“C’è qualcosa di nuovo oggi nell’aria …” diceva una poesia (di Giovanni Pascoli, se ben ricordo) che nel secolo scorso imparavamo a memoria a scuola. E’ un verso che si può fare nostro dopo gli straordinari risultati del referendum [sull’acqua bene comune]. sembrerebbe questa una divagazione, eppure penso che c’entri molto con il tema di cui parleremo qui. A Teano, l’anno scorso, l’Italia delle tantissime esperienze di base – solidali, a tutela dei diritti, dell’ambiente, dei beni comuni – si è incontrata per avviare la ricostruzione di un’unità del Paese che avesse il collante proprio in quelle esperienze, così profondamente in sintonia con i principi della nostra Costituzione antifascista. Il punto 2 della Carta stilata a conclusione dell’incontro di Teano afferma: “L’Italia che che sogniamo e che vogliamo .. è l’Italia che accoglie il profugo, lo straniero perseguitato, disperato, costretto all’emigrazione da guerre e disastri ambientali, da un’economia globale escludente e punitiva con i più deboli. Un paese aperto al mondo, accogliente, multiculturale”.
Ed era stato proprio quanto era accaduto a Riace ed a Caulonia – ce ne parleranno fra poco i sindaci di quei comuni – a dare concretezza – la concretezza delle cose che è giusto, opportuno, possibile fare – a tale affermazione (nonché all’articolo 10 della Costituzione). Questo vale anche per gli altri temi resi concretamente “visibili” a Teano da varie altre esperienze concrete.
L’Italia riunita nel luogo dello storico incontro fra Garibaldi e Vittorio Emanuele II era un’Italia sotto traccia, oscurata dai media, considerata irrilevante rispetto ai poteri forti ed alla politica istituzionale, un’Italia fatta da persone apprezzabili, di buona volontà, ma che non contavano e non avrebbero mai contato nulla.
Questo pensavano politici “professionali” e media che avevano ignorato l’incontro.
Ebbene, i risultati del referendum dimostrano che non è poi così vero che quell’Italia, fatta da una società civile attiva, impegnata, solidale, risulti minoritaria e faccia solo atti esemplari e di testimonianza.
Vi è una gran voglia, da parte di una fetta sempre più ampia di popolazione (giovani, donne, anziane/i, lavoratori e lavoratrici, precari/e, disoccupati/e etc.) di partecipare, di risolvere insieme i problemi, di ridare senso così alla politica, rinchiusa per troppo tempo all’interno dei palazzi e riservata agli addetti ai lavori, al seguiTo molto spesso di ciò che impongono il mercato, le grandi multinazionali, i poteri finanziari. Soffia un vento nuovo, alla paura ed al rinchiudersi in se stessi (l’egoismo contrapposto alla politica, quella vera, secondo la felice definizione di don Milani e dei ragazzi della scuola di Barbiana) si va sostituendo la coscienza che insieme è possibile lottare, incidere, cambiare lo stato delle cose esistente.
Ciò risulta particolarmente vero riguardo ai temi dell’accoglienza, dell’inserimento sociale, dell’inclusione. In questo campo la paura e le ansie securitarie hanno prevalso in larga parte del Paese, alimentando per molto tempo le politiche nei confronti di migranti, richiedenti asilo, profughi/e. E non solo nei provvedimenti del Governo, ispirati dal razzismo della Lega (punta avanzata di un sentire più diffuso), ma anche nelle misure adottate a livello locale (le famose ordinanze dei Sindaci, in cui Firenze ha un triste primato, che la corte Costituzionale ha messo in gran parte in mora) e nel diffondersi di atteggiamenti ostili verso gli stranieri fra la popolazione.
Certo, vi sono atti in controtendenza (fra gli altri, la legge regionale sull’immigrazione della Regione Toscana, approvata nel 2009), ma la sicurezza è rimasta a lungo la preoccupazione dominante, che ha influenzato e condizionato anche chi, a livello istituzionale, si proponeva politiche di accoglienza.
Oggi il circolo vizioso “paura, richiesta di maggiore sicurezza, aumento della paura e delle misure securitarie” si è cominciato a rompere – i risultati delle recenti elezioni amminstrative lo dimostrano, in quanto l’allarmismo contro i Rom e gli immigrati (contro le “zingaropoli” e le moschee) non ha pagato -. E’ estremamente urgente che se ne rendano finalmente conto quegli amministratori toscani che si attardano ancora ad inseguire le paure, in genere presunte, dei loro amministrati.
