Cinoir, un racconto

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L’ispettore Prequel fu svegliato nel cuore della notte dalla solita telefonata. La faceva Redford verso la fine del film. Ogni volta si ostinava a mettere un vhs prima di addormentarsi e ogni volta si addormentava a metà cassetta.

Quando il giornalista faceva quella chiamata, il volume si alzava e Prequel si ridestava con i sogni a mezzo. Pestava sul telecomando, cercava l’orologio, vedeva che era presto e tornava a letto, ma prima gli ci voleva un caffè che a lui faceva l’effetto di un sonnifero. Dopo l’ultima stretta alla moka si metteva a pensare a cosa aveva fatto di preciso Nixon, quale poteva essere il suo grado di coinvolgimento nello scandalo, ma quella parte del film gli mancava.

Il lettore sa bene che anche se fosse rimasto sveglio non avrebbe capito da quel film e forse neppure da tutti gli incartamenti che sono serviti a sceneggiarlo, ma Prequel credeva che se avesse tenuto gli occhi aperti avrebbe fugato ogni dubbio e questo gli dava fiducia in se stesso. D’altra parte la vita di un ispettore sanitario non conosce grandi emozioni. Grandi sollecitazioni sì, ma più di carattere fisico che intellettuale.

Quella volta dello scantinato, per esempio: cuochi improvvisati che smembravano carcasse in un sotterraneo a cui si accedeva da una scaletta buia. Prequel si era procurato uno di quei kit che fanno brillare il sangue, spruzzò il prodotto e accese l’aggeggio. La luminescenza blu era talmente forte da farlo sentire un pesce in un acquario, solo che il fondale erano ossa marce e i pesci c’erano ma di tre giorni e più.

Mentre beveva il caffè gli si appiccicava alle labbra, con lo zucchero, la frase di Redford che aveva colto alla tv prima di addormentarsi: “Non è quello che dice, ma quel che la gente non dice e come non lo dice…”. L’indomani aveva l’ispezione al Cineocchio. Il vecchio cinema versava i stato di abbandono perché il finanziere che lo aveva comprato aveva avuto anche lui problemi finanziari.
Ormai era stato ripulito anche dei sedili e dei proiettori. Una sera avevano aperto anche il frigo e invece di trovarci quello che ci doveva essere, niente, era saltato fuori un barattolo con resti umani sotto spirito. La cosa strana è che aveva un’etichetta che ne indicava puntigliosamente il contenuto e l’apporto calorico. Si chiedeva a Prequel se era una burla o qualcosa che il bar del locale aveva smerciato durante le proiezioni.

Angosciato dall’ispezione al sottoscala e impensierito dai misteri del Cineocchio, Prequel dopo il caffè si vestì come se fosse già mattina e se la fece a piedi fino al vecchio cinema. Il Cineocchio era un edificio giallo e spoglio, ma dal profilo curvilineo, come i palazzi di Paperopoli. Sulla facciata era rimasto l’alone di smog intorno alla scritta, che invece era stata divelta dall’incuria. Prequel notò che alcine lettere penzolavano ancora: una effe, una g rovesciata e la erre, di profilo ma riconoscibile dalla posizione. Si entrava da una saracinesca arrugginita. In un angolo, come sempre nei vecchi cinema, materassi e urina. Di fronte un bar per appassionati di baseball.

Questa la descrizione che a quell’ora Prequel riusciva a fare del locale che avrebbe dovuto ispezionare: periodi brevi, annotazioni sommarie per ridurre al minimo i contatti con l’esterno.

L’umidità dava a quella mattinata di lavoro extra una ripugnanza particolare. La sciarpa lo proteggeva dal freddo e dal mondo quel tanto che può una sciarpa e non quanto potrebbe una coperta. Dopo mezz’ora di passeggio incrociò il funzionario che lo aveva convocato. “Buon giorno Prequel, anche lei mattiniero… Un brutto affare, la sia esperienza ci sarà preziosa.” Non avendo alcuna esperienza di cose del genere, Prequel capì che alludeva alla sua proverbiale discrezione.

