Lavoro Natura Valore: André Gorz tra marxismo e decrescita

Con il bel saggio di Emanuele Leonardi Lavoro Natura Valore – André Gorz tra marxismo e decrescita siamo al sesto saggio della serie di recensioni di testi sull’Ecologia Politica, presa in un senso un po’ più esteso che comprende una riflessione sul Comune e il capitale, mettendo così insieme una bibliografia ragionata dei contributi più recenti. L’autore lo avevamo già trovato (qui) come coautore della introduzione al testo di J. Moore, nonché come co-curatore (sempre con Alessandro Barbero) dello stesso.

In questo caso, siamo di fronte a un lavoro che ci restituisce lo stato dell’arte di tutte quelle ricerche inerenti l’ecologia politica (della quale Gorz – citato nel sottotitolo – è stato uno dei primi interpreti e uno dei più lucidi). Ma l’autore ci dà anche molti contributi originali:

i – indagando le trasformazioni del paradigma che raccoglie la triade Lavoro Natura Valore e quindi le dinamiche tra Valore e Ricchezza;

ii – mettendo a confronto l’elaborazione teorico pratica dell’esperienza operaista italiana e quella dell’ambito della decrescita;

iii – prendendo in considerazione il potenziale neghentropico del lavoro, in particolare di quello cognitivo, in contrapposizione al dispositivo entropico, espressione del nesso Lavoro Natura Valore classico orientato alla crescita;

iv – indagando le conseguenze della messa a profitto di quella parte del lavoro detta riproduttivo con disvelamento del lavoro occulto (di riproduzione, cura, formazione della forza lavoro).

Il filone di pensiero è quello che fa riferimento al concetto di riproduzione nella coppia riproduzione/produzione che caratterizza il sistema capitalistico. Il primo ambito svela la riproduzione della forza lavoro intesa come procreazione e come cura, rivelando quindi quel lavoro occulto quale il lavoro domestico e quello servile, da una parte (operazione ampiamente acquisita per merito dei movimenti femministi, Ariel Salleh parla di lavoro meta-industriale), dall’altra mettendo in primo piano l’atteggiamento che il sistema di produzione capitalistico tiene nei confronti della natura sia in termini estrattivi (in ingresso), sia usandola come discarica (in uscita).

Qui Leonardi ci fa prendere atto del carattere entropico del sistema, carattere che rivela una non riproducibilità all’infinito dello stesso, ma anche ci fa intravedere il potenziale neghentropico del lavoro di riproduzione, verso il quale il sistema post fordista ha però già rivolto le sue attenzioni. È dove, con un gioco di prestigio, trasforma quella parte del lavoro di riproduzione che corrisponde alla formazione della mano d’opera, in capitale fisso, fenomeno questo evidenziato dalla natura sempre più cognitiva del lavoro stesso, tutto questo non facendo nessun investimento ma delegandolo al lavoratore. Così il tempo della riproduzione, tempo non pagato, lavoro occulto, in realtà contribuisce – e sempre di più – alla produzione; il tempo passato in fabbrica non è ormai più di una frazione del tempo realmente dedicato al lavoro.

Leonardi cita una affermazione di Paolo Virno per il quale il general intellect non fa più riferimento al capitale fisso per divenire di fatto lavoro vivo. Il carattere neghentropico del lavoro cognitivo deve perciò essere liberato dalla sua subordinazione al profitto, sostituendo la logica del valore (valore di scambio) con quella della ricchezza (valore d’uso). Un uso che dovrà perciò privilegiare una produzione – realmente sostenibile – di valori in grado di soddisfare bisogni e desideri di tutti e non profitto per pochi. Questo significa anche un orientamento delle lotte non soltanto per il salario ma “oltre il salario”. L’elemento oltre, sarebbe lo spazio che le lotte operaie per il salario e per il controllo della produzione possono aver aperto per ipotizzare e provare a mettere in pratica sistemi e relazioni non impattanti e più egualitarie.

Ma l’autore ci dice di fare attenzione, il carattere neghentropico del lavoro cognitivo è simultaneamente espresso – messo in atto – e occultato in dispositivi che riescono a metterlo a profitto, a riprodurre cioè tutte le contraddizioni del capitale. Per Leonardi questi dispositivi sono la green economy e il carbon trading dogma dei quali parla (in termini critici) nei capitoli V VI.

Il lato ecologico dell’economia politica abita, dunque, dentro l’elemento riproduttivo della diade riproduzione/produzione, in quel versante dove la lotta di classe e le lotte per l’ambiente e per i beni comuni si caratterizzano come forme di svelamento dall’operazione di occultamento che il capitale ha fatto mettendo in atto quella che Moore (citato da Leonardi) chiama accumulazione per appropriazione (lavoro domestico, lavoro servile, doni gratuiti dell’ambiente). Ma anche nel semplice concetto che vede la natura come unica entità di produzione, verificando invece che il ciclo delle altre trasformazioni agisce su materie prime a bassa entropia verso scarti ad alta entropia.

La connessione tra lavoro e natura è tutta insita nel sistema di produzione capitalista. Il conflitto di classe non si può allora esaurire nel campo del salario e sulle condizioni del lavoro, ma deve potersi esprimere sulle finalità della produzione e sul tipo di forma merce messa in cantiere. Forse l’insieme è quello che aveva intuito Benjamin già nel 1940, quando – commentando Fourier – formula un auspicio dicendo che «un lavoro così ispirato al gioco non è diretto alla produzione di valori, ma al miglioramento della natura […] Una terra ordinata secondo questa immagine cesserebbe di essere parte “di un mondo in cui l’azione non è sorella del sogno”. L’azione e il sogno vi diverrebbero fratelli» (W. Benjamin, Parigi capitale del XIX secolo, Einaudi, Torino 1986 p.7; parzialmente citato da Leonardi, p. 66).

