L’Aylesbury Estate è un enorme complesso di case popolari nel quartiere londinese di Southwark edificato tra il 1967 e il 1977 che da diversi anni è interessato da un progetto di cosiddetta ‘rigenerazione urbana’, che per i più attenti non è altro che un esempio eclatante della gentrificazione londinese.
In questo periodo di Covid, in cui anche i festival di cinema si sono spostati in rete, tutti i titoli selezionati dal Festival dei Popoli, classico appuntamento fiorentino per gli appassionati di cinema documentario, sono stati visibili online. Nella selezione del concorso italiano una giovane regista toscana, Carlotta Berti, ha presentato un lungometraggio dedicato proprio a Aylesbury Estate.
Complice il suo passato da residente del complesso la regista è riuscita ad intervistare alcuni degli abitanti del più grande complesso di public housing di Londra in lotta contro la speculazione, un documentario classico con atmosfere alla Ken Loach che in 90 minuti è capace di mostrarci la parabola dello stato sociale inglese.
L’Aylesbury Estate, complesso che ospitava in diversi edifici ben 2.704 appartamenti e una media di 7.500 persone, fin dalla sua edificazione divenne bersaglio di continue critiche, tanto che al momento della sua inaugurazione il parlamentare conservatore londinese Ian Andrews lo definì ‘una giungla di cemento e non adatta alla vita delle persone’. Lo stesso anno, l’Architects’ Journal lo definì “disumanizzante”. In realtà i residenti raccontano tutta un’altra storia, amano i loro appartamenti che sono molto più spaziosi e luminosi della media di quella zona e pagano 110 sterline a settimana, più 30 sterline per le spese di riscaldamento e i servizi. Una cifra incredibilmente bassa per una delle zone oggetto della rigenerazione/ speculazione dell’epoca blairiana (siamo nella zona della Tate Modern per intenderci). Ma soprattutto negli anni si è creata nell’area una comunità auto organizzata che ha difeso con le unghie e con i denti il complesso chiedendo una riqualificazione sempre negata. Nonostante le mobilitazioni dei residenti tra i quali spicca anche Piers Corbyn, fratello di James ex leader laburista, il consiglio di Southwark ha deciso che invece di ristrutturare l’attuale complesso sarebbero stati costruiti 4.900 nuovi appartamenti da un’associazione per l’edilizia abitativa la Horizon Housing Group. Questa società mista pubblico privato, che vendendo metà appartamenti avrebbe finanziato tutta l’operazione, rappresenta la messa in atto dello schema tipico del New Labour di Blair, da cui alla fine guadagna solo il privato e il grande capitale. Eppure nel 2001 i residenti avevano votato contro questo piano, rifiutando che la proprietà e la gestione delle case passasse appunto al privato.
Ma cos’è successo tra gli anni della costruzione e quelli della privatizzazione voluta dal New Labour?
Dal 1979 al 1990 il primo ministro inglese fu Margaret Thatcher, grazie alle cui politiche lo stato sociale inglese venne massacrato, in quegli anni bui non furono risparmiate neppure le case popolari.
Fred Manson, all’epoca direttore del dipartimento per la rigenerazione del distretto di Southwark divenne famoso per aver detto che troppe case popolari generavano “il tipo sbagliato di residenti”. Non solo, Alice Coleman, docente e consigliera politica di Margaret Thatcher e il suo maestro, il sociologo Oscar Newman, (qui un video con le idee di Newman) utilizzarono il complesso residenziale londinese per diffondere le loro idee sul fatto che lo spazio privato è meglio dello spazio pubblico, che gli spazi comuni devono essere eliminati per la sicurezza dei residenti e che le aree comuni e la vita in aree come l’Aylesbury hanno effetti negativi sul comportamento dei residenti. Chi viveva in complessi di case popolari quindi era più a rischio di mettere in atto comportamenti devianti e di commettere reati. Del resto per la Thatcher la società non esisteva ma esisteva solo l’individuo.
Le case popolari furono quindi abbandonate, non ristrutturate e lasciate andare in malora, favorendo anche in qualche modo la delinquenza e lo spaccio di eroina molto diffusa tra gli anni 70 e gli 80 quando la disoccupazione era a livelli molto elevati. Fu in questa situazione che Toni Blair tenne proprio all’Aylesbury Estate il suo primo discorso da premier nel 1997, parlando alle ‘persone dimenticate’ delle case popolari che con lui sarebbero state ancor più dimenticate: “Ci sono luoghi in cui il più grande datore di lavoro è l’industria della droga, dove tutto ciò che resta delle grandi speranze degli urbanisti del dopoguerra è cemento abbandonato. ” Lo stesso sostenne qualche anno dopo anche Cameron in una perfetta continuità di pensiero tra New Labour e Conservatori.
Oggi c’è una nuova attenzione al tema delle case popolari e degli affitti accessibili, non solo in una città come Londra dove il tenore di vita non è sostenibile per le classi lavoratrici.
La crisi economica dovuta alla pandemia dovrebbe persaudere gli amministratori a ripensare le città, a fare marcia indietro su politiche che hanno cacciato i cittadini e le fasce popolari dai centri storici. Gentrificazione e turistificazione hanno trasformato le città: case popolari ed equo canone sono temi di cui si ricomincia a parlare. Sarebbe necessario documentare le storie e le sorti dei nostri complessi di case popolari, come ha fatto Carlotta Berti con l’Aylesbury Estate. Se a Londra si abbattono case popolari per costruire case per la borghesia, a Firenze da anni si cerca di vendere complessi come quello di Via de’ Pepi perché ricchi immobiliaristi ne facciano residence o appartamenti per brevi affitti turistici. Storie diverse ma figlie delle stesse politiche economiche e urbanistiche.
Francesca Conti
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