Il prezzo da pagare

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Ricordate le repubbliche marinare? Sussidiario di quarta elementare, pagina venti: allora in Europa c’era una miriade di repubbliche marinare ma il libro elencava solo quelle italiane e neanche tutte: Venezia Genova e Amalfi. E Pisa!

Pisa era un gioiellino di marmo e il sole a mezzogiorno la faceva brillare tutta senza inciampare nella torre storta, arrivarci da Firenze costava un sacco di biada o una pagnotta. Il progresso ha reso più agevole quel viaggio, ma assai meno economico, come ogni cosa: oggi il biglietto del treno da Firenze a Pisa costa otto euro virgola quaranta e vale sei pagnotte o tre sacchi di biada.

Solo tre anni fa costava quattro pagnotte. Cosa è successo, è sceso il prezzo del pane? Se è così anche la biada è scesa perchè due, tre anni fa sei euro e qualche spicciolo bastava a fare un viaggio piacevole per tutti e a tanti necessario.

Si attendeva in sala d’aspetto e si leggevano gli arrivi e le partenze con la consueta smorfia di supponenza che l’italiano mette davanti a ciò di cui ha paura. Al segnale convenuto si sfilava in buon ordine lungo il binario, dove si potevano incrociare i mendicanti senza essere importunati da chi gli dà la caccia. Mai e poi mai si sarebbe corso il rischio di ritrovarsi tra i piedi energumeni in mimetica armati di tutto punto. Allora i treni erano a portata di mano, il personale a terra non si frapponeva tra noi e la carrozza chiedendo il biglietto a chi non vuol salire.

biglietti 2Forse è per questo che costava meno, mancavano tanti servizi che oggi l’impero finanziario costituito da ferrovie pubbliche treni privati e vigilanza armata ci impone.

Come erano sicure le strade quando non c’era Strade Sicure, come si girava bene l’Italia prima che i treni si chiamassero Italo e Trenitalia!

Ma in mezzo a quel bengodi, la coscienza era infelice perchè l’uomo non è fatto per una società completamente amministrata e per sentirsi vivo si concede qualche pazzia, qualche trasgressione, come non timbrare il biglietto, o timbrarlo varie volte.

Era facile, volendo, perchè il titolo di viaggio valeva mesi e mesi dall’emissione e sei ore dall’annullo, si poteva percorrere due volte la stessa tratta, a volte anche tre, confidando nell’azzardo.
Con quelli chilometrici poi era uno scherzo: si andava su e giù senza incontrare ostacoli sul proprio cammino, c’era solo un punzone da far collimare con il precedente.

Si poteva trasgredire sempre ma non si faceva spesso perchè costava poco e perchè la trasgressione è più libidinosa se si pone dei limiti. Ora non si può ma si farà lo stesso perché viaggiare costa troppo.
Ai rincari si aggiunge la protervia, marchingegni escogitati per rendere improcrastinabile la partenza e irreversibile il pagamento, controlli in viaggio e a terra sempre più serrati e controllori sempre più stressati, cartelli intimidatori, proclami autoritari e razzisti che che piovono dagli altoparlanti come nel periodo nero della storia europea…

Quando un sindacato mi chiese una mano per una campagna contro le aggressioni ai controllori, eventualità barbara e stupida, invitai i lavoratori delle ferrovie a lottare per abbassare i costi del biglietto, nella convinzione che le ristrettezze economiche ci rendono tutti un po’ barbari e stupidi.
I prezzi sono aumentati, molti lavoratori sono stati ripetutamente feriti dai passeggeri e umiliati dai manager e la campagna non è servita a niente.

*Massimo De Micco

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Massimo De Micco

Massimo de Micco, 1972, fiorentino, essendo cresciuto negli anni Ottanta e Novanta si ritrova una formazione psicologica, una partita iva e una ricca e variegata esperienza professionale nel campo della formazione, ma è anche illustratore,fumettista e cartoonist. Ha partecipato a iniziative culturali, sociali e politiche di varia natura, a condizione che fossero libere, solidali e auto-organizzate, dagli Studenti di Sinistra a Kykeion, da Violetta van Gogh a Black Notes, da Fuoribinario a Radio Cora. E' tra i fondatori del gruppo Palazzuolo Strada Aperta che ha dato vita in questi anni alla Book Bike e si appresta ad aprire a Firenze la Biblioteca Riccardo Torregiani.

