Mandato alle stampe esattamente 50 anni fa, nel giugno ’67, Lettera a una professoressa è un libro ancora attualissimo. Non solo nel metodo di scrittura – è stata una delle prime esperienze di scrittura collettiva moderna, sorto dalla collaborazione tra i ragazzi della scuola di Barbiana nel Mugello e l’animatore di quell’esperienza, Don Lorenzo Milani – ma anche per il suo contenuto politico. Parliamo infatti della prima vera inchiesta sulla scuola pubblica, di un messaggio potente che ha svelato i meccanismi formali e occulti della selezione di classe nel nostro paese, mettendo in moto le masse cattoliche (5 milioni di copie vendute) e dando il proprio linguaggio al Sessantotto italiano.
La “Lettera” urlava la necessità di istruirsi per rompere le barriere avvolgenti di un’istruzione superiore falsamente neutrale – disegnata ad uso e consumo di una borghesia gretta e reazionaria – che relegava all’ignoranza e alla subalternità i figli dei contadini e degli operai. Ma la “Lettera” urla anche a questo presente, in cui la qualità dell’istruzione ricevuta dipende ancora dal luogo di nascita e dalla classe sociale di appartenenza, in un meccanismo perverso per cui nascere in Calabria, all’Isolotto o a Quarto Oggiaro, vuol dire avere un destino di ignoranza già tracciato.
Di fronte alle teorie sbandierate dai governi per cui la scuola dovrebbe fornire la quantità e la qualità di manodopera richiesta dalle imprese – le stesse che non investono, licenziano e delocalizzano – Don Milani e i suoi ragazzi ci parlano della forza emancipatoria di una scuola che deve fornire prima di tutto gli strumenti per orientarsi nel mondo, per criticarlo, e quindi trasformarlo.
“Voi dite di aver bocciato i cretini e gli svogliati. Allora sostenete che Dio fa nascere i cretini e gli svogliati nelle case dei poveri. Ma Dio non fa questi dispetti ai poveri. E’più facile che i dispettosi siate voi.”
Scirdi
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