Caos climatico e crisi del capitale

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Quando si pensa al cambiamento climatico ci si immagina un processo di continuo e omogeneo surriscaldamento, relativamente lento sulle scale temporali delle nostre vite, “condito” con un numero sempre maggiore di eventi estremi (alluvioni, ondate di calore…).  Questa visione, che alla base non ha niente di sbagliato e sembra dare una buona approssimazione di quello che sta accadendo, deve però essere arricchita per non dare una lettura meccanicista ad un fenomeno in continua evoluzione e di cui ancora non si può dire di avere una conoscenza sufficientemente approfondita.

Un’osservazione importante da cui partire è che i cambiamenti climatici hanno una loro diversità di comportamento sia nella dimensione spaziale che in quella temporale. Il sistema Clima infatti è un sistema complesso caratterizzato da forti interazioni interne tra i suoi “sottosistemi”; atmosfera, oceano, criosfera, biosfera… Tale questione non pone solo una sfida tecnico-scientifica di affinamento della conoscenza, ma richiede di essere assorbita ed elaborata dal movimento ecologista e dalle sue organizzazioni per aggiornare la teoria e gli strumenti in un contesto in cui l’emergenza impone di farlo anche con una certa rapidità.

Da ormai alcuni anni si sa che il segno dei soli cambiamenti di temperatura media assume valori diversi in aree geografiche diverse. Quello che poteva essere considerato un fenomeno di poco rilievo, la manifestazione di un rumore casuale che esiste in tutti i processi fisici che non sono mai perfettamente omogenei, è in realtà in alcuni casi la traccia di meccanismi strutturali più articolati.  Le anomalie di temperatura rispetto all’era pre-industriale sono particolarmente alte nell’Artico, eppure allo stesso tempo è ormai appurato il fatto che esista una regione oceanica a sud della Groenlandia dove l’anomalia termica ha un segno opposto, ovvero si è assistito ad un raffreddamento negli ultimi anni.

Andando su scale regionali che più possono riguardare la nostra latitudine, nel luglio 2022 una relativamente ricca comunità scientifica italiana inviava una lettera al Ministero dell’Ambiente nella quale si richiedeva di tenere urgentemente in agenda la questione climatica anche perché l’area mediterranea è un’area che sembra evolversi in maniera particolarmente instabile (tra l’altro in quella stessa lettera si mettevano in guardia le autorità sulla pericolosità di questo autunno a causa della intensa ondata di calore estiva).

La diversa distribuzione spaziale si comprende e si connette anche alla diversa evoluzione temporale dei fenomeni. Sono stati evidenziati almeno 9 sistemi climatologici (Tipping elements) che per effetto dei cambiamenti climatici potrebbero subire un brusco ed intenso cambiamento (Tipping Point). Un cambiamento che si caratterizza per essere di fatto irreversibile. Tra questi c’è la perdita della foresta amazzonica, scioglimento dei ghiacciai della Groenlandia, cambiamenti strutturali nei cicli monsonici. Lo stesso raffreddamento dell’area a sud della Groenlandia è legato all’indebolimento di un imponente sistema di correnti oceaniche atlantiche (tra cui la corrente del Golfo) che ad oggi risponde in maniera proporzionale ai cambiamenti in atto, ma che nell’arco di quale decennio potrebbe improvvisamente interrompersi.

Al momento non si sa dire esattamente quando questi cambiamenti bruschi ed irreversibili potranno avvenire ma si possono quantificare almeno grossolanamente le probabilità che avvengano e chiaramente queste probabilità aumentano più che la temperatura globale si innalza. Persino la soglia di 1,5 gradi di anomalia termica dell’accordo di Parigi, oggi ampiamente disattesa, risulta comunque un limite che non esclude la possibilità che alcuni sottosistemi collassino.

Al di là degli aspetti tecnici, qui presentati in maniera grezza, ci sono alcuni elementi su cui è necessario iniziare a riflettere. Innanzitutto questi fenomeni non vanno letti in maniera isolata né tra di loro né con il contesto circostante. Questi Tipping elements sono intrinsecamente collegati tra di loro: la perdita di ghiaccio in Groenlandia potrebbe far cambiare drasticamente la circolazione oceanica, che a sua volta però potrebbe ridurre la perdita di ghiaccio nella zona, così come la perdita di foresta amazzonica ha sicuramente impatti pesanti nella stagione monsonica.

