Le centrali nucleari ukraine tra informazione e guerra

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La sorte degli impianti nucleari Ukraini, data la guerra in corso, è cosa che desta serie preoccupazioni nell’opinione pubblica mondiale, ma soprattutto europea che certamente non può dimenticare i giorni terribili vissuti nel 1986 quando la nube di Chernobil investì buona parte dell’Europa centro orientale, ma anche della Bielorussia e del territorio russo confinante.

Perciò, quando i russi all’inizio della guerra occuparono militarmente il sito di Chernobil (febbraio 2022) l’incubo di quella catastrofe si ripropose in tutta la sua gravità, con l’aggravante che ai primi di marzo paracadutisti russi circondarono la centrale nucleare di Zaporizhzhia, che annovera sei reattori nucleari ed è la più grande concentrazione nucleare di tutta l’Europa.

Perché compiere una mossa così azzardata, sapendo che avrebbe oltremodo alimentato le critiche all’operato della Russia già condannata unanimemente per aver invaso uno stato sovrano?

La ridda di ipotesi che fin dall’inizio furono sviluppate dai mezzi di informazione europei convergeva, con qualche sfumatura, nell’attribuire ai russi l’intenzione di minacciare l’intera Europa attraverso una forma di deterrenza terroristica avente per oggetto la distruzione o il danneggiamento di siti nucleari. A nessuno venne in mente di prendere in considerazione l’ipotesi che l’occupazione di Chernobil e Zaporizhzhia avesse uno scopo non distruttivo, ma protettivo, forse per la consumata abitudine, tutta occidentale, di considerare i russi gente senza cuore, spietata e senza scrupoli.

Non è un caso che persino nelle canzoni pop, tanto per restare ad un genere di larga diffusione popolare, quando si accennava ai russi lo si faceva con una certa diffidenza: il testo di una delle più note e impegnate in senso pacifista – Russians, di Sting, del 1985 – recentemente riproposto dall’autore in appoggio “ai coraggiosi ucraini che combattono contro questa brutale tirannia” il ritornello dice “Spero che anche i russi amino i loro bambini” come a dire che la cosa non è così scontata come per noi occidentali ed appena un anno prima, 1984, un cantautore come Lucio Dalla cantava “Se io fossi un angelo” dove c’è una strofa che recita così: “ E’ chiaro che volerei- Zingaro libero- Tutto il mondo Girerei- Andrei in Afghanistan- E più giù in Sud Africa- A parlare con L’america- E se non mi abbattono- Anche coi russi Parlerei” dove emergono due aspetti: uno è la condiscendenza dell’autore che si dichiara disposto persino a parlare con i russi; l’altra è che si dà per scontato che i russi, a differenza di tutti gli altri popoli menzionati, ti sparano prima ancora di ascoltare ciò che hai da dirgli.

Per tornare a Chernobil l’occidente non ha ancora capito che se c’è una cosa nella storia russa recente che evoca commozione e sensi di colpa in ogni membro della società, ivi compresa la classe dirigente vecchia e nuova, è proprio quell’evento a seguito del quale, peraltro, persero al vita migliaia e migliaia di russi – i liquidatori- accorsi volontariamente per tentare di riparare ai danni.

L’occupazione di Chernobil da parte delle truppe russe ha sempre avuto, verosimilmente, lo scopo di proteggere il sito da azioni di sabotaggio e/o di tentativi di uso “improprio” (come la fabbricazione di una bomba sporca ) ad opera di formazioni paramilitari presenti in Ukraina, aspetto questo che fu espressamente indicato come motivo di preoccupazione dallo stesso Putin nel discorso rivolto alla nazione il 21 febbraio 2022.

Ciononostante, o forse proprio per questo, la campagna informativa ha avuto tutt’altro segno che ha raggiunto il suo culmine tra il 9 e il 14 marzo 2022 quando Ukrenergo (la società elettrica ukraina) ha comunicato al mondo intero che il sito di Chernobil era rimasto senza alimentazione elettrica a causa dei danneggiamenti subiti dalle linee elettriche che lo alimentavano per opera delle truppe russe.[1]1 Difficile credere che un sito come quello di Chernobil su cui convergono ben 5 linee elettriche ad alta tensione fosse in totale black out. D’altro canto nessuno in occidente prese in considerazione le denunce dei russi che accusavano sabotatori ucraini di aver deliberatamente staccato la corrente a Chernobil[2]2 e nemmeno il fatto che la Russia chiese espressamente a Lukashenko (presidente Bielorussia) di alimentare il sito di Chernobil attraverso la linea elettrica che lo collega al territorio ukraino.[3]3

Nel caso della Centrale di Zaporizhzhia, l’occupazione russa aveva un ulteriore scopo oltre quello di proteggere l’impianto da eventuali sabotaggi e precisamente quello di impedire che fosse interrotta l’alimentazione elettrica alla regione del Donbass che dipende in larga parte proprio da questo impianto nucleare.