Per andare in un’altra direzione, partendo da altri presupposti – essenzialmente dai diritti delle persone, dalla loro realtà di esseri umani, dalle iniziative che favoriscono l’inclusione e la convivenza -, non bastano le enunciazioni, ma occorre un impegno notevole – nello sforzo di impostare e realizzare progetti concreti, nel dare voce a chi non è rappresentato, nel far divenire realtà, nei vari territori, la legge approvata nel 2009 e rimasta, in qualche modo, nel cassetto -. Indubbiamente, di fronte a tutto questo, ricorrerà l’accusa di “buonismo”, ma, premesso che comunque il “buonismo” è sempre meglio del “cattivismo” di chi vorrebbe sparare sui barconi dei/delle migranti (nello stesso modo per cui la tolleranza, benché largamente insufficiente, è pur meglio dell’intolleranza), va sottolineato “buonismo” è fatto di enunciazioni e di parole generiche di principio, che non si misurano con i fatti da cui non seguono provvedimenti concreti, mentre ciò che prospettiamo è un insieme di atti, di progetti, di misure, di interventi politico/culturali volti ad affermare diritti, a promuovere pari opportunità, a sostenere rapporti di convivenza.
E’ su questa lunghezza di onde che si pongono iniziative come quella di oggi (e quella di domani l’altro, a Pisa, e cioè gli Stati Generali sull’Immigrazione). Dalle esperienze di Riace e Caulonia, di paesi cioè che la presenza dei/delle migranti – essenzialmente profughi/e del Nord Africa – ha rivitalizzato, possono venire indicazioni valide anche per la nostra Regione. Dalle esperienze in questione è nata una legge regionale calabrese volta a promuovere e far sviluppare l’inclusione di profughi/e e richiedenti asilo.
Particolarmente importante è il fatto che in quanto è stato pazientemente costruito in quelle realtà si sono intrecciati aspetti diversi: la tutela dell’ambiente, la cura di zone agricole e boschive, il restauro e la ristrutturazione di agglomerati in via di abbandono, il recupero di mestieri tradizionali, lo sviluppo di percorsi che, attraverso il confronto, hanno coinvolto insieme nativi/e e migranti.
Non si tratta, quindi, di interventi soltanto di accoglienza, spesso puramente assistenziali e destinati a concludersi in periodi più o meno brevi, ma di progetti complessivi che impegnano l’ente locale e l’intera comunità (e che proseguono nel tempo). Qualche piccolo esempio di un simile modo di procedere lo abbiamo anche qui in Toscana.
E’ necessario però andare oltre, e cioè far sì che, di fronte all’arrivo ricorrente di profughi/e e richiedenti asilo, o comunque alla presenza di persone emarginate, non vi sia un’indifferenza istituzionale, quando non addirittura un’ostilità (spesso si è proceduto allo sgombero da un territorio all’altro di quelli/e che vengono considerati “esuberi” rispetto alle capacità di accoglienza della propria realtà comunale). A Firenze, ad esempio, a dare un tetto a profughi/e e richiedenti asilo, in prevalenza somali ed eritrei, è stata da lungo tempo l’iniziativa “privata” (fra virgolette) del Movimento di Lotta Popolare per la Casa. Anche provvedimenti corretti e sensati come quello adottato dalla Giunta regionale toscana di fronte ai profughi/alle profughe dal Nord Africa (che prevede l’accoglienza in strutture di piccole dimensioni diffuse sul territorio) hanno bisogno di ulteriori sviluppi.
L’obiettivo che ci dobbiamo porre, istituzioni e società civile attiva insieme, è quello di giungere ad un sistema regionale in grado di fornire una prima accoglienza a coloro che ne hanno bisogno, siano essi richiedenti asilo, profughi/e, Rom scacciati da un territorio ad un altro, persone rimaste comunque prive di abitazione in seguito a calamità naturali o altro. Per passare poi, subito dopo, a processi di inclusione sulla base di progetti integrati, che prendano spunto anche dalle esperienze di cui discutiamo oggi (e che potranno avere un clima più favorevole, nelle istituzioni e nella società, grazie a quel vento nuovo che spira oggi nel nostro Paese).
Con questo incontro intendiamo avviare un percorso che metta insieme, nell’elaborazione di progetti,, enti locali, associazionismo e società civile attiva, “saperi” prodotti dalle realtà sociali e di movimento, dai luoghi di studio e di ricerca, da singole competenze, in settori diversi, che devono interagire fra loro (dell’accoglienza e dell’inclusione, del recupero abitativo, dell’assetto urbanistico, del ripristino e del mantenimento delle aree boschive ed agricole, del recupero dei vecchi mestieri artigianali, dello sviluppo di un turismo “spalmato” sull’intera regione, della tutela dell’ambiente e del territorio, della formazione e dell’interculturalità).
Perché, come hanno detto le donne con le grandi manifestazioni del 13 febbraio scorso, “Se non ora quando?”.
Moreno Biagioni
Moreno Biagioni
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