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1 commento su “Il prezzo da pagare”

  1. Paolo Degli Antoni

    Lo humor amaro, apprezzabile cifra stilistica dell’autore, rende paradossalmente divertente leggere articoli dal contenuto tristissimo.
    Abbadonando purtroppo, per mio temperamento, l’amabile stile di Massimo De Micco, intendo accennare a un tema di cui troppo poco si parla: una delle caratteristiche dell’evoluzione commerciale nei Paesi capitalisti dal secondo dopoguerra ad oggi è il crollo vertiginoso del prezzo del cibo al dettaglio, al punto che una pagnotta (o un Kg di pasta) costa come mezzo sacco di biada e come un sesto di biglietto ferroviario.

    Le classi sociali medio-basse nel dopoguerra spendevano oltre la metà delle entrate mensili per l’alimentazione e per i consumi connessi (pulizia della casa); oggi ne spendono circa il 20%, nei Paesi europei più ricchi il 15%. Ma non comprano gli stessi prodotti nello stesso modo.
    Chi compra in una bottega di vicinato 1Kg di pasta di grano duro Senatore Cappelli biologica toscana spende 5 o 6€, questo è l’importo da confrontare col biglietto del treno, che resta comunque caro (era giusto quello di tre anni fa?).

    L’abbattimento dei prezzi degli alimentari è stato possibile con diverse azioni, tra le quali:
    – standardizzazione e banalizzazione della qualità, riduzione della diversità varietale;
    – ampio impiego della chimica, con rischio di contaminazione dei cibi, riduzione del carbonio immagazzinato nel suolo come sostanza organica e uccisione massiva della flora microbica, della micro e mesofauna del suolo;
    – meccanizzazione spinta, con consumo di idrocarburi e peggioramento della caratteristiche fisiche dei suoli per compattazione;
    – economie di scala rese possibili dalla specializzazione e dalle maggiori dimensioni aziendali;
    – costi irrisori dei trasporti via mare o via treno di derrate a lunga conservazione;
    – grande distribuzione organizzata e hard discount diffusi nei quartieri cittadini (raggiungo a piedi da casa mia negozi di tre diverse catene e una quarta catena con una sola fermata di treno in 5′ di percorrenza).
    Per quanto mi riguarda personalmente, del primo e dell’ultimo punto sono soddisfatto, trovavo orridi i cibi “genuini” preparati con imperizia dai parenti (anche per questo il vino veniva cattivo e la salsa di pomodoro era piena di salnitro, non riuscendo bene la sterilizzazione fisica), con la logica poderile per cui si faceva un po’ di tutto, anche dove i terreni non erano vocati alle colture; non mi piacevano le varietà locali di ortaggi, selezionate per resistenza alle condizioni ambientali, non per il gusto (ho trovato poi migliori quelle standard); l’orario continuato e prolungato della GDO ha reso possibile lavorare a tutta la famiglia, senza la preoccupazione di fare la spesa prima che la bottega chiuda.
    Ma per quanto riguarda gli altri punti sono preoccupato.

    La diminuita incidenza della spesa alimentare avrebbe potuto rendere accessibili consumi altrettanto importanti, come la cultura e l’istruzione, le vacanze per motivi di salute e di crescita personale.
    In realtà quel risparmio in Italia è stato mangiato in buona parte dall’impennata immobiliare registrata fino al 2007. Mia mamma, quando guadagnava 3.500.000 £ nette l’anno, comprò un appartamento con 7.000.000 £. C’erano molti lavori da fare. Lo rivendette (con molti lavori da fare!) all’inizio del 2002 per 300.000.000 £ quando guadagnava 35.000.000 £.
    Qualcuno sostiene che oggi si spende molto in telefonia; ricordo come si stava attenti a telefonare negli orari a tariffa ridotta e la bolletta era comunque cara, per un servizio modesto.
    Quando viaggiavo da pendolare per lavoro esisteva la mitica tariffa 22, poi soppressa. Oggi quel pendolarismo mi costerebbe davvero caro.

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