Non è certo una novità che sempre più persone si accorgono degli enormi problemi che gravano sul nostro presente e oscurano il nostro futuro. In occidente, nel “progredito e democratico” occidente, la sensazione di incertezza nel presente, la scarsa fiducia nella classe politica che ci governa, unite alle migliaia di molecole tossiche di sintesi che abbiamo immesso nell’ambiente fino a compromettere la nostra catena alimentare e l’intero ecosistema sono ormai una realtà consolidata.
Da un po’ si è persino iniziato a constatare che la natura si sta ribellando alla nostra pesante intromissione nei suoi equilibri con il cambiamento climatico in prima fila fino ai gravi problemi sanitari per la nostra specie, virus, sterilità o malattie croniche che siano. La scienza disquisisce su quando è iniziato l’antropocene, il fatto che questa nuova era sia realmente iniziata è dato acquisito.
Questo ultimo anno e mezzo che abbiamo passato ci ha costretti a fare i conti con una enorme accelerazione di tutte queste incertezze ed in più ci siamo anche resi conto di come questo sistema può velocemente abbandonare il suo “volto buono” e diventare molto pericoloso proprio per noi, per le nostre famiglie, per i nostri figli mettendo in discussione quello che siamo abituati a pensare, ovvero che alla fine c’è sempre qualcuno o qualcosa che ci protegge. Con uno stato di eccezione praticamente sempre in atto, con un linguaggio bellico ormai diventato la normalità e con un bombardamento di notizie e opinioni a senso unico sparate a tutte le ore da tutti i canali di informazione la paura ha sostituito l’incertezza.
Gran parte della popolazione vive ammassata nelle città che sono sempre più problematiche: aria e acque contaminate, cibo spazzatura, grande scarsità di spazi verdi spesso mal custoditi, persone costrette a vivere stratificate fra cemento e asfalto, produzione di enormi quantità di rifiuti e nessuna possibilità di autonomia e di autodeterminazione né alimentare né territoriale.
Ecco che l’idea, il concetto di “transizione ecologica” inizia a farsi strada nei vari documenti e proclami di movimenti ambientalisti e sempre più con forza vengono richiesti dei cambiamenti profondi del nostro modo di vivere.
Come sempre accade la politica, che è sempre a caccia di consensi, si appropria di quelli che si prospettano come bisogni delle persone e li declina secondo i propri parametri ed interessi.
Ecco che la transizione ecologica diventa la green economy. Che la nostra economia capitalista si fondi su relazioni strettissime tra Stati, imprese e gruppi di interesse, dovremmo darlo per scontato, pertanto solo i cambiamenti che portano acqua ai loro mulini saranno concessi e lautamente finanziati. Non possiamo fare granché se da questo sistema che prima ci avvelena e poi ci cura siamo totalmente dipendenti.
La prima fondamentale cosa da ricercare e ottenere è la sovranità alimentare, o meglio l’autodeterminazione alimentare attraverso un diverso uso della terra nelle nostre campagne e la ricostruzione di comunità contadine. Ma qual’ è la situazione nelle nostre campagne?
Ormai il capitalismo neoliberista si è appropriato dei tutti i territori, di tutte le loro risorse ambientali e ha distrutto quasi completamente il tessuto sociale e culturale delle comunità
contadine. Le monocolture intensive petrolifere e chimiche sono ormai assimilate nel nostro paesaggio, si alternano come in una scacchiera all’incuria, all’abbandono e alla cementificazione e sono responsabili di una lenta e progressiva sottrazione di territorio alle cure dei contadini costretti all’urbanizzazione.
In questa situazione la produzione industriale del cibo e la grande distribuzione organizzata si rendono indispensabili così come è indispensabile l’uso indiscriminato della chimica. Gli ordinamenti giuridici e fiscali che regolano la produzione e la distribuzione delle merci (cibo compreso) sono dominati da ideologie di sviluppo e crescita e l’agroindustria impone le sue regole a danno di quello che resta del mondo rurale contadino.
Nella nostra vecchia Europa le culture dei popoli nativi, ormai quasi del tutto cancellate, sono quelle dei contadini. Tuttavia esistono ancora; esiste una minoranza marginale che sta resistendo all’imposizione di diventare impresa e di assoggettarsi a considerare il cibo come una qualsiasi merce. Nel nostro mondo contadino che chiamiamo “in resistenza”, così come in altre parti del mondo, esistono ancora culture che intrattengono rapporti egualitari e reciproci e che a differenza di quelle dominanti si rifiutano di filtrare ogni loro relazione attraverso le leggi di mercato, cioè lo spazio di competenza del capitale.
E’ necessario il rispetto della diversità culturale e l’integrazione fra culture diverse, proprio come nell’agroecologia dove il sapere antico e tradizionale dei contadini interagisce con la scienza moderna, che smette di essere prevaricatrice, e assume un atteggiamento olistico dove il dialogo e il reciproco scambio fra le collettività possa avvenire in modo totale e integrale. Il formarsi di queste “isole” (non felici) di diversità rispetto al sistema dominante – lo abbiamo constatato direttamente – è contagioso, le comunità che si formano intorno al cibo e alla terra dei contadini creano benessere vero e aggregano produttori e co-produttori (i consumatori nel sistema dominante) che si scoprono amici e non animati da interessi contrapposti.
Queste comunità che si autodeterminano pretendono di essere riconosciute e pretendono che si avvii un dialogo con le istituzioni che dovranno adeguarsi al fatto che non sono un progetto futuro o un astratto programma politico, ma esistono già, sono vive e sono in espansione. Pratiche di autocontrollo comunitario come la garanzia partecipata significano libertà di autogestione della propria (sempre comunitaria) sicurezza alimentare, significano creare dei meccanismi che svincolano i contadini dall’essere aziende e dal dover sottostare a norme che li hanno distrutti a favore dell’agrobusiness. Le comunità contadine hanno bisogno di piazze pubbliche dove creare momenti di incontro dove, attraverso lo scambio non solo dei prodotti, si concretizzi la comunità.
La comunità non “è”, si “fa” ed il posto fisico di aggregazione è giusto e corretto che sia uno spazio pubblico che deve essere concesso gratuitamente in quanto servizio alla comunità e non semplice attività commerciale.
In Toscana esiste un coordinamento delle comunità contadine già in essere che nel corrente mese di maggio ha lanciato una serie di iniziative pubbliche di sensibilizzazione. Dei momenti di incontro in varie piazze dove ci sono rapporti di confronto e in alcuni casi anche conflittuali con le istituzioni di cui vogliamo parlare. Al centro sempre le tematiche fondamentali del CCCT come autogestione comunitaria e accesso alle piazze.
Si è realizzato a Pontassieve lo scorso 6 maggio il primo incontro con il mercato contadino di “pontassieve in transizione“.
Le date prossime sono :
Venerdì 14 maggio ore 18 al mercato contadino di Piazza Tasso a Firenze
Domenica 23 maggio ore 15,30 presso “Genuino in piazza”, parco di Monteoliveto Pistoia
Sabato 29 maggio ore 10 la neonata “comunità contadina” si incontra in Piazza Poggi a Firenze
Non è possibile una vera transizione ecologica senza i contadini e senza la fine definitiva dell’economia capitalista liberista.
Giovanni Pandolfini
Giovanni Pandolfini
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