Città neoliberista/1. L’insostenibile ottimismo

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La più alta funzione dell’ecologia è la comprensione delle conseguenze.

 Frank Herbert, Dune

 

Quando si parla dei “piani” europei per la transizione ecologica, è necessario usare le virgolette perché l’economia capitalista non può pianificare nel lungo periodo. Non per incapacità, ma perché è nella natura del sistema, che funziona solo se si basa su piani a corto respiro, secondo i tempi degli investimenti e della produzione just in time. Basti solo l’esempio, anche se limitato, del sistema di prestiti, alla base della crisi del 2008.

Quello che si sta facendo, in realtà, è cercare di creare spazi su misura per le grandi corporazioni perchè possano accaparrarsi i finanziamenti stanziati. In questa economia si dedicano fondi solo a investimenti redditizi, eppure si spera che le grandi compagnie private risolvano gravi problemi di livello mondiale con spese per loro innecessarie.

Per entrare nel contesto, bisogna chiarire che nel 2005 si raggiunse il picco del petrolio, cioè il momento in cui la produzione, includendo la scoperta di nuovi pozzi, ha cominciato a decrescere. I giacimenti petroliferi sono rocce porose che, una volta perforate, permettono la fuoriuscita del liquido, che scorre attraverso i piccoli canali della roccia, grazie alla pressione presente. Se si estrae una certa quantità di liquido, gli interstizi della roccia si vanno comprimendo fino a chiudersi allo stesso tempo che diminuisce gradualmente la pressione, fino a quando il volume estratto è talmente scarso che il pozzo non è più conveniente[1]. Quando questo accadde negli anni ’70 negli USA, il paese smise di essere il primo produttore mondiale e la regione mediorientale assunse maggiore importanza strategica.

Ultimamente però, gli Stati Uniti sono tornati ad essere il primo produttore mondiale grazie alla frattura idraulica, il fracking. Questa tecnica esisteva già da quando il paese soffrì il suo particolare oil peack, ma si è diffuso massivamente solo da poco, permettendo alla curva di produzione mondiale di continuare a salire.

L’amministrazione Trump ha dedicato grossi sforzi per finanziare questa tecnica[2] invece di dedicarsi a migliorare il controllo di pozzi (che stanno perdendo capacità) in altri paesi. Infatti il fracking è una tecnica molto dispendiosa, si realizza per estrarre il petrolio da rocce compatte immettendo acqua a pressione e gas, operazione che richiede grandi investimenti di altri combustibili, scavare pozzi orizzontali e la separazione del greggio dai detriti. Tutto ciò richiede investimenti poderosi che gli altri paesi difficilmente possono fare, soprattutto se si tiene in conto che tali investimenti devono avere un ritorno, che per il momento non c’è stato, e con l’avvicinarsi anche del picco di estrazione del fracking stanno aumentando vertiginosamente le insolvenze (262 miliardi di dollari nel 2020)[3], che potrebbero portare a una nuova grande crisi.

Con il fracking è necessario investire grandi quantità di energia per ricavarne relativaente poca, e lo stesso vale per i petroli bituminosi del Canada e del bacino dell’Orinoco in Venezuela, che per essere utilizzati devono essere diliuti con petrolio di alta qualità, oltre a richiedere un uso massivo di gas metano e acqua, producendo una forte immissione di CO2 nell’atmosfera (infatti il Canada è l’unico paese firmante che ha abbandonato il trattato di Kioto).

Identiche ragioni di tipo fisico rendono poco conveniente l’estrazione nell’Artico o in mare profondo, mentre gli altri combustibili fossili presentano una situazione analoga al petrolio in quanto a picco di estrazione, specialmente il gas. Ma il problema principale di gas e carbone è che non possono sostituire il petrolio, il combustibile con maggior potenza energetica per volume, facile da trasportare e, soprattutto, il vero sangue della nostra civiltà basata sugli spostamenti.

Le soluzioni che propongono l’uso dell’elettricità per gli spostamenti sono talmente costose che risultano inviabili per una società democratica: è impossibile che si possano diffondere come oggi è diffuso il motore a benzina. Inoltre il secondo principio della termodinamica impone la perdita della maggior parte della capacità energetica dei combustibili fossili con la loro trasformazione in elettricità.

Questo non è un aspetto secondario poiché interessa tutte le fonti di energia, anche quelle rinnovabili, senza contare che il suo trasporto comporta ulteriori perdite, oltre a richiedere abbondanza di un altro insostituibile materiale in esaurimento, il rame.

Per queste ragioni, immaginare una città in cui le uniche merci acquistabili sono state prodotte, in tutte le loro fasi, entro poche centinaia di chilometri, potrebbe essere un esercizio sconvolgente e rivoluzionario. Pianificare le città della bioregione, dell’economia della prossimità, è il lavoro più utile che può svolgere la disciplina urbanistica al giorno d’oggi. Se infatti ci vedessimo obbligati a rinunciare forzatamente all’economia globalizzata parleremmo a ragione di catastrofe, però le catastrofi sono, per definizione, l’incrocio di multipli situazioni di rischio ed eventi accidentali. Le piene dei fiumi, ad esempio, sono catastrofiche quando le città si insediano nei loro alvei, quando queste si sviluppano sulle colline intorno le piene sono eventi naturali senza conseguenze negative.

Le catastrofi sono l’effetto della perdita della capacità umana principale, quella di adattarsi all’ambiente, conseguenza del tipo di organizzazione socioeconomica che domina al livello mondiale. Tuttavia, pur essendo chiaro che il discorso ecologista è essenzialmente politico, la classica via d’uscita della ragione capitalista è il fideismo tecnologico. (continua…)

Marko Mastrocecco

Note al testo

[1] Al diminuire la redditività, ogni anno diminuiscono gli investimenti, facendo più incombente la scarsità e urgente il problema. Si confrontino i dati forniti da Global Investmentes by Supply Segment 2020-2021, Rystad Energy UCube.

[2] https://energy.economictimes.indiatimes.com/news/oil-and-gas/trump-announces-he-has-signed-order-to-protect-hydraulic-fracking/78977540

[3] Cumulative Bankruptcy Debt, Haynes and Boone, wolfstreet.com.

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Marko Mastrocecco

Marko Mastrocecco è nato e cresciuto nei piccoli centri della costa abruzzese, si è poi trasferito a Firenze, dove ha studiato architettura. Attualmente vive a Madrid, è stato attivo nella fase iniziale di Podemos per inserirsi poi nelle fila di Anticapitalistas, dove milita dal 2016. A Madrid ha conseguito anche un master in urbanistica presso la Universidad Politécnica (UPM).

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