Dal nord al sud, i disastri, le difficoltà e danni sono enormi. Territori isolati, città allagate, fiumi in piena, persone che hanno perso tutto, tantissime altre che con preoccupazione attendono il peggio in queste ore.Tutto questo mette in evidenza la fragilità del nostro territorio, il peggioramento del dissesto idrogeologico dell’italia. Per esempio i dati Ispra del 2017 rivelano che è a rischio il 91% dei comuni italiani (88% nel 2015); aumentata la superficie potenzialmente soggetta a frane (+2,9% rispetto al 2015) e quella potenzialmente allagabile nello scenario medio (+4%).
E questo rivela la non volontà della politica di prepararsi (prevenire è meglio di curare), adattarsi ai cambiamenti climatici, di gestire le trasformazioni in atto, di capire cosa occorre fare. E badate che la questione della messa in sicurezza dei territori, non è che salta fuori adesso perché i cambiamenti climatici sono diventati una realtà qui e ora.
Il dissesto territoriale è parte di questo modello di sviluppo che continuiamo a perseguire, che ‘consuma’ suolo cementificandolo, sfruttandolo, erodendolo, disboscandolo, cioè privandolo di quelle fondamentali proprietà che servono x mantenerlo solido e capace di fronteggiare inondazioni, smottamenti etc. Il problema sono le opere infrastrutturali inutili che dilaniano equilibri fisici e che sottraggono risorse alle indispensabili opere di manutenzione e cura di quelle esistenti, dalle strade agli argini dei fiumi, dalle fognature al reticolo idrico.
Nel 1970 la Commissione De Marchi istituita per riflettere e agire alle catastrofi idrogeologiche che avevano colpito nella seconda metà degli anni ’60 molte regioni italiane, aveva valutato in 8.923 miliardi di lire l’impegno economico necessario a intraprendere un serio programma trentennale di mitigazione. Finora per gli interventi di prevenzione – escluse quindi le riparazioni dei danni – si e è invece speso negli ultimi 20 anni solo 400 milioni di euro all’anno. Che corrisponde a 1/6 di quanto speso per riparare il danno diretto, meno di un decimo del danno complessivo,diretto e indiretto, stimato in circa 5 miliardi di euro all’anno. A tal proposito segnalo questo utile articolo.
Questa ‘emergenza’ rivela un’ capacità culturale di chi ci governa a fare della pianificazione territoriale uno strumento ordinario di base. Urbanistica e pianificazione territoriale sono appunto lo strumento per gestire oculatamente (da un punto di vista ambientale, sociale, economico) le trasformazioni territoriali, che dovranno per forza andare in una direzione diversa, verso la manutenzione e recupero dell’esistente, della messa in sicurezza e cura, anziché speculazione, cementificazione, costruzione di opere inutili.
E significa anche redistribuzione delle risorse e degli interventi necessari per la vivibilità, salute, e incolumità dei territori e delle persone.
*Ilaria Boniburini
Ilaria Boniburini
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