C’è un’altra citazione di Benjamin in esergo al primo capitolo che coglie trasversalmente quella connessione tra marxismo e progresso che ha rallentato l’incontro tra lotta di classe e difesa dell’ambiente. Si intende criticare quell’aspetto del marxismo quando ipotizza un percorso storico determinato e ineluttabile verso la società senza classi.

«Marx dice che le rivoluzioni sono la locomotiva della storia universale. Ma forse le cose stanno in modo del tutto diverso. Forse le rivoluzioni sono il ricorso al freno d’emergenza da parte del genere umano in viaggio su questo treno» (p. 31).

Il testo di Leonardi si muove su una doppia chiave. Da una parte la ricerca di strumenti di analisi della realtà, dall’altra quella degli strumenti per incidere sulla realtà. In questo, il riferimento a Gorz, trova materiale imprescindibile. Ad esempio, il ruolo e l’efficacia dei movimenti rispetto ai partiti politici. Movimenti che proprio nel momento nel quale si dichiarano apolitici (nei confronti dei partiti) trovano la loro efficacia politica, perseguendo lotte che rappresentano degli interessi specifici, lotte quindi non asservite alla logica del potere. Lotte che quindi esprimono libertà di espressione, di contestazione e di immaginazione.

Stranamente, i limiti dello sviluppo sono stati percepiti più chiaramente dal capitale che non dalle sue vittime, altrimenti come si spiegherebbero le azioni convulse quali «le riforme delle imposte, l’austerity fiscale, la deregulation e le privatizzazione, gli aggiustamenti strutturali, il crollo della sicurezza del lavoro, lo sbriciolamento del welfare» (nota 31, p. 86), quasi un raschiare il fondo del barile, attraverso l’appropriazione compulsiva di qualsiasi risorsa da espropriare alla ricchezza comune.

Come dicevo all’inizio uno dei meriti del libro è anche quello di avere raccolto i contributi speculativi della quasi totalità degli studiosi che hanno scritto qualcosa a proposito di “ecologia politica” con ampi spazi dedicati, ad esempio, agli apporti di diverse studiose femministe. Mettere al centro i processi riproduttivi e non soltanto i conflitti sul piano dell’organizzazione della produzione, mettere in discussione la centralità della forma salario per spiegarne i funzionamenti, sono i ragionamenti che quadrano e fanno convergere le lotte di genere, antirazziste, di classe e quelle per l’ambiente in un unico contenitore che cerca di organizzarsi a partire da questa nuova cognizione. I bisogni fondamentali si potrebbero racchiudere intorno a due obiettivi specifici quello della sostituzione della logica della ricchezza contro quella del valore e quello di ridurre il metabolismo sociale. Si constata così che entrambi gli obiettivi sono incompatibili con il modo di produzione capitalista, dice Leonardi.

Uno dei temi messi al centro della sua indagine è anche quello del possibile rapporto tra le eredità operaiste e il mondo delle “decrescite”. Ovviamente, queste ultime, sono spostate su un piano qualitativamente diverso: non si tratta di crescere ma di prosperare; non tanto competere ma condividere (p.152). «Non si snellisce il metabolismo sociale perché la catastrofe incombente lo impone, bensì perché il pieno godimento e la realizzazione diffusa del lavoro neghentropico richiedono da un lato un processo di de-mercificazione e dall’altro un intervento di messa in sicurezza dell’ambiente in quanto base materiale della riproduzione della vita sociale e dell’attività economica (svincolata dall’ingiunzione al profitto)» (p. 153). Vedi comunque il decalogo catalano (p. 172), che parla di debito, riduzione dell’orario di lavoro, reddito di base, così come di ecotasse, di incentivi alla produzione alternativa, riduzione dello spazio pubblicitario, limiti all’inquinamento, abolizione del PIL come indicatore di progresso.

Lo spostamento dell’attenzione dall’ambito produttivo a quello riproduttivo, non è una critica a Marx (semmai una nuova deduzione inserita di fatto nell’organicità del suo pensiero), ma a certi marxismi, perché, a ben vedere, per Marx il conflitto tra accumulazione capitalista e qualità dell’ambiente era già stato preso in considerazione. Leonardi cita la «frattura metabolica – cioè la rottura della circolarità energetica chiusa tra città e campagna a partire dalla seconda metà del XVIII secolo» (p.157).

Non si tratta di mettere in piedi delle operazioni generiche di decrescita, ma di sostituire al concetto di quantità di crescita, quello della qualità della stessa. Il divorzio, purtroppo, ha origini lontane nel tempo. La scienza di Galileo si occupava e si può occupare soltanto di quantità, la qualità era esclusa. Così arte, piacere, bellezza, amore e reciprocità si sono separate dalla scienza, permettendo, subito dopo, che l’organizzazione del mondo avvenisse intorno al profitto. Profitto in termini astratti, in termini di pura quantità, profitto per pochi e briciole per la maggioranza.

Questo non lo dice esplicitamente Leonardi, ma dice qualcosa di simile quando auspica, ad esempio, il riavvicinamento tra dimensione esistenziale e pratiche lavorative; che «i diritti della Pachamama e il reddito di base salgano sulla stessa barca rivoluzionaria» (p. 191). E qualche cosa a cui fare riferimento già esiste: «la forza propulsiva dei movimenti indigeno-contadini africani, asiatici e latino-americani sul piano globale, degli Indignados sul piano continentale, della sperimentazione municipalista napoletana sul piano nazionale» (idem).

Emanuele Leonardi, Lavoro Natura Valore – André Gorz tra marxismo e decrescita, Orthotes, Napoli Salerno 2017. Pagine 216, € 18.00.

 

*Gilberto Pierazzuoli