E’ un orizzonte realistico, intorno cui far convergere tanti pensieri e tante pratiche alternative alla società del profitto, per costruire una società della cura, che sia cura di sé, dell’altr*, dell’ambiente, del vivente, della casa comune, e delle generazioni che verranno. Per contribuire a creare un immaginario altro, dissonante rispetto al sistema, potenzialmente destrutturante e eversivo. Per costruire uno spazio non identitario, non proprietario, non di area, per una partecipazione e mobilitazione sociale di tutt*.
E’ un percorso avviato da Attac Italia dentro la pandemia e dopo il lockdown caratterizzato da un susseguirsi di appuntamenti in remoto e in presenza, che ha prodotto il manifesto ‘Uscire dall’economia del profitto, costruire la società della cura’ alla cui stesura hanno partecipato attiviste e attivisti, di centinaia di realtà sociali, reti associative e di movimento italiane, di cui qui riportiamo ampi stralci, insieme ad altre suggestioni.
‘“La società della cura” è stata accolta con un’adesione pressoché immediata e amplissima, scrive Pino Cosentino di Attac Genova, perché tutti, o la grande maggioranza, hanno percepito la novità e l’adeguatezza di questa formula. Non solo essa rivela a noi stessi le motivazioni profonde e l’aspirazione spesso inespressa che guida o dovrebbe guidare tutti noi; non solo dunque è “giusta”: è anche utile e opportuna. È un’affermazione valoriale, ma nello stesso tempo squisitamente politica.’
Le prossime scadenze della Società della Cura, sono:
– la costruzione di una piattaforma di proposte concrete
– la manifestazione nazionale di convergenza in autunno
– il percorso permanente di approfondimento tematico e speriamo anche territoriale
Il 17 ottobre Assemblea in presenza (con collegamenti anche in remoto) a Roma, per costruire la mobilitazione nazionale ampia e popolare per il prossimo novembre a Roma, in modo da porre, nel momento delle scelte sulla legge di bilancio e delle proposte per l’accesso ai fondi europei, la necessità di una radicale inversione di rotta in direzione della giustizia climatica e sociale.
Non ammucchiata, non manifestazione unitaria per essere più visibili, ma un cambio di passo da fare insieme, un salto di qualità collettivo, un riconoscimento reciproco della necessità l’uno dell’altro, per darsi senso a vicenda, superando la rassegnazione e la frammentazione delle lotte. La singola battaglia sul territorio non è più importante di quella degli altri, da solo nessuno ce la può fare, perché la partita che abbiamo davanti è troppo grande. Le persone meritano una speranza, lo spazio c’è, se ci mettiamo insieme.
Alcune delle proposte alternative concrete della Società della cura: la manutenzione invece delle grandi opere; per una Sanità pubblica ed universale: la salute non è una merce, la sanità non è una azienda; la strategia rifiuti zero; lo stop al consumo di territorio; l’accoglienza dei migranti; la conversione delle fabbriche di armamenti; la conversione ecologica dell’economia; la conversione agroecologica dell’agricoltura; la decrescita felice; la rivalutazione del lavoro; la partecipazione dei cittadini ai processi decisionali; lo stop al nucleare…
Alcuni obiettivi: c’è da sperimentare, inventare un nuovo Welfare; il patto di stabilità, il fiscal compact, vanno aboliti, perché questi vincoli come l’austerità sono contro la vita delle persone; va sostituito il paradigma del pareggio di bilancio finanziario con il pareggio di bilancio, sociale, ecologico e di genere; bisogna cominciare a parlare di autogoverno; non ci possono essere più attività, fabbriche, sostanze chimiche contrarie alla Cura; reddito garantito a tutte le persone; non c’è produzione senza lavoro di riproduzione: nessuna produzione economica è possibile senza garantire la riproduzione biologica e sociale, come il pensiero ecofemminista e la visione cosmogonica dei popoli nativi sostengono da sempre. La riproduzione sociale-intesa come tutte le attività e le istituzioni necessarie per garantire la vita, nella sua piena dignità-significa cura di sé, dell’altr* e dell’ambiente: ed è attorno a questi nodi che va ripensato l’intero modello economico-sociale.
La “società della cura” non è affatto una banalità. E’ davvero un “rovesciamento di paradigma”. La Società della cura è esattamente il contrario della società attuale. C’è una società della cura da formare, c’è una società del profitto da combattere. ‘Le società capitalistiche sono tutte concretizzazioni storiche, scrive ancora Pino Cosentino, perciò differenziate, di un unico tipo di società: quella delle disuguaglianze strutturali potenzialmente illimitate, territoriali e di classe, a fini di utilità per sé, qualunque siano i costi per l’insieme della società e dell’ambiente. In sostanza, l’opposto della “società della cura”’.
La cura non come assistenza, come qualcuno che dà e qualcuno che riceve, ma come relazione sociale, modo di intendere la vita e dare senso all’esistenza. Che ci stiamo a fare nel mondo, che viviamo a fare, se lo chiedono ormai in molti? Ritroviamo il senso se capiamo che al mondo ci possiamo stare per uscire dalla società del profitto e conquistare insieme la società della cura, per garantire a tutti sicurezza sociale, ambientale, e dare risposte alla insicurezza generalizzata, alla precarietà del presente e del futuro, senza lasciare alla destra il tema della sicurezza.
Di fronte ai disvalori dell’individualismo, della competizione, Covid-19 ci ha mostrato che la nostra sicurezza dipende da quella degli altri, e che per essere sicuri, è necessario che anche gli altri lo siano. Da solo non si salva nessuno, i virus saltano tutti i confini. Finisce l’idea assurda che esistono solo gli individui e le famiglie e si comincia a dire che gli individui esistono solo se in società, in connessione con la natura. E’ un principio di ribaltamento comunicabile e comprensibile da tutti. Dobbiamo essere capaci di annunciare questa speranza collettiva di cambiamento, per vivere degnamente in maniera universale.
Il problema che ci sta davanti è la frammentazione delle lotte, il problema è come riuscire a comporre tutti i frammenti in una visione comprensibile, realistica, leggibile di un futuro concreto. Siamo figli della cultura della separazione, in cui si è separato l’umano dal divino, l’uomo dalla donna, la ragione dal sentimento, il corpo dalla mente, l’uomo dalla Natura, la produzione dalla riproduzione, il dominante dal dominato ed intorno a queste separazioni si sono costruite le gerarchie del potere e dello sfruttamento.
E’ l’ora di decolonizzare e decostruire il nostro pensiero genetico, per rifondare un pensiero nuovo. La società della cura, non è uno slogan, ma una base per una rivoluzione di pensiero anche a sinistra. Non c’è tanto tempo da perdere, il rischio è che tutto ritorni come prima o peggio di prima.
Se a fianco dell’impronta ecologica mettessimo anche il valore di cura, se il valore di ogni cosa fosse misurato in base a quanta cura, quanta accoglienza, quanto accudimento ogni cosa contiene, cambierebbe la gerarchia del mondo, anche della politica.
La cura è il sentimento più forte in natura, è quella che da il coraggio alle madri di affrontare ogni pericolo, è l’antidoto della paura. Nasce dall’amore che è il contrario dell’odio. La destra ha fatto dell’odio una categoria politica e noi ci vergogniamo a dire che l’amore è una categoria politica? Curare, custodire, proteggere la vita è ciò che la rende possibile. Niente è più potente per darsi il coraggio di cambiare e sconfiggere questo sistema.
*Gian Luca Garetti
Gian Luca Garetti
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