Ma di che vi stupite se disprezziamo un mondo che non ci ha mai offerto niente

Questo c’era scritto su uno striscione in piazza il giorno delle misure cautelari nei confronti di 7 ragazzi per quanto successo la sera del 30 ottobre. Il messaggio, chiarissimo, rimarrà inascoltato. Eppure forse è una delle cose che più dovrebbe rimanere di quella sera, di questa fase, di questi anni. Perché se si va a vedere il re nudo oltre le sontuose vesti immaginarie, è davvero grottesco lo stupore se davanti a un mondo basato sull’esclusione: dal lavoro, dalla casa, dal reddito, dai diritti, dai sogni, ogni tanto viene fuori la rabbia, anche quella brutta sporca e cattiva. E non è neanche questo il caso, il 30 ottobre non è stata messa a ferro e fuoco la città, nonostante i titoloni sui giornali.

Una generazione di giovanissimi ha detto, in modo disordinato, sgarbato, sgradevole, noi ci siamo, e non vi diamo retta, non diamo retta alle vostre regole, perché non ci sono motivi per cui dovremmo darvi retta. Avrebbe dovuto essere un momento in cui fermarsi a pensare, a vedere, a capire. E invece no. Tutti in coro a dire Sire, che bel vestito!, e a ripercorrere le consuete strade dello sdegno, della condanna, che roba Contessa!, e infine della repressione. E della punizione. Esemplare, naturalmente. Anche di questo si dovrebbe parlare, interrogarsi, pensare. Ma il coro non ammette stonature, né pause. Allora lo facciamo noi.

Da lungo tempo le nostre società si vanno sempre più disciplinando, con valori e codici sempre più rigidi sotto mentite spoglie di libertà: la totale precarietà diventa flessibilità, l’assenza di futuro è nascosta dietro la menzogna delle opportunità, il tutto apparecchiato su un piano che comprende solo l’individualismo, la competizione, l’assenza di socialità. Un “nuovo ordine” funzionale alla estrazione di valore da ogni aspetto della vita e del mondo, e molto opportuno per depotenziare movimenti di massa e passare alla “guerra civile molecolare come fenomenologia del conflitto sociale contemporaneo, fondato sull’individuo e non sulla classe” (H.M. Enzensberger).

Tutto questo necessita, e favorisce, una stretta repressiva per colpire ogni devianza dai canoni, ogni differenza, ogni diversità che possa davvero metter in discussione il piano del gioco, un gioco a cui tutti siamo tenuti a partecipare, ma che sappiamo solo pochissimi, i soliti, possono vincere. Evidentemente l’ emergenza sanitaria ha accentuato e favorito la tendenza, e la cosa drammatica è come questa sia sempre più interiorizzata da parte degli individui: dall’inseguimento da parte degli agenti del runner solo su una spiaggia deserta, alla delazione per chi usciva troppe volte a portar fuori il cane il passo è stato brevissimo. Perché preparato da tempo. Alla repressione istituzionale si aggiunge lo stigma sociale, ed è la carta vincente.

La vicenda di cui parliamo è paradigmatica. Nessuna domanda, nessun dubbio, da parte del potere. Solo condanna, esecrazione. Puntualmente seguita dalla “virile azione delle forze dell’ordine”, che con mano d’acciaio hanno individuato e già condannato e punito (evidentemente la magistratura è un optional) i rei. Anche su questo peraltro ci sarebbero da notare alcuni aspetti inquietanti. La convocazione, anonima, della protesta del 30 ottobre è partita, notoriamente, da ambienti di estrema destra. In piazza quella sera c’era una moltitudine senza organizzazione. Ma guarda caso siamo alla solita “cellula anarchica”, o agli “ambienti dei centri sociali”, che vanno sempre bene. E si vanno a colpire ragazzi che lavorano nei quartieri, che tentano di costruire un qualche tessuto di relazione sociale e qualche brano di consapevolezza per resistere nonostante tutto al “nuovo ordine”. Perché qualcuno non lo accetta, e vedi te la combinazione sono sempre quelli i cui nomi vengono scritti sulle ordinanze della questura. Poi ci sarebbe da chiedersi se uguale zelo è riservato alla penetrazione silenziosa – ma neanche troppo – della malavita organizzata che sta infiltrandosi a detta di molti osservatori nei meccanismi della crisi per rilevare attività e ripulire capitali.

E infine il coro dei giornali. E’ stato francamente imbarazzante trovare ovunque, in occasione di semplici misure cautelari, quindi in totale assenza di giudizio, nomi, cognomi, storie personali, con interi brani dei verbali di polizia che hanno riempito pagine e pagine. Evidentemente o il livello del giornalismo investigativo si è improvvisamente alzato a dismisura – ma solo per questa occasione – o viene da pensare che i verbali siano stati fatti circolare con l’indicazione di pubblicare tutto. Famiglie messe in piazza, lavori perduti, una gogna che non si vedeva da tempo, una vergogna però non per chi ha trovato il suo nome sbattuto su una pagina di giornale, ma per chi l’ha scritto e pubblicato. Dalla sorveglianza al controllo, da Michel Foucault a Shoshana Zuboff.

Il capitalismo, non pago da aver soggiogato la natura vuole ora, con la spinta neoliberista, “soggiogare la natura umana”.

E, come dice la docente di Harvard, “Basta! Questa deve essere la nostra dichiarazione” .

Maurizio De Zordo