La discrezione è difficile, ricordate Redford, la gente che non dice le cose ma non sa tacerle viene sgamata subito. Prequel era bravo.

Entrando nel cinema, notò che il foyer era ingombro di suppellettili portate da fuori (sedie di plastica, latte, bidoni) mentre le sale erano completamente vuote, spogliate anche dei tendaggi e dei faretti. Una casa ripulita dei mobili sembra più grande, invece un cinema sembra più piccolo spogliato degli oggetti magici che conteneva. Oggetti su cui gli spettatori posano solo occhiate furtive, più che altro per non urtarli, ma che fanno sentire la loro presenza attraverso altri sensi: il tocco del velluto, l’ottone freddo con un retrogusto amaro che persiste sulla mano di chi l’ha toccato e se la porta alla bocca, la pelle finta e senza pori che ti annega nel tuo stesso sudore, la moquette che ha l’ingrato compito di far sentire solo i rumori che il regista ha deciso che tu ascolti…

Terminata la breve visita Prequel fu portato dietro il bancone e gli aprirono il frigorifero. La spina era inserita e benché la pompa fosse fuori uso da tempo, la luce si accendeva ancora. I proprietari infatti avevano continuato a pagare le bollette per permettere agli operai di lavorare alla ristrutturazione, mai avvenuta. Il barattolo era lì, con la sua etichetta, freddo perché era freddo l’ambiente. Bulbi oculari sguazzavano ammaccati come olive denocciolate. “Sono cinque o sei di almeno tre persone diverse”. “Bravo imbecille” pensò Prequel. Guardò l’etichetta: “Aperitivo. Conservare in logo fresco e asciutto”. “Se lei guarda c’è anche la scadenza” gli fece notare il funzionario.

Prequel indossò una mascherina, svitò il barattolo, prese un’ oliva e se la portò alla bocca, poi deviò il gesto facendo un cenno con l’altra mano come a dire “Ho la mascherina!” e la porse al funzionario che la mise in bocca, la ciucciò con voluttà e poi, accortosi di quello che gli stavano facendo fare, la risputò. “Ma che mi fa fare?”. “Scade tra un mese. Ma non bisogna fidarsi della data di scadenza e allora io assaggio”. “Ecco, assaggi lei!”. “Come era?” Prosegì Prequel. “Se facciamo astrazione di  quello che era, buono. Un sottaceto.” .”Ci sono altri barattoli?”. “Apparentemente no”. “Venga, facciamo due passi”.

La sua considerazione del funzionario era risalita, vuoi per la benevolenza che tutti proviamo verso coloro che riusciamo a giocare e a sottomettere, fratellini animaletti eccetera, vuoi per l’abnegazione dimostrata nel riferire il gusto di quanto aveva assaggiato. L’abnegazione piaceva a Prequel, prima come parola per quelle due consonanti che creano un ingorgo nel fluire irriguardoso di tante altre lettere, poi come concetto, ma ancora di più come esperienza: quando si abnega, non si bada al caldo o al freddo, al giorno o alla notte, si è tanti Catilina carichi come molle, pronti a scattare non appena si dia l’occasione di rompere le scatole a qualcuno. “Fino a quando abuserai…”

Il detto ciceroniano gli piaceva e gli sembrava adatto al funzionario, che lo faceva accorrere in un cinema chiuso la mattina presto, senza aver dormito, e per colazione gli serviva occhi sott’aceto.

“Occhi di che?” Chiese nella nebbia che con l’andar del mattino invece di diradarsi si infittiva.

“Occhi di chi, vorrà dire”. “Lei ha mai avuto dei conigli?” Chiese Prequl apparentemente soprappensiero. “Sì da piccolo a casa di mia nonna”. “E dava il nome a tutti?”. “No, solo a Fiocco, ma che c’entra questo discorso? Non mi faccia confondere, devo ancora prendere il caffè, anzi se vuol gradire…”.

