Il Trolley

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Da strisciante portabagagli a icona della reazione: così il trolley, dopo aver invaso le nostre città, si appresta a distruggerle. Mi riferisco all’uso politico che ne sta facendo Caio figlio di Tizio ora che si è svegliato e pensa di trovarsi ancora in campagna elettorale.

Se è chiara l’azione di governo che il soggetto ha svolto e sarebbe ancora disposto a svolgere, è chiaro anche che essa comporta, come danno collaterale, la distruzione fisica di molte città nei teatri di guerra e la svendita dei servizi e dei monumenti in tempo di pace. Il trolley che Caio figlio di Tizio si porta ai comizi starebbe a significare che se va su lui tutto questo complesso militar-turistico riparte. Ecco perché quando sento le maledette rotelline zoccolare sull’asfalto ineguale del marciapiedi, inorridisco.

Come se non bastassero gli inconvenienti pratici di quell’ordigno infernale: ingombro, rumore, fatica, pericolo e smarrimento.

Ingombro

Secondo la nota legge di Wundt, le dimensioni di un trolley sono inversamente proporzionali all’autostima di un turista e direttamente proporzionali al narcisismo di un conferenziere. Mi spiego: il turista che ha paura dell’accoglienza che troverà, o dell’opinione che hanno di lui, o del cibo che mangerà, o dell’acqua che dovrà depurare da vibrioni e salamandre, è una persona non amata, cresciuta forse con il fiato sul collo ma con poche carezze e pochi “mi-piace”. Viceversa, il conferenziere che imbottisce la valigia di manoscritti da far vedere, caricabatterie e chiavette per non perdere neppure un minuto di connessione e anticoncezionali per le conquiste che farà, forse sovrastima se stesso e il mondo che lo aspetta: è difficile che questo pianeta trovi il tempo di girare intorno a lui, se già ruota intorno al sole e intorno al proprio asse…

Rumore

Va nella notte solcata dagli antichi neon una carriola più immonda della carretta dei monatti che portava al lazzeretto o al camposanto. Sul cemento emette un ronzio metallico, sull’asfalto cigola, ma è sull’acciottolato che fa più rumore, clonkete clonkete clonkete, come in una poesia di Palazzeschi. Non si può dormire e, massimo della pena, non è possibile distogliere l’udito come basterebbe fare con lo sguardo.

Fatica

Mettiamoci nei panni di quei poveracci che trascinano le loro masserizie per le vie di città che ambiscono a essere metropoli e non ci arriveranno mai, sempre troppo affollate o troppo vuote: per i forzati del turismo il trolley di giorno è una palla al piede e di notte un cane che ti viene dietro e ti costringe a torcere il collo per guardare continuamente sopra le tua spalla, per vedere se si impiglia in una pastoia di imballo davanti a un magazzino o se si incaglia in un tombino scoperchiato. Pensiamo a quando devono scendere e salire dai mezzi pubblici, dove nessuno li vuole e tutti adocchiano astiosi il trolley come se fosse la valigetta di Trump, quella che contiene i codici per scatenare la fine del mondo.

Pericolo

Un trolley può essere pieno di ciarpame di cotone mal tessuto e acrilico scadente, ma agli occhi dei tanti che non hanno niente può sembrare un forziere da rubare alla prima occasione. Se la proprietà privata è un furto il furto non lo è, perciò asteniamoci dal condannare. Ma c’è un pericolo più grande, perchè prepara il terreno a ogni altro male, la condanna sociale. Se hai un incarnato esotico, un volto orientale o un abbigliamento eccentrico e porti il trollei, no guardare i siti xenofobi. Non dovrebbe farlo nessuno, ma tu, sfiancato battelliere venuto da lontano, vi troveresti ingiurie a te e alla tua gente.
E se il sito xenofobo in questione è di quelli che si mascherano da forum di cittadini attivi contro il degrado, peggio: non ci troverai espliciti riferimenti alla tua etnia ma scilinguagnoli contro la globalizzazione che ti ha portato qui e se ti azzardi a rispondere passi tu da intollerante!

Smarrimento

Più è grande il trolley maggiori sono le probabilità che venga smarrito. L’apparente paradosso si spiega con il naturale anelito di tutti a una sempre maggior libertà: gli uomini nascono liberi ma appena possono permetterselo si incatenano a un trolley. Le catene con cui ci legano al cofano a rotelle sono formidabili, invisibili e strette, sono catene di natura psicologica e sociale, quali quelle elencate alla voce “Ingombro”: insicurezze, ambizioni, speranze.

Ma viene il giorno che la schiavitù ci pesa, la testa gira nella folla indifferente di un’indifferenza ostinata che rasenta l’ostilità e si smarrisce il bagablio a mano. Ci si accascia, si respira un attimo e poi si farà quel che si deve: domande denunzie e invettive, infine si ringrazierà il parente che ce ne regala un altro o l’amico che ci presta il suo, sapendo che in quel momento ci ha messo al polso una catena più pesante. A te, pover’uomo, o povera donna, dedico quello che ha scritto per te Julio Cortazar: nel Preámbulo a las instrucciones para dar cuerda al reloj parla di un orologio con la molla e non di una valigia con le ruote, ma tu sai bene che è la stessa cosa.

“Pensa a questo: quando ti regalano un orologio ti regalano un piccolo inferno fiorito, una catena di rose, una cella d’aria. Non ti danno soltanto un orologio, tanti auguri e speriamo che ti duri perché è di buona marca, svizzero con un’ancora di rubini; non ti regalano solamente questo piccolo scalpellino che ti legherai al polso e che passeggerà insieme a te. Ti regalano – non lo sanno, la cosa terribile è che non lo sanno –, ti regalano un nuovo pezzo di te stesso, un pezzo fragile e precario, qualcosa che è tuo ma non è il tuo corpo, che devi legarti al corpo con il cinturino come un braccio disperato appeso al polso. Ti regalano la necessità di caricarlo tutti i giorni, l’obbligo di caricarlo perché continui a essere un orologio; ti regalano l’ossessione di aspettare l’ora esatta nelle vetrine delle gioiellerie, agli annunci radiofonici, al servizio telefonico. Ti regalano la paura di perderlo, che te lo rubino, che cada a terra e si rompa. Ti regalano la sua marca, e la sicurezza che è una marca migliore delle altre, ti regalano la tendenza a paragonare il tuo orologio con gli altri orologi. Non ti regalano un orologio, sei tu il regalo, è te che regalano per il compleanno dell’orologio.”

Massimo De Micco

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Massimo De Micco

Massimo de Micco, 1972, fiorentino, essendo cresciuto negli anni Ottanta e Novanta si ritrova una formazione psicologica, una partita iva e una ricca e variegata esperienza professionale nel campo della formazione, ma è anche illustratore,fumettista e cartoonist. Ha partecipato a iniziative culturali, sociali e politiche di varia natura, a condizione che fossero libere, solidali e auto-organizzate, dagli Studenti di Sinistra a Kykeion, da Violetta van Gogh a Black Notes, da Fuoribinario a Radio Cora. E' tra i fondatori del gruppo Palazzuolo Strada Aperta che ha dato vita in questi anni alla Book Bike e si appresta ad aprire a Firenze la Biblioteca Riccardo Torregiani.

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