Su salute e sicurezza, misura e percezione dei rischi e virus

Il rischio è l’eventualità di subire un danno connessa a circostanze più o meno prevedibili. R=P X D cioè il rischio è dato dalla probabilità di un evento moltiplicato per il danno che ne può derivare.

In salute e sicurezza sul lavoro è uno dei concetti base che si imparano nella formazione base obbligatoria di ogni lavoratrice e lavoratore (e dopo oltre dieci anni dal testo unico dovrebbe essere assai diffuso. Uso il condizionale non a caso). I rischi cioè si possono misurare. é un concetto importante perché sennò si fanno le considerazioni per cui vale molto di più la percezione: che rischio ho di contrarre il coronavirus negli ospedali, a scuola, in fabbrica, in discoteca? Non c’entrano qua i nostri valori, nella formula non ci stanno. O meglio non in questa e non ora, dovevamo calcolarli prima, nei decenni sugli investimenti, sui valori, su ciò che vorremmo dare per scontato che vale di più: la salute, l’educazione, la formazione, la vita e il suo soddisfacimento. Ma siamo in un sistema capitalistico con ciò che ne consegue e pure il virus ne è una sua conseguenza appurata (cambiamento climatico, sfruttamento ecc.). Ma rimaniamo su salute e sicurezza sul lavoro.

Per la nostra legislazione italiana (conquistata nei decenni a forza di lotte e rivendicazioni) i datori di lavoro devono valutare tutti i rischi. Prima di febbraio il rischio biologico era valutato solo in alcuni luoghi di lavoro, da marzo e aprile, in tutti, nessuno escluso. Il rischio da coronavirus riguarda tutti i luoghi. Mentre per altri rischi sappiamo come abbatterli in termini di prevenzione e protezione (altro concetto che si impara alle prime lezioni. So che da qualche parte chiunque di voi ne ha sentito parlare mentre sbadigliavate credendo non servisse a nulla), questo è stato più improvviso, meno conosciuto.

Distanza, mascherine, lavarsi le mani, igienizzare ambienti, areare, e tutte le altre cose che ora sappiamo un po’ meglio. Più siamo promiscui e senza protezioni, più si alza la probabilità di contrarlo. Il danno? si distingue fra giovani, meno giovani, malati o sani, ma il danno più grosso è il collasso del sistema sanitario e ciò che ne consegue. A febbraio/marzo erano calcoli e misure da fare veloci e tutti impreparati, a luglio/agosto no. Sapevamo che dovevamo calcolare meglio. “La matematica è politica” ci ricorda Chiara Valerio nel suo magnifico libro. Ma cosa ci frega? Ciò che frega molti luoghi di lavoro per cui si continua a morire 3/4 al giorno.

Fare prevenzione e protezione ha un costo, in termini di misure, ma anche di leve mentali per cui bisogna organizzare tutto in maniera differente. Soprattutto si fanno calcoli sbagliati. Nelle officine e nei capannoni mi tocca ribadirlo quotidianamente quando mi dicono che valutare i rischi, fare formazione, dare i dpi giusti ecc costa. Ma tu nella riga che tiri del dare e avere su salute e sicurezza ci metti in conto che i tuoi lavoratori non si sono ammalati? Che non ci sono stati infortuni? morti? Assenze per malattia? Turn over dei lavoratori? Hai idea oltre al costo umano delle perdite dell’uragano che può arrivare sui tuoi muletti, sulla tua bottega, fra i tuoi scaffali, fra le scrivanie ecc.? NO.

Nessuno fa questi conti. Considerano tutto solo spesa. E così per anni non solo nei luoghi di lavoro (elimina diritti, stralcia contratti, sfrutta) abbiamo fatto in sanità, scuola, servizi pubblici. Sono solo spese, mai considerati investimenti, in termini di salute pubblica (riparare i danni fior di studi confermano che costa più di prevenirli), di investimenti culturali (pure ah le fake news, ah i complottisti, ah signora mia che idiozie ecc.), ambientali (trasporti capillari anziché auto e inquinamento e città ridisegnate, quartieri ripensati in termini di servizi, spazi vivibilità ecc.).

Insomma, se consideriamo il nostro paese come un gran luogo di lavoro, abbiamo fatto una valutazione dei rischi sbagliata, a tratti emotiva (non se ne può più di questo virus, non se ne può più di ragionare di morti sul lavoro, madò che palle oh). Nel gergo, le procedure standardizzate, uno di quei prestampati che valgono un po’ dappertutto ma che non descrivono la realtà, che non si adattano a quella, che non identificano vere soluzioni. Andrà tutto bene. L’equivalente di “é stata una fatalità” quando si legge di una morte sul lavoro e non è mai vero.

Ci sono sempre cause e effetti, si poteva prevenire, si poteva abbattere il rischio. Non lo abbiamo voluto abbattere e ci prendiamo questa mega seconda ondata e i vari lockdown colorati e fumosi. Non c’è più il coronavirus, muoiono i vecchi è un po’ come, tanto a lavoro muoiono i disgraziati, figurati se tocca a me. Io sto attento io, io ho esperienza. “Ho la mano di dio sulla testa visto che sto venti anni a verniciare e per ora non ho problemi ai polmoni” mi disse un lavoratore. Io preferirei avere il braccio del respiratore sopra la testa, gli risposi. Poi continuiamo a proteggersi da soli con riti e credenze e rimanere ognuno barricato nella propria percezione e a questo stiamo. Come stiamo messi male a morti sul lavoro (e in tanto, troppo altro).

*Simona Baldanzi