Dopo gli occhi di coniglio ci starà benissimo”. 

Appena ebbe la tazzina tra le mani il funzionario ricominciò a usare il cervello. “Quindi secondo lei non c’è crimine, si tratta di una burla?”. “Il crimine c’è e gravissimo, ma è di quelli di cui mi occupo io, lei ora può anche andare a casa”. “L’abnegazione mi impone di restare finché non si spiega meglio”. Prequel se la rise e il funzionario pensò che ridesse della situazione, invece rideva dell’abnegazione. “Vede, io mi occupo di igiene. Se un esercizio che ora è chiuso conserva in frigo derrate con l’etichetta mendace, significa che quando era aperto le spacciava, mi segue?”

“La seguo e la precedo, sull’etichetta stava scritto Cineocchi, di chi fossero non era indicato. Né di chi né di che.”. “Lei va mai a fare la spesa?”. “No, ci va la mia signora”. “Allora chieda a lei se legge le indicazioni scritte in verticale lungo il margine dell’etichetta, sono le più piccole di tutte ma anche più istruttive. Vi si imparano intanto i nomi di ameni borghi italiani dove i prodotti di importazione vengono confezionati, poi si possono apprezzare gli ingredienti e la nostra etichetta proprio lì riporta “Occhi di spettatore atterrito non da ciò che gli fanno vedere ma da ciò che non gli fanno vedere e da come non glielo fanno vedere”. Una burla, certo, ma pur sempre una bugia stampata là dove chi ha avuto la pazienza di cercare dovrebbe trovare la verità”. “Ma di coniglio si possono mangiare?”. “Una volta erano il boccone prelibato della testina, ricorda? ma le normative europee…”. “Non me ne parli, sono sovranista”. “Non è da lei” gli riconobbe Prequel, che ormai lo considerava un suo pari anche se non certo un compagno. “Lei al massimo può essere monarchico”.

“Centrato!” Sogghignò il funzionario, “ma mi raccomando la discrezione… “. “Vittorio o Amedeo?” Chiese Prequel, riferendosi ai rampolli che si contendevano il sostegno dei nostalgici. “Nessuno”.

Si congedarono e Prequel portò il barattolo con sé.

Una truffa, una piccola sofisticazione, meglio non parlarne con nessuno. Del resto erano entrati senza mandato, la loro era un’effrazione. Senza mandato e senza scopo perché con i tempi della giustizia (che Prequel riteneva non lenti ma giusti, contrariamente all’opinione comune) non sarebbero mai arrivati a sapere se chi li aveva comprati li aveva anche mangiati e se per caso gli avessero fatto male. Tornò a casa, riaccese il vhs e dormì fino a mezzogiorno.


Il secondo risveglio fu diverso. Collocato più o meno nel momento della telefonata, non lo trovò frastornato, bensì lucido e iracondo. In una di quelle dormite pensierose che somigliano a bolle di risentimento, aveva maturato la convinzione che il funzionario sapeva, mentiva sapendo di mentire, insomma lo menava per il naso. Fu proprio il naso a portarlo a quella scoperta. Grosso come quello di Nixon, sembrava preso da un’altra faccia e messo lì apposta per nascondere chi ci stava dietro.

Il barattolo e l’ispezione sanitaria erano una scusa per entrare nel cinema. Ovvia conclusione per chi legge queste pagine, ma Prequel che viveva la situazione dall’interno non poteva rendersene conto subito. Uno non mangia occhi se non sa che non sono stati cavati agli spettatori. E non è normale chiamare un ispettore sanitario di primo mattino a ispezionare derrate che sono rimaste lì per anni.

