Per Antonin Artaud la libertà poteva essere un corpo senza organi. Un corpo libero da ogni funzionalità, bisogno e dovere. Libero dalla tirannia di dover ripetere all’infinito i flussi concatenati che obbligano il corpo ad assumere posture; ad essere attraversato da flussi; a divenire macchina produttiva.
Uno dei caratteri della rappresentazione pornografica è il close-up, una ripresa a campo stretto che si concentra sui particolari, ignorando il corpo completo. Si concentra per esempio sugli organi sessuali denudati sino all’eccesso: gli attori/attrici sono depilati proprio nel triangolo del pube. Si tratta dunque di un organo senza corpo. Il turismo delle città d’arte ha lo stesso atteggiamento: concentra lo sguardo sul particolare ignorando il corpo cittadino, ignorando il contesto. Favorendo l’eliminazione del contesto aiutati anche da certe amministrazioni incapaci di governare la contemporaneità lasciata alla mano invisibile del mercato che vede e provvede spesso a discapito dalla maggioranza dei cittadini.
L’aura dell’opera non è più collegata al suo uso, al suo rapporto con l’habitat e a quello con il suo creatore e con i suoi originali usufruttuari. Se parliamo di un quadro dovremmo pensare ad esempio alla chiesa dove ebbe la sua collocazione, ai fedeli che posarono su di esso lo sguardo, al tempo storico in cui tutto questo accadeva. E un po’ di questo contesto le opere tendono o tendevano a conservarlo. Non così le copie diceva Benjamin. Era questa l’aura dell’originale. Perché c’è anche un’aura che dipende dalla capacità dell’opera di essere testimonianza storica; che dipende dalla capacità dell’opera di mostrarsi in un altro contesto; dalla capacità del contesto ad accogliere ed esaltare questo fattore testimoniale. Ma il contesto contemporaneo va in un’altra direzione. Il valore dell’opera non è più il suo valore d’uso. Le opere d’arte nella città turistica non sono nemmeno valori di scambio, le merci in gioco sono altre: cibo, un posto per dormire, souvenirs. C’è un altro valore. Benjamin aveva creato appositamente il concetto di “valore d’esposizione”, che dunque risente dei punti di vista; siamo così ritornati all’opposizione campo largo e campo stretto della visione. Ma, come abbiamo visto, nel campo pornografico il campo è soprattutto quello stretto. Il che semplifica il lavoro dell’operatore turistico. Secondo un autore «i turisti hanno bisogno di tre informazioni fondamentali: bisogno di orientamento in luoghi stranieri, un interesse per la storia sociale e culturale del luogo, e, infine, la necessità di risparmiare tempo e denaro». Ma nella città d’arte moderna, rimanendo fissi gli altri due fattori, quello dell’interesse per la storia e la cultura del luogo si fa superfluo. È come voler sapere vita cultura e origini delle pornostar in “osservazione”. In questo caso fanno il loro sporco lavoro i markers turistici che non sono altro che il contenuto della top ten delle cose indispensabili da vedere. Per Firenze Il Duomo e il campanile di Giotto, il Battistero, Santa Croce e San Lorenzo, piazza della Signoria e Loggia dei Lanzi, il ponte vecchio, Gli Uffizi e San Miniato. Con i sotto markers come Il David, La nascita di Venere di Botticelli, l’Annunciazione di Leonardo o il Tondo Doni. Campo sempre più ristretto sino al close-up sul pube. E la visione non è un’intrusione nella vita altrui: le pornostar sanno di essere osservate, spesso ricambiano lo sguardo, con uno sguardo di totale indifferenza. Da professioniste. Come d’altronde le mannequins la cui prestazione professionale comporta anche uno sguardo che non rimanda a nessuna complicità con l’osservatore, dice Agamben. È questo lo sguardo o l’aura moderna che le opere d’arte restituiscono al turista. Certo il contesto deve essere neutro se non piacevole, se allarghiamo il campo non possiamo scoprire che quel pube appartiene a una strega o che in quella città si aggirino questuanti e senza tetto, ne va dell’aura.
Il termine “rispetto” ha una parentela etimologica con il “riguardo”, ma anche con il guardare indietro. Il rispetto implica la distanza, il tempo di un secondo sguardo. Fare anche un passo indietro. Fare un passo indietro allarga il campo. Troppe cose incompatibili con questo uso della città.
Che la città turistica sia pornografica è letto in negativo, non a partire da un’astratta posizione morale, l’uso non normato della sessualità ha anzi un potenziale disgregante, ma non attraverso la pornografia che non è altro che sottrarre la relazione tra corpi vivi, il gioco tra me e l’altro/a con la sua spettacolarizzazione commerciale, con la sua mercificazione. E la città pornografica sottrae di nuovo i corpi. Sottrae la relazione tra la città e i suoi abitanti. Astrae la fisicità stessa della città con la sua collocazione nel territorio che esprime un metabolismo tra spazi coltivati e spazi abitati; che in definitiva ne sospende la comunicazione ed ogni tipo di relazionalità.
È una vera e propria wasteland, quella che ci troviamo ad abitare, fatta di un’esteriorità spettrale, perché integralmente mercificata, e di un’interiorità desolata, colonizzata dalla catena produttiva dello stimolo-risposta (di cui la pornografia e la dipendenza da schermi sono gli esempi più evidenti). Non è turismo è voyeurismo e lo testimonia il comportamento dei turisti giapponesi che sono in fila per fotografare da quel particolare punto di vista il marker in questione perché non hanno tempo e strumenti per immergersi nel contesto, così riportano a casa le immagini che riguarderanno, o forse guarderanno/vedranno per la prima volta, accompagnandole con quel mugolio nasale indice da una parte del loro apprezzamento e dall’altra da una forma di un fondo di incredulità.
*Gilberto Pierazzuoli
Gilberto Pierazzuoli
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