Anche in questo caso l’informazione si è sviluppata a senso unico tanto che negli ultimi tempi i maggiori organi di stampa italiani (e non solo) hanno accreditato la tesi ucraina secondo cui i russi hanno collocato batterie di missili nei pressi della centrale di Zaporizhzhia per farsene scudo e provocare una catastrofe nucleare. Le cose stanno esattamente al contrario. È dai primi di luglio che il governo russo, attraverso i canali ufficiali, ha denunciato all’Onu e alla IAEA che gli ucraini stanno usando droni per colpire la centrale, specificatamente nelle opere di presa, cioè nei sistemi di raffreddamento delle vapore delle turbine che prelevano acqua dal fiume, senza i quali l’impianto non può funzionare.[4]4

Da parte loro l’IAEA e l’Onu non rispondono alla Russia, mentre Raphael Grossi (direttore IAEA) seguita a dichiararsi pronto ad andare a Zaporizhzhia per un sopralluogo, ma non dice che sono gli ucraini ad opporsi perché a questi fa gioco tenere in ansia il mondo col fatto che questa centrale è in mano ai russi che vorrebbero provocare una catastrofe.

Quanto alle preoccupazioni dei russi non sono senza fondamento se addirittura nel suo libro “Il pericolo nucleare in Ucraina” (Mimesis, 2022) Piergiorgio Pescali, a pag.49, scrive: “Zaporizhzhia è la centrale più vicina alle regioni separatiste del Donbas. Già nel 2014 fu oggetto di un tentativo di attacco da parte di una quarantina di militanti del gruppo di estrema destra Pravyi Sektor (“Settore di destra”), un’organizzazione sorta durante le proteste di Maidan a Kiev e che ha Stepan Bandera come loro riferimento. La Guardia Nazionale Ucraina riuscì a respingere senza troppe difficoltà l’assalto, ma l’episodio, che avrebbe dovuto sollevare preoccupazione presso l’Energoatom, l’ente statale che gestisce le centrali atomiche ucraine, non sembra abbia suscitato apprensione e venne presto dimenticato”.

Nella guerra delle notizie che si accompagna a quella delle armi è senza dubbio difficile discernere i fatti veri dalla propaganda, ma non si può certo dire che i media nostrani abbiano tentato di svolgere questo compito: unanimemente e acriticamente schierati con la Nato, hanno svolto una campagna di appoggio cieco e incondizionato all’Ukraina, ignorando i pericoli, peraltro noti, che potrebbero derivare da quel settore della società ukraina, fortemente intriso di ideologia nazista e militarmente organizzato, che non si farebbe scrupolo di provocare un disastro nucleare pur di darne la colpa ai russi.

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1 https://ua.energy/general-news/the-chernobyl-power-supply-line-is-damaged-again/

2 https://interfax.com/newsroom/top-stories/76115/?sphrase_id=78306

3 https://interfax.com/newsroom/top-stories/76123/?sphrase_id=78310

https://interfax.com/newsroom/top-stories/76267/?sphrase_id=78314

4 https://tass.com/politics/1482837
https://tass.com/politics/1482987

 

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Giorgio Ferrari

Giorgio Ferrari si diploma perito in Energia Nucleare all’Istituto Enrico Fermi di Roma. Al CRN è assistente ricercatore sulla nave oceanografica Bannock e poi presso l’Infam (Istituto di fisica dell’atmosfera e meteorologia). Nel 1967 entra all’Enel, settore nucleare e si dedica principalmente alla progettazione dei noccioli e del combustibile nucleare di cui diviene responsabile del controllo di fabbricazione per tutte le centrali dell’Enel, mansione che manterrà fino al 1987 quando, dopo l’incidente di Chernobyl, fece obiezione di coscienza. Successivamente ha svolto altri impieghi nel settore esteri dell’Enel in diversi paesi dell’America Latina , medio ed estremo oriente. Nel 1972 entra a far parte del Comitato Politico Enel, organizzazione di base che proprio in quegli anni inizia a sviluppare una critica del modello energetico dominante e, in particolare, all’energia nucleare sostenendo e promuovendo le lotte del movimento antinucleare. Stretto collaboratore di Dario Paccino, riedita insieme a lui la rivista “rossovivo” e, nel 1977, è tra i fondatori di “Radio Ondarossa”, con la quale collabora tutt’ora. Insieme a Dario Paccino ha scritto “La teppa all’assalto del cielo” i 72 giorni della Comune di Parigi, Edizioni libri del No. Con Angelo Baracca ha scritto “SCRAM: la fine del nucleare” edito da jaca Book -2011. Scrive sul manifesto ed altre riviste di ecologia ed è consulente scientifico di Isde.

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