Dunque lo avevano portato lì per entrare una seconda volta dove erano già stati, perché evidentemente dovevano tornarci prima che facesse giorno. “I casi sono due, o sono vampiri o gli interessava questo giorno qui”. Sul calendario non era segnato nessun santo in particolare, né una festa che potesse motivare tanta fretta. La scadenza andava dunque cercata nei movimenti delle borse o nel fluire delle pratiche da qualche giudice o da qualche notaio. “Vai a sapere…”. Assaggiò gli occhi che si rivelarono abbastanza freschi.

Il cinema era chiuso da tre anni, il nuovo proprietario voleva farci un ristorante ma un’ordinanza gli imponeva di mantenere attive tre delle cinque sale cinematografiche esistenti. “CINOIR sarebbe un bel nome per quel locale, ma non si farà mai. Rimarrà “l’ex Cineocchio” finché chi se lo ricompra non costringerà il comune a rimangiarsi l’ordinanza salvacinema che impone di lasciare il sessanta per cento dello spazio adibito a cinematografo”. Un grosso affare che di per sé poteva sollecitare la corruzione e il raggiro di ispettori e funzionari.

“Se non ero lì per assaggiare degli occhi in scatola, è segno che volevano che io vessi qualcosa, o che non lo vedessi, o che vedendolo lo ignorassi al punto da poter testimoniare che non l’avevo vista…”

La sua fantasia galoppava. Era la fantasia di chi non ha potere ma che con il potere aveva avuto a che fare, anche poche ore prima. Quando non c’era nessuno in casa suoi compagni erano i film e libri. Andava allo scaffale, uno solo ma prendeva tutta la parete, li guardava e ne puntava un paio.

Quella mattina teneva d’occhio, senza aprirlo, “La lettera rubata”. Aveva preso di mira anche “I sei giorni del Condor”, che nel film si erano ridotti a tre. Lo incantava Redford perché davvero aveva il candore che si potrebbe immaginare in Adamo, era il fanciullino. “Gli eroi di oggi hanno facce cattive, stupidamente cattive, anche quando fanno i buoni. Facce come la mia”, pensava guardandosi nello specchio del bagno. E la lametta gli fece uno sberleffo. Gli venivano in mente cose che si possono nascondere in cinque sale cinematografiche vuote. Intanto, come ci insegna la fisica, il vuoto non è ma assoluto, in ogni stanza vuota penzola un quadro o si inciampa in un tappeto usato a volte per nasconder qualcosa. Poi ci sono le porte, quelle aperte e quelle chiuse.

Come nei sogni, diamo credito alle porte chiuse anche quando non si aprono o non ci introducono dove pensiamo di andare.

Nel Cineocchio aveva visitato due sale, facendo come se ce ne fossero altre tre tutte ugualmente vuote e sgangherate, ma era vero? Però se gli avessero chiesto alla sprovvista quante sale vuote aveva il cinema avrebbe risposto senza indugio: “Cinque”. Dei materiali scaricati alla rinfusa, che sapeva? Si fa prseto a dire: “Li hanno portati i barboni, o i muratori”. E non gli sfuggiva un certo classismo in quel luogo comune e perfino nella sua espressione. “Che senso ha oggi parlare di barboni?”. Doveva dubitare di tutto, anche di se stesso. E doveva tornare al Cineocchio.

Ci tornò quella sera stessa, verso le cinque, a dodici ore esatte dalla sua prima visita. C’era un viavai di macchine di lusso che imboccavano il cancello del residence lì accanto; salivano e scendevano tipi tosti della sicurezza, tutti due metri due metri e cinque, che facevano corona a qualche danaroso. Vide un paio di belle gambe e subito dietro un piccoletto spettinato con al collo il foulard di chi sta in certi ambienti. Dato che lì lo conoscevano per via di una ispezione ai cessi, Prequel passò senza problemi e appoggiando l’impermeabile sdrucito alla cappelliera del custode si trovò abbastanza ben vestito da mescolarsi ai danarosi. Il piccoletto faceva strada. Era famoso, lo chiamavano Il Coniglio. Oltre al Cineocchio possedeva una squadra di calcio e molta altra gente.

