Speriamo che ripiova

Sollecitato dai precedenti articoli a proposito di inquinamento atmosferico in Toscana, a partire da quello di Maurizio Da Re, e dalla redazione della rivista, espongo alcune riflessioni sul 2016 appena passato.

Come la stessa geografia dei luoghi lasciava facilmente immaginare, la piana fiorentino-pratese-pistoiese e quella lucchese chiudono anche il 2016 con superamenti della soglia di PM10 oltre i 35 giorni: Montale per 43 (31, 26 e 24 le vicine stazioni di Prato, Signa e Firenze Gramsci), Capannori per 44 (35, 33 e 30 le stazioni vicine).

LaGomeraIl fattore decisivo della persistente sospensione di polveri sottili è infatti l’ambiente geografico, inteso come orografia, come copertura vegetale del suolo (deserti, terreni agricoli nudi e superfici asfaltate sono i casi peggiori) e come tipi di tempo meteorologico, risultando avvantaggiate in tutto il mondo le località esposte a venti oceanici, meglio se portatori di frequente pioggia, svantaggiate le conche interne soggette a lunghi periodi anticiclonici asciutti, scarsamente ventilati, con inversione termica; caso paradigmatico le piane interne toscane nel dicembre 2015 e nel dicembre 2016.

PM10 e PM2,5 sono indicatori quantitativi basati sulla dimensione delle particelle in sospensione, le sottili penetrano nell’apparato respiratorio fino alla faringe, le ultrasottili fino ai bronchi.

La natura delle polveri è assai variabile e non c’è troppa chiarezza nemmeno tra gli scienziati, alcuni dei quali includono tra le fonti naturali gli incendi boschivi, notoriamente colposi e dolosi al 98%, dunque in realtà di origine antropica, e l’erosione del suolo, in gran parte effetto della mala-gestione agronomica del territorio. Fonti certamente naturali sono i vulcani e i deserti. Lo scirocco porta in sospensione grandi quantità di polvere del Sahara, provocando superamenti del valore di PM10 (es. in Toscana il 26 ottobre 2016) anche in collina (Siena-Bracci), pur senza raggiungere i valori compresi tra 200 e 600 µg per metro cubo registrati alle Canarie in caso di calima e i mg per metro cubo registrati durante le tempeste di vento nel Sahara. La polvere dei deserti ha una componente minerale (potenzialmente induttrice di silicosi? – chiedo ai medici che leggono), ionizzata positivamente, irritante, e una microbica, portatrice di infezioni e allergie.

La componente biologica delle polveri sottili comprende polline volatile, localmente in quantità enormi (ne sanno qualcosa gli allergici alle graminacee), aeroplancton virale, batterico, fungino e algale anche tossico, come nel caso della specie invasiva Ostreopsis ovata, che si ritrova da anni nei nostri mari, che nuoce a chi respira l’aerosol sulle battigie infestate.

Le polveri sottili di origine artificiale comprendono inquinanti di varia natura, per esempio pericolosi idrocarburi aromatici policiclici; secondo il rapporto “Qualità dell’aria in Europa 2016” la fonte principale a livello continentale sono gli edifici (prevalentemente per il riscaldamento), cui si aggiungono le emissioni industriali, agricole, da termovalorizzazione dei rifiuti, veicolari; queste ultime solo in parte dipendono dai gas di scarico dei mezzi a motore, in altra parte sono prodotto dei freni e dell’attrito di pneumatici sull’asfalto e contro questa particolare polvere a poco giovano provvedimenti limitativi del traffico, giacché essa si risolleva a ogni minima bava di vento e viene eliminata solo dalla pioggia (cfr velo schiumoso di prima pioggia dopo prolungate siccità) o dal lavaggio delle strade. La carta tematica forse più significativa del rapporto europeo è la 4.1, col valore di PM10 il 36° peggior giorno dell’anno (90,4 percentile): ne escono male i Paesi dell’Europa orientale, quelli mediterranei centro-orientali, Italia e Malta comprese, ma spiccano anche le stazioni portoghesi e spagnole più inquinate, sebbene geograficamente e climaticamente facilitate, Parigi, Bruxelles, Lussemburgo e la sedicente virtuosa Stoccolma.

