Coccoli

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Questa volta propongo quello che si può definire il “finger food” primordiale toscano: il coccolo (a forma di pallina), che diventa a sua volta, cambiando comune: pasta cresciuta, zonzelle (di forma allungata e perfette per mangiare ripiene), ficattole (romboidali e piatte) e, a seconda delle zone, anche gli ingredienti, cambiano leggermente, così come cambiano gli accostamenti che vanno dal classico stracchino e prosciutto, alla nutella. Solo tre ingredienti fan da pernio a questo patrimonio ormai perso (alludo alle friggitorie che si trovavano per strada e dove ho proprio “consumato” memorabili merende) e restano immutati: la farina, il lievito, il friggere. Non resta immutato e purtroppo peggiorano, le possibilità di vivere quel che resta della città.

La proposta è la solita: consumare. Peggiorata a sua volta: ora devi consumare velocemente, tra una marea di pari offerte. La movida provoca poi la necessità del brunch. È il “vivere di notte” e non essere pronti ai tempi canonici dell’approvvigionamento del cibo, quasi il messaggio che una vita “legalmente” libera e “legalmente” dissoluta, porti di fatto ad un mangiare “altrettanto libero”. È proprio tutta la costruzione dei nuovi, finti e assolutamente vuoti spazi e occasioni che mi urta. Ancora una volta passa senza alcuna riflessione che la “felicità” ed il godimento, per esser tali, devono stravolgere il concetto di “fatica” rivenduto come pesante, inutile e nefasto. Si parla infatti di una nuova “comodità”, della possibilità di accantonare le “formalità”. Ti propongono il lusso (vetrine, super bar, mega dehors patinati) come un diritto, ma intanto sono loro che “ti mangiano” con i break, i fast, così come gli slow, gli apericena, gli after-hours…

Invece il lusso massimo è decidere dei tempi, delle pause, per merende, fermini, cestini e picnic, (quando si possa), come ci pare. Allora ci vuole una città, un posto dove stare, una seggiola da offrire e poi ancora una cucina, una madia, un libro di ricette, tanti amici e tutto ciò che la vita può, quando è permesso, portare con se, compreso tutti i personali lunch, fast, slow, aperi-pranzi, merende e chi più ne ha, più ne pretenda. Pretenda la possibilità di averli, viverli e condividerli e non si accontenti di “break di spazi” consentiti.

Tornando alla ricetta, siate certi che, come ogni preparazione con i lieviti, le trasformazioni, in cottura, son sempre uno spettacolo diabolicamente affascinante ed io vado in scena così:

  • 200 gr di acqua
  • 25 gr di lievito di birra
  • 150/200 gr di farina bianca 00

Con questi ingredienti preparo il “panetto”. Sciolgo il lievito nell’acqua, incorporo la farina, copro il recipiente e metto a lievitare. Ci vogliono almeno 30 minuti per farlo lievitare, lo vedete aumentare di volume e la sua consistenza tendere al soffice.

Mentre il panetto si “trasforma” preparate

  • 800 ml di latte fresco appena stiepidito
  • 1 kg. di farina bianca manitoba oppure una buona farina o (io uso quella del mulino Grifoni di Montemignaio)
  • un cucchiaino di sale fino

Appena il panetto è pronto cominciate a stemperarlo nel latte tiepido, aggiungendo la farina setacciata e il sale. Ora deve rilievitare il tutto, sempre coperto da un panno e tenuto in un angolo caldo, e questa volta ci vorranno almeno 2 ore. Quando vedrete l’impasto bello gonfio e compatto, fate delle palline non troppo piccole, friggete in olio bollente e offritele, dopo averle salate.

*Barbara Zattoni

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Barbara Zattoni

"Cheffa" del Ristorante Pane e Vino, autrice di libri di cucina e altro (La cucina del riuso - Il libro dei dolci) e modista. Ha collaborato con perUnaltracittà al ciclo d'incontri "Europa tossica". Attualmente insegnante di cucina a Cordon Blue e chef a domicilio. Il suo sito internet

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