Il fatto che il fenomeno del cambiamento climatico si manifesti diversamente a livello spazio-temporale ha un significato profondo. Il carattere delle sperequazioni e delle disuguaglianze all’interno della società capitalista è quello di essere non solo prodotti di questa società, ma di essere anche un presupposto importante per la riproduzione e l’allargamento della società capitalistica stessa. Detto in altri termini, se si pensa ai fenomeni globali, alle diverse condizioni materiali e soggettive locali, il capitale ha dimostrato di sapersi muovere e allargare sfruttando queste difformità a proprio vantaggio.

I fenomeni climatologici bruschi sopra citati, non presentano sicuramente la possibilità di essere controllati ed indirizzati, e se anche lo fossero le conseguenze di questi sono ad oggi totalmente sconosciute ma sicuramente sarebbero drammatiche per vaste aree del pianeta. Allo stesso modo affidarsi al buonsenso delle borghesie nazionali e dei loro referenti politici in un momento in cui queste spingono per la guerra globale sarebbe un errore imperdonabile.
La tragica riduzione dei ghiacciai artici ha aperto la contesa tra USA, Canada Norvegia e Russia per la spartizione delle nuove rotte commerciali in quella area. Così gli effetti dei cambiamenti climatici si avvertono anche nelle loro manifestazioni più drammatiche come successo in questi giorni nelle Marche, anche uno degli eventi più catastrofici rappresenta per il capitale un nuova prospettiva di allargamento dei propri confini, un rafforzamento dei processi produttivi e commerciali che sono la causa stessa della crisi climatica.

Parallelamente, la stessa sottrazione del tema della conoscenza di questi fenomeni dalle mani delle classi dominanti (che comunque ad oggi sembrano scarsamente o per niente interessate al tema specifico) e la sua rielaborazione dentro il movimento operaio e più specificatamente dentro il movimento ecologista, rappresentano un punto strategico di primo rilievo. Non a caso la conferenza scientifica europea tenutasi la settimana scorsa a Londra, radunando i soggetti accademici che lavorano sul tema, aveva per titolo “Tipping Point- From climate crisis to positive transformation”. Dove per positive transformation si intendeva esplicitamente il fatto che a partire dalla impellente necessità di azione e organizzazione, e dall’evidenza che le classi dirigenti politiche non hanno colto il pericolo della situazione, si potesse attivare un processo di rapida e brusca transizione “positiva”. Le forme in cui questa transizione possa attuarsi restavano però in quella sede molto poco definite La partecipazione di alcuni esponenti di movimenti locali, che hanno saputo raccogliere consensi tra la platea, ha evidenziato la necessità di saldare i rapporti tra il movimento stesso ed i rappresentanti di quella comunità, o almeno una parte di questa.

La più importante sfida che dobbiamo affrontare in questo momento è proprio quella di riuscire a connettere la parte politicamente più avanza del mondo intellettuale con gli stessi movimenti. Una connessione che oggi si può costruire a partire dalla reciproca necessità delle due parti visto che i tentativi della comunità scientifica di mettersi direttamente in contatto con la classe dirigente politica dei singoli paesi nazionali per convincerli della necessità di azioni urgenti non sta funzionando. Dall’altro questa dialettica arricchirebbe di elementi teorici scientifici, e quindi anche strategici, un movimento ecologista che già sta cercando, soprattutto nel nostro paese, di darsi un piano di convergenza insieme agli altri movimenti sociali prevalenti, in primis quello operaio.

Immagini dallo sciopero per il clima del 23/09/2022 a Firenze
Questo articolo è stato pubblicato originariamente in La voce delle lotte

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Matteo Cini

Dottorando in Fisica a Torino, nello specifico in transizioni climatologiche. Negli anni passati attivo nei collettivi universitari a Firenze.

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