Probabilmente David Sassoli, presidente del Parlamento europeo, non pensava di suscitare un vespaio tale con la sua intervista su Repubblica di domenica 15 novembre, tanto da tramutare una risposta scarna e piuttosto evasiva «È un’ipotesi di lavoro interessante», alla domanda «Pensa sia anche necessario e possibile cancellare i debiti contratti dai governi per rispondere al Covid?». Un tema che ha attirato sparute simpatie, lo stigma dei liberisti più irrecuperabili ed infine il niet dei pezzi grossi della Banca Centrale Europea (BCE). Niente da fare. Sia la presidente Lagarde che il vicepresidente De Guindos fanno presente che la cancellazione del debito va contro i Trattati dell’Unione Europea.
Il panorama sembra piuttosto confuso: cosa c’entra la BCE col debito pubblico? E come dobbiamo inquadrare questo dibattito?
Premettiamo che col «ripudio del debito», caldeggiato da forze sociali di base e gruppi come il Comitato per l’abolizione del debito illegittimo (CADTM), tutto ciò ha poco a che vedere, in quanto si dovrebbe basare su di un’analisi dell’indebitamento in base ad un processo partecipato dal basso (audit popolare) che potrebbe sboccare al non-pagamento di una parte della somma in virtù del suo volgersi contro gli interessi collettivi. Di tutto ciò non c’è traccia nel dibattito attuale.
La crisi del 2007-08 ha portato un generale aumento dei debiti pubblici, sia per il salvataggio delle banche, che per il calo del Pil determinato dall’austerità. Mentre da un lato si rafforzava la presa delle istituzioni comunitarie sui bilanci pubblici con la nuova governance dell’Unione Europea, dall’altro si promuovevano politiche monetarie espansive da parte della BCE, consistenti nell’acquistare titoli pubblici non direttamente dallo Stato ma dalle banche e altri investitori.
In breve la Banca Centrale Europea si riempie di obbligazioni di Stato, diventando un creditore importante. Per dare le dimensioni della questione, nel periodo della pandemia i titoli emessi che la BCE ha acquistato valgono circa 660 miliardi di euro. L’idea sarebbe che la restituzione di tali cifre non venga richiesta mai o in tempi così dilazionati da renderla in pratica molto più agevole da pagare.
Non esistono ostacoli tecnici particolari per tale operazione: ovviamente la BCE registrerebbe una passività ma le banche centrali hanno delle prerogative che rendono il loro funzionamento molto diverso dai normali istituti – nonostante i commentatori più liberisti non riescano a distaccarsi dalla loro visione per cui tutto funziona più o meno come un’azienda, a partire dagli Stati e dalla Banca centrale…
Al di là degli starnazzamenti dei liberisti più ideologizzati, è presumibile che i decisori si opporranno a tale operazione in virtù del fatto che la proibizione che la BCE finanzi i governi è uno dei cardini della UE, e la sua rottura porterebbe probabilmente la Germania ad uscire, vista la tensione causata dalle politiche di espansione monetaria.
Inoltre ciò porterebbe ad interrogativi imbarazzanti: se la banca centrale può creare denaro dal nulla finanziando senza troppi i problemi gli Stati, com’è che si esige la restrizione della spesa pubblica come quella pensionistica? E com’è che non si usa questo strumento per contrastare la disoccupazione, che ha raggiunto livelli allarmanti? Tutta la legittimità derivante dal descrivere una situazione di scarsità di risorse che conduce alla necessità dei sacrifici sarebbe polverizzata.
Né si vedrebbe l’utilità di mettere su sistemi di assistenza finanziaria (MES, Recovey Fund) così bizantini nel loro funzionamento e occhiuti nel vigilare sulle modalità di spesa.
Quando a luglio 2012 il famoso discorso di Mario Draghi inaugurò un nuovo strumento di espansione monetaria, chiamato OMT («la BCE è pronta a salvaguardare l’euro con ogni mezzo») si parlò di un «ravvedimento» della nomenclatura europea. È una visione ingenua: il 2 febbraio 2012 si era firmato il Trattato MES, e l’ottenimento della sua assistenza è la precondizione necessaria per usufruire dell’OMT; ed un mese dopo, il 2 marzo, sarebbe stata la firma del Fiscal Compact, la cui adesione è a sua volta la precondizione per entrare in un programma MES. La svolta di Draghi arrivò solo quando era pronta la struttura giuridico-legale per ottenere delle contropartite in senso austeritario e di svuotamento delle sovranità per accedere al bengodi della BCE.
Una proposta di condono del debito da parte della BCE per la parte contratta durante la crisi Covid indubbiamente sarebbe un sollievo in un momento molto difficile, anche se andrebbero considerate attentamente diverse ricadute (il fatto che i liberisti e gli eurocrati non lo vogliano per motivi loro non significa che non vi possano essere controindicazioni, da vagliare con uno sforzo analitico). Ma possiamo risparmiarci la fatica, perché senza contropartite sostanziali non vedremo la minima concessione. «Niente pasti gratis» è diventato l’alfabeto delle alte sfere Ue e non si riuscirà ad andare oltre tali limiti a meno che non sia un movimento popolare ad imporre all’agenda dominante un modo diverso di pensare.
*Matteo Bortolon