All’inizio delle misure introdotte anche in Italia dalla pandemia da SARS-CoV2 ad un tratto tutti si sono resi conto di vivere in un sistema fragilissimo sia dal punto di vista sanitario, dove le strutture territoriali e pubbliche sono state penalizzate, sia dal punto di vista sociale ed economico.
Il blocco di molte attività ha fatto subito capire che ci sarebbero stati problemi molto gravi da superare.
Anche a Firenze l’ondivago sindaco Dario Nardella prima si è scagliato contro chi raccomandava prudenza (Firenze non chiude!), poi si è dovuto piegare alla realtà che ha visto fermarsi il mondo, arrivando, con una disinvolta inversione ad U, a solenni proclami per impedire il contagio in una ridicola gara di severità con molti altri amministratori di tutto il paese.
Il sindaco di Firenze, in un primo momento, pareva anche essersi reso conto dei gravissimi limiti delle scelte urbanistiche e sociali della sua giunta e di quelle che lo hanno preceduto: la monocultura del turismo si è inceppata e la crisi si è abbattuta sulle finanze comunali, oltre che su centinaia di migliaia di cittadini. Nardella arrivò addirittura a dire che, visti i problemi economici, si sarebbero rivisti i tempi di realizzazione del sottoattraversamento TAV e delle tranvie, facendo addirittura intravedere possibili soluzioni alternative. Una doccia fredda di realtà su una politica locale drogata dalle svendite, da privatizzazioni irrazionali e dall’inseguimento di grandi progetti infrastrutturali tanto cari alla lobby del cemento.
Ma anche ogni cittadino si è reso conto che un sistema così fragile non è sostenibile e una vaga speranza di una illuminata svolta ha attraversato le giornate di isolamento in casa: in una crisi economica come quella che si profila, continuare a proporre pacchi di cemento o crescita legata alle risorse fossili si manifestava chiaramente insostenibile, la necessità di finanziare attività che fossero utili alla collettività e soprattutto capaci di redistribuire ricchezza, creare lavoro vero e avviare una riconversione ecologica si rendeva evidente.
Ma mentre i cittadini stavano diligentemente attenti a non far diffondere la pandemia, le peggiori lobby non si sono fermate e le loro richieste si sono fatte sempre più insistenti e assurde.
È iniziata una campagna fuorviante sui media, ormai controllati dalla lobby delle costruzioni e dell’auto, in cui si chiedeva il rilancio dell’Italia impegnando 100, 120, 190… miliardi per far ripartire il paese.
In Toscana ha brillato, in questo, il presidente regionale Enrico Rossi che si è proposto commissario alle grandi opere toscane, poi è stata la volta di Nardella a proporsi commissario, con le stesse modalità con cui si è ricostruito il ponte di Genova.
Il modello Genova è diventato un tormentone sulle bocche della politica di destra, del PD e anche di settori del Movimento 5S; sono saliti al cielo grida di dolore per via di un Codice degli Appalti che renderebbe impossibile lavorare alle povere imprese, è nuovamente iniziata l’invettiva contro la burocrazia che bloccherebbe ogni cosa. L’ANCE (Associazione Nazionale Costruttori Edili) si defila dal modello Genova solo per quanto riguarda le modalità delle assegnazioni degli appalti. La Confindustria tallona tutti chiedendo soldi e investimenti.
Tutto pare tornato come prima, anzi peggio di prima, perché le grida sono più rumorose, più insistenti ed avide, si invoca la sospensione delle regole, si è chiesta mano libera da ogni controllo; anche Francesco Merloni, presidente dell’ANAC (Associazione Nazionale Anticorruzione), è arrivato ad ammettere la possibilità di deroga “per un periodo limitato”. Soprattutto si tende ad imbrogliare una opinione pubblica attonita spacciando questi pasticci infrastrutturali come soluzione alla crisi che arriva; il senatore Matteo Renzi, che in calo di consensi pare ormai diventato il paladino di ogni interesse lobbistico, parla di cura shock da 192 miliardi di euro per far ripartire l’Italia, il Matteo della Lega si dichiara a favore delle grandi opere a prescindere da ogni riflessione, la ministra Paola De Micheli si sente ormai accerchiata e pare arrendersi ai lupi che circondano il ministero.
Il paventato allargamento della avara borsa dell’UE ha contagiato tutti alla ricerca di accaparrarsi la maggior parte delle risorse. Peccato che nessuno voglia ricordare che le grandi opere infrastrutturali odierne sono capital intensive, richiedono grandi investimenti di capitali e attrezzature, ma hanno scarsissima necessità di mano d’opera; al contrario la crisi che arriva avrebbe bisogno di redistribuire ricchezza creando posti di lavoro e favorire il moltiplicatore keynesiano. Le grandi opere – ormai lo dovrebbero aver capito tutti – sono invece formidabili strumenti di concentrazione di ricchezza (pubblica) nelle mani di pochi soggetti; sono e saranno sempre di più una sciagura economica e sociale, oltre che urbanistica e trasportistica.
C’è un’altra grave pecca in questo ritorno delle grandi opere inutili: la voglia di commissario, di abolire le regole, di una falsa semplificazione (che da decenni è a favore solo delle grandi imprese) non nasconde più nemmeno il bisogno di derogare dalle superstiti regole della democrazia; il capo, l’uomo solo al comando, il “commissario” sembra diventato l’unico strumento di affermazione di una imprenditoria parassitaria, capace ormai di avere profitti solo dalla mungitura della vacca statale, cioè parassitando l’intero paese.
Da decenni c’è uno solco profondo nel sistema di democrazia rappresentativa, ormai capace di rispondere ai soli interessi dei poteri economici forti; il mondo del lavoro, delle classi più deboli, anche la classe media sono ormai orfane di rappresentanza, trascinate a scelte elettorali sempre più inutili con lo spauracchio dei migranti, del debito o con la retorica di una unione europea ormai dilaniata da interessi nazionalisti.
Mai come ora si dovrebbe parlare di pianificazione economica, in particolare nei trasporti e nelle infrastrutture che dovrebbero ritornare al servizio di una società complessa e ricca come quella italiana; al contrario, il progetto scaturito dalle stanze del ministero (vedi cartina) è uno sconclusionato patchwork degli interessi più meschini e dannosi; si è addirittura riusciti a far stanziare 280 milioni per la costruzione di un aeroporto impossibile nella Piana Fiorentina, già clamorosamente bocciato da TAR e Consiglio di Stato.
Mai come ora si dovrebbe parlare di riportare la progettazione della convivenza e dei suoi strumenti ad un controllo più diretto possibile delle persone.
Mai come ora è necessaria una rivoluzione culturale che metta le persone e tutta la biosfera, invece dei profitti, al centro della politica.
*Tiziano Cardosi
Tiziano Cardosi
Ultimi post di Tiziano Cardosi (vedi tutti)
- Qualche considerazione sulla mobilità a Firenze (che non funziona) - 17 Settembre 2024
- I tunnel TAV e le liturgie del potere - 12 Luglio 2024
- Bagliori di guerra illuminano il nuovo anno, la speranza si intravede solo dal basso - 9 Gennaio 2024