Portò i seguaci in una saletta ricavata in quello che doveva essere un annesso del cinema.

Era imbandita per un brindisi, con i tirocinanti del più vicino istituto alberghiero in livrea e pettinatura con la riga. Prequel portò il calice alle labbra come tutti, ma non bevve perché si reputava “in servizio”, frase fatta scopiazzata all’Ispettore Derrick. Le belle gambe gli si erano piantate dietro e scoprì che appartenevano alla responsabile della sicurezza, che non faceva mistero della sua avvenenza perché non si trovava nei dintorni chi potesse commentarla impunemente.

Prequel agì d’istinto, fu maleducato con lei e si fece sbattere fuori. “Smuovere l’erba per spaventare i serpenti”. Stavolta la citazione era di sean Connery ed era azzeccata. Il Coniglio infatti si innervosì e ripartì sull’auto più scura di tutte, gli altri che non facevano strettamente parte del suo seguito rimasero a sbafarsi e miss security andò a tastare le tasche di Prequel che erano rimaste appese alla cappelliera.

In un noir che si rispetti lei a questo punto dovrebbe uscire con gli effetti personali, raggiungerlo e sbatterglieli in faccia, poi baciarlo e farci sesso. Prequel però si sentiva poco hard boyled e si era rintanato in un locale di motociclisti dove conosceva tutti perché anni prima aveva scioccamente comprato una Harley Davidson senza saperci salire. Al momento di rivenderla si imbatté in quel mondo e ci rimase legato. I motociclisti hanno gambe brutte ma sanno molte cose, specialmente i più facinorosi che in galera hanno modo di entrare in contatto con la zona grigia, quella che sta immediatamente sopra i delinquenti e immediatamente sotto ai conigli. Hanno solo un difetto, sono poco loquaci e temono vendette e rappresaglie. Prequel qualche volta si era burlato della loro eccessiva reticenza e loro, per tutta risposta, invece di picchiarlo gli avevano appoggiato sul tavolo un carrellino di diapositive. “Ce l’hai il proiettore? Guardale a casa, con calma”.

Prequel aveva ancora il vhs, figuriamoci se non aveva il proiettore.

Tac.Tac. Tac. Eccolo lì. Uno spaventapasseri con il casco e la tuta. Ingrandito, si vedeva la paglia e gli usciva dagli stivali e dai guanti.

Tac. Anche dal collo che, malamente ricucito, formava una specie di gozzo.

Tac. Lo avevano impagliato.

Tac.Tac. Il cartello spiegava perché.

Prequel capì che con lui nessuno voleva fare quella fine, se voleva sapere cosa accadeva nel cinema doveva tornarci di persona. Due sale le aveva viste, ne mancavano tre, le tre che i proprietario avrebbe dovuto mantenere in funzione, la Gialla, la Verde e la Rossa. C’è sempre una via di fuga su un viuzzo secondario, nei cinema, il problema era che il viuzzo era chiuso dal cancello del residence.

Dopo la bravata delle cinque nemmeno il portinaio amico lo avrebbe fatto entrare, ma poteva inventarsi una storia, ad esempio il giubbotto rimasto in guardiola o un cellulare da raccogliere nella stanza del rinfresco. Riavere il giubbotto fu troppo facile, l’amico glielo porse facendogli segno di sloggiare. Allora attaccò la bugia del cellulare ma in quel momento squillò. Disdetta! Era il funzionario che gli chiedeva aiuto. “Glielo dica lei che non abbiamo visto niente, non mi credono”.

