rapporto tra Stato e Regioni, che avrebbe diminuito i poteri del Presidente della Repubblica. Anche in questo caso la bocciatura è stata forte: oltre il 60% dei voti a favore della Costituzione del 1948 uscita dall’assemblea costituente. Votò contro anche il centrosinistra.
La partita che si gioca domenica prossima è simile a quella del 2006. Si cerca una definitiva resa dei conti del sistema parlamentare e, più in generale del sistema della rappresentanza. Con il “combinato disposto” legge elettorale/riforma costituzionale si vogliono porre le basi per un sistema squilibrato, ipermaggioritario, accentratore e non rispettoso dei principi di rappresentanza.
Con la legge elettorale, infatti, fanno strame proprio dei principali diritti di rappresentanza in nome della “governabilità” (concetto nato con Craxi negli anni ottanta dello scorso secolo, a proposito di innovazioni!) che sta a significare che in Parlamento si attribuisce un premio c.d. di maggioranza, ma che è dichiaratamente di minoranza, che permette di avere un numero enorme di parlamentari non eletti realmente.
Con il Porcellum alla Camera il Pd ne ha avuti “in regalo” uno per ogni due parlamentari eletti. Con la legge porcata di Calderoli il Partito Democratico si è improvvisato “costituente” e domenica cerca un plebiscito a sua conferma politica.
Il Governo Renzi – e il partito da lui diretto – ha deciso di mettere le impronte digitali sul progetto di stravolgimento della Costituzione approvato a maggioranza. Abbiamo assistito a una trasformazione dello schieramento di centrosinistra ormai del tutto indistinguibile dal centrodestra: ne ha mutuato, infatti, programmi, comportamenti, valori, linguaggi, alleanze e, soprattutto, è diventato il referente politico di tutti i poteri dominanti. Hanno appoggiato il progetto renziano le banche d’affari, le associazioni confindustriali di ogni settore, la finanza internazionale, governi esteri e tanti altri soggetti di eguale natura a cominciare da tutta la grande stampa.
Voteremo NO convintamente perché dietro questo progetto di revisione costituzionale – per altro di pessima fattura tecnica – troviamo una vera e propria “resa dei conti” e di archiviazione della Costituzione nata dalla resistenza. Difendere l’attuale testo costituzionale significa difendere gli spazi di libertà e di democrazia residui.
Per altro ci sono dei Si che pronunceremmo volentieri: diremmo SI all’abrogazione del Jobs Act, Si all’abrogazione della legge c.d. Buona scuola, diremmo Si all’abrogazione dello Sblocca Italia, Si all’abrogazione delle legge sull’immigrazione c.d. Bossi Fini e ci sarebbero tante leggi approvate, nonostante la Costituzione, che meriterebbero la cancellazione immediata.
Questo per sottolineare – se mai ce ne fosse bisogno – che non stiamo difendendo il migliore dei mondi possibili.
Il 4 dicembre votiamo e facciamo votare NO allo stravolgimento della Costituzione.
*Luca Benci
Luca Benci
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