Quando si tratta di rifiuti, che siano industriali o urbani, organici o inorganici spesso preferiamo non vedere. E quindi non sapere.
Ma che a prendere la via della discarica o quella dei forni degli inceneritori sia quasi la metà dei 30 milioni di tonnellate di rifiuti che si producono in Italia ce lo ricorda il rapporto Ispra pubblicato a fine anno.
E se lo smaltimento in discarica interessa ancora il 26% dei rifiuti urbani, la quantità di quelli inceneriti arriva ben al 19%, compresa la plastica (è sempre più quella bruciata di quella riciclata).
Anche se, nel 2015, è aumentato il riciclo (con il 7% della raccolta di cibo avanzato, scarti di cucina, potature, con un organico che ammonta a circa 5 milioni di tonnellate) una gran quantità di rifiuti organici che finiscono in discarica non è comunque sottoposta ad adeguati trattamenti per migliorarne la stabilità, ridurne l’umidità, contenerne il volume.
Lo imporrebbero tra l’altro sentenze della Corte di Giustizia europea e del Consiglio di Stato nel pieno rispetto di norme che prevedono una rigida identificazione e classificazione in base ai trattamenti effettuati.
E se l’analisi dei dati relativi alle diverse forme di gestione messe in atto a livello regionale evidenzia riduzioni significative dell’utilizzo delle discariche in funzione della efficienza degli impianti di trattamento (Veneto, Lombardia) e mostra anche che l’incenerimento non sembra determinare un disincentivo alla raccolta differenziata, vi sono regioni come la Sicilia che continuano a smaltire in discarica quasi tutti i rifiuti prodotti o che trasferiscono quote rilevanti di rifiuti fuori regione (Lazio, Campania, Calabria).
In un quadro che continua ad essere negativo, di particolare gravità quanto è successo in Umbria.
A far scoppiare il bubbone ancora una volta un’operazione disposta a fine novembre dalla Magistratura e coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Perugia con dispiego di agenti della Forestale e della Guardia di Finanza.
Operazione analoga a quella dell’ottobre dell’anno scorso con indagini che si sono concentrate sulle discariche di Borgogiglione e di Pietramelina e che hanno appurato gravi danni all’ambiente, con impianti incapaci di ottimizzare le quantità di rifiuti organici da trattare, trasformazioni dell’organico volte non ad ottenere compost di qualità quanto piuttosto a camuffare operazioni di recupero di rifiuti che «non venivano effettuate o venivano parzialmente effettuate», come si legge nel testo diffuso dagli inquirenti.
Insomma è spuntata l’ipotesi di una truffa bella e buona con la complicità di laboratori di analisi, con tanto di bolle di carico e scarico di rifiuti taroccate o fatture emesse per operazioni mai avvenute e con la Gesenu (la società di servizi legata fino a qualche mese fa a Manlio Cerroni il re di Malagrotta) a mietere profitti (27 milioni di euro in utili) e i cittadini a pagare tariffe tra le più salate in Italia.
Associazione a delinquere, traffico illecito di rifiuti, inquinamento ambientale, frode in commercio e in pubbliche forniture i reati contestati a quattordici indagati: agli arresti era finito il direttore della Gesenu Sassaroli.
Vicende di malaffare queste accadute in provincia di Perugia non dissimili da quelle che hanno coinvolto nei mesi scorsi le imprese delle limitrofe province di Siena o di Arezzo dove, sempre a fine anno, si era dimesso il direttore generale di ATO Toscana Sud, Tacconi, dopo l’arresto per corruzione e turbativa d’asta del suo predecessore.
Sembra proprio che un sistema di potere (e con esso una politica che ha sacrificato in nome dei profitti ogni elemento di controllo e di equità) abbia preso inesorabilmente in Umbria come in Toscana, alla stregua dei rifiuti, la via della discarica.
*Maurizio Fratta
Maurizio Fratta
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