Inutile chiedere chi, quelli di prima. Sul che invece Prequel si aspettava dei chiarimenti e fu per quella sola ragione che decise di andare da solo all’appuntamento con il funzionario che lo aveva messo nei guai. Un bar molto malfamato. “Ma esistono bar con una bella nomea?” Si chiedeva Prequel avvicinandosi al bancone per chiedere del privé dove tenevano il funzionario. Decise di non entrarci subito, prese il giornale e si mise a un tavolino. Cominciò a sfogliare la cronaca cittadina, apparentemente a caso, ma teneva le dita tra le pagine che potevano interessargli. Quando ebbe finito le dita, lesse le notizie che aveva collezionato.

Quarta pagina: “Stasera il patron del Guacamol darà un ricevimento esclusivo”. Guacamole era la maglia dell squadra del Coniglio; patron era un eufemismo per padrone.

Seconda pagina. “Oggi il consiglio comunale esaminerà le problematiche riguardanti la ristrutturazione del Cineocchio”. L’articolo, affidato con ogni probabilità a un praticante che voleva fare bella figura, proseguiva puntiglioso: “Question time dell’unico consigliere di opposizione. I cittadini si chiedono quando finiranno i lavori. E cosa farà l’amministrazione se il cinema non riapre?”. Le risposte dell’assessore erano di una spensierata vaghezza: fare pressioni, cercar di capire, prendere appuntamenti. Prequel aveva assistito a qualche seduta per il lavoro che faceva.

Question time: rannicchiati sui microfoni a stelo troppo corti, i consiglieri guardano alternativamente l’assessore che fa da bersaglio umano e i loro sostenitori tra il pubblico.

In quella posizione respirano a fatica e rumorosamente e il movimento della testa contribuisce a disegnare l’immagine di un nuotatore che non ce la fa più e annaspa.

Prima pagina: L’assessore fa la voce grossa con la proprietà del Cineocchio e fa valere il vincolo posto dal Comune. “La pazienza è finita!”. Il lettore smaliziato ma ancora fiducioso nella dinamica democratica vedeva un assessore aggrappato a questo articolo come un gibbone a un ramo mentre in quell’altro pezzo gli accendevano il fuoco sotto, ma Prequel era più avanti, vedeva tre articoli in cui minacce e frivolezze si annullavano in un gioco a somma zero. Un altro zero che andava ad ingrossare i dividendi della proprietà.

Chiuse il giornale, salì le scale a chiocciola coperte di moquette puttanesca e si ritrovò in una stanzuccia con meno sedie che persone. L’unico seduto era il funzionario, due buttafuori lo vigilavano a breve distanza e un piccoletto, che non era il Coniglio ma cercava di somigliargli, guardava alternativamente lui e Prequel. Mandò giù gli scagnozzi e cominciò a fare domande sugli occhi e sui barattoli. Da come non ne parlava si capiva che gli interessavano soprattutto le tre sale del cinema. L’ispettore capì che restare più a lungo avrebbe significato tradirsi, non tanto per quel che avevano visto ma per quello che ormai avevano intuito. La realtà psicologica infatti non è quel che ci è successo ma quel che pensiamo ci sia accaduto e la psicologia si legge in faccia.

Dopo questo breve ripassino di psicologia da rotocalco, decise di passare all’azione. Lo colpì con l’unica sedia rimasta vuota e fece cenno al funzionario di imboccare la scaletta.Aggirarono cortesemente i buttafuori, salirono in macchina e si dileguarono. Il resto della storia potrete leggerlo sul giornale di domani, a un mese esatto dal suo compimento: Prequel nel frattempo si è messo al sicuro dalla cricca che avevano smascherato.
Per il funzionario purtroppo non c’è stato nulla da fare.