Secondo Stefania Gilardoni dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del CNR, il traffico pesa al massimo per il 30%, la combustione di legna per riscaldamento domestico tra il 10 e il 30%, nelle aree rurali il settore agricolo potrebbe emettere la maggior parte delle polveri sottili (questo spiegherebbe il record toscano di Capannori).

Solo in tempi recenti son state diffuse quantificazioni delle polveri sottili per tipo di combustione, rendendo evidente l’enorme disparità tra la materia organica eterogenea, molto inquinante, e il modesto contributo all’inquinamento dato dalle combustioni quasi perfette di metano e propano; di queste differenze è fondamentale tenere conto in fase di predisposizione dei provvedimenti di contrasto all’inquinamento; la limitazione dell’orario d’accensione degli impianti a metano, per esempio, sortirebbe effetti impercettibili (il Comune di Pavia ha dimezzato gli sforamenti spingendo al 95% l’alimentazione a metano degli impianti di riscaldamento), mentre il divieto permanente di combustione di legna nei forni (con grande scorno degli amatori della cottura insaporita dalla diossina) e nei camini potrebbe essere un’apprezzabile misura di contrasto.

Il Comune di Capannori, quello toscano maggiormente afflitto dalle polveri sottili, ha pubblicato una graduatoria quantitativa delle fonti. Ma sarebbe assai più interessante fare una distinzione qualitativa, dato che le polveri sottili ricomprendono il benefico aerosol marino anionico e veleni terribili quali i prodotti della combustione libera di materiale vegetale eterogeneo per umidità, natura e pezzatura (es. scarti della vivaistica, incendi boschivi). Del resto tante persone, me compreso, si sottopongono annualmente con soddisfazione a cure termali basate proprio sull’inalazione alla giusta profondità di PM10 e PM2,5 in sospensione, ma magari vanno allo stabilimento o rincasano attraversando la piana con numerosi abbruciamenti agricoli simultanei in orari d’inversione termica, con ciò forse perdendo tutto il beneficio della cura.

Il quadro conoscitivo pare ancora incompleto e anche questo, oltre alla prevalenza dei fattori meteo-geografici, rende difficile fissare provvedimenti di contrasto all’inquinamento atmosferico sicuramente efficaci; si vedano i dati rilevati il primo gennaio 2017, con traffico spontaneamente ridotto per la festività e con provvedimenti di contrasto in corso: tutte le centraline fiorentine hanno sforato, anche quelle che registrano l’inquinamento di fondo, Boboli e Bassi; i fuochi d’artificio avranno contribuito? Fanno impressione i valori massimi di PM10 registrati quel giorno in Toscana: 113 µg/m³ a Signa, 115 a Montale, 164 a Prato, 124 a Lucca e 140 a Capannori. Aria buona invece in collina/montagna sopra lo strato d’inversione termica, su isole e promontori.

L’ambiente tecnologico di combustione e la localizzazione degli impianti e delle infrastrutture inquinanti paiono pure essere fattori decisivi, la visita a moderni impianti di cogenerazione, quale quello di Dobbiaco-San Candido (BZ) risulta utile stimolo alla riflessione. La filiera di alimentazione è pure assai importante, perché il trasporto dei combustibili per centinaia di chilometri con automezzi su gomma vanifica anche i migliori intenti (molta della legna da ardere in commercio in Italia oggi proviene dai Balcani).

Un atteggiamento prudentemente precauzionale dovrebbe comunque indurre sin d’ora gli amministratori ad evitare di aggiungere o incrementare impianti (es. aeroporti, termovalorizzatori) nelle aree climaticamente e geograficamente sfavorevoli, dove l’inquinamento è già molto pronunciato. La riduzione del parco auto privato e delle superfici asfaltate è un altro obiettivo importante da perseguire, da incoraggiare con un efficace trasporto pubblico locale su ferro e con una rete ininterrotta di piste ciclabili. Non è più rinviabile neanche la riqualificazione del patrimonio edilizio pubblico e privato, rendendolo energeticamente sostenibile.

*Paolo Degli Antoni