PS.
Purtroppo ci informano che gli amici del Coniglio hanno fatto in modo che il pezzo sul Cineocchio non venga pubblicato.
Prequel però laggiù dove si trova ha rilasciato un’intervista in francese a un giornale locale.
Alla domanda “Cosa pensava che ci fosse nelle altre tre sale”, egli ha risposto così:
“Ho pensato che potesse esseri una bisca, o un bordello, o che ci girassero degli snuff movie”.
“Invece?”
“Invece tutti e tre, come sempre.
Sala Gialla, Sala Verde e Sala Rossa arredate a tono. Con un po’ di immaginazione possiamo figurarcele: il bordello camuffato da centro olistico, tutto oro legno e massaggi; la bisca felpata di verde e di nero con specchi unidirezionali e finiture in radica e il teatro di posa a metà tra uno zoo e una macelleria.
Se non avessi fatto casino quando c’era l’inaugurazione, chi doveva visitare le sale le avrebbe già viste addobbate.
E’ tutto pronto per entrare in funzione e far girare i soldi, ma non subito, prima dovevano aggirare la legge, costringere il comune a modificare l’ordinanza, così che poi loro o altra gente come loro avrebbe potuto riconvertire altri cinema, senza pagare pegno. E per darci il contentino avrebbero aperto un o o due cinemini d’essai”.
“Cosa ha contro il cinema d’essai?”
“Ma come, io sto denunciando una grossa speculazione immobiliare e lei mi chiede che film i piacciono?”
“Scusi, ma la storia degli occhi sembra presa di peso da Bunhuel!”
La giornalista si rivelava capace di tenergli testa e questo gli piacque.
Prequel per una volta decise di lasciare il genere onirico in cui lo confinava il suo autore e si immerse fino alla cintola, è il caso di dirlo, nel genere hard boyled.
Le risposte seguenti sono da duro, secche non ammettono replica.
Le domande anche perché la giornalista seppe subito sintonizzarsi sul nuovo registro.
Una coppia perfetta, un tango allo spasimo, che sembrava dover chiudere la storia quando il cellulare vibrò.
Era il motociclista.
Quello reticente, quello delle diapositive.
Aveva deciso di parlare, ma non potendo raggiungere Prequel e non volendolo fare al telefono, si era espresso nel solito modo, con le slides.
Una cascata di immagini che l’ispettore e la giornalista guardarono insieme.
Confermavano punto per punto le peggiori fantasie di Prequel.
Sala Verde. Moquette. Tavoli.
Carte da gioco girate sul dorso. Carte da gioco a faccia in su.
Sala Gialla. lettini. Persone girate sul dorso. Persone a faccia in su.
Sala Rossa. Uno zoo…
Saletta degli aperitivi. Coniglio. Coniglio con Miss Security, praticamente una scena di Roger Rabbitt con attori umani.
Cinema vuoto. Lavori in corso. Orpelli barocchi. Mascherone di stucco con le fattezze del funzionario.
“Non l’hanno impagliato ma è uguale” Rimpianse Prequel.
Scorrevano le immagini. Anche il Coniglio ridotto a mascherone ornamentale.
“Si vede che non erano soldi suoi e non li ha gestiti bene, oppure ha cercato di inguaiare un pesce più grosso”
“Di chi è il locale adesso?” Chiese la giornalista.
“Questa è l’unica domanda sensata” Rispose Prequel, “Se lo chiedi a me, non lo so davvero.
Se lo domandi a chi lo sa non te lo dice e devi indovinarlo da quel che non dicono e da come non lo dicono”.

*Massimo De Micco

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Massimo De Micco

Massimo de Micco, 1972, fiorentino, essendo cresciuto negli anni Ottanta e Novanta si ritrova una formazione psicologica, una partita iva e una ricca e variegata esperienza professionale nel campo della formazione, ma è anche illustratore,fumettista e cartoonist. Ha partecipato a iniziative culturali, sociali e politiche di varia natura, a condizione che fossero libere, solidali e auto-organizzate, dagli Studenti di Sinistra a Kykeion, da Violetta van Gogh a Black Notes, da Fuoribinario a Radio Cora. E' tra i fondatori del gruppo Palazzuolo Strada Aperta che ha dato vita in questi anni alla Book Bike e si appresta ad aprire a Firenze la Biblioteca Riccardo Torregiani.

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