I piani energetici europei non sono stati stravolti dalla guerra, piuttosto è cambiata la forma esteriore di questi piani. Il GNL gioca un ruolo importante in questo cambiamento di forma, ma preoccupa molto l’impatto ambientale connesso a questa nuova risorsa, fino a dieci volte più inquinante del gas da metanodotto.
La guerra, come continuazione della politica con altri mezzi, non mina alla base immediatamente la struttura sociale delle parti in conflitto, e allo stesso modo non stravolge irregolarmente l’apparato produttivo né le sue fonti di funzionamento.
L’avvento della guerra in Ucraina non ha infatti imposto un ripensamento generale dei piani energetici, piuttosto l’Europa ha deciso di riorganizzare gli approvvigionamenti come arma per fiaccare la controparte nel conflitto. Si riafferma la logica per cui la questione energetica all’interno degli stati nazionali viene affrontata esclusivamente nella sua finalità accessoria al sistema produttivo. Non è un caso che, come denunciato prima dall’ex ministro francese Nicola Hulot e poi anche da quello italiano Sergio Costa, i ministeri dell’Ambiente, a meno che non siano affidati a profili di massima fedeltà per le categorie sociali dominanti, siano privi di una loro autonomia politica in tema energetico, e rimangano sottoposti ai ministeri di direzione dello sviluppo economico.
La Commissione Europea oggi presenta con un certa enfasi la parziale riuscita del piano di diversificazione delle fonti energetiche per ridurre la dipendenza dal gas russo. I rifornimenti di gas russo attraverso i gasdotti sono passati dal 41%, sul totale degli approvvigionamenti di gas, al 9% (confronto tra agosto 2021 e agosto 2022). Nella prima metà del 2022 l’importazione di gas russo è stata sostituita principalmente da una maggiore approvvigionamento di GNL. Commissione Europea e Stati Uniti hanno firmato un accordo per aumentare del 70% i flussi di GNL pari a 15 miliardi di metri cubi aggiuntivi.
Questi dati hanno un significato non scontato.
La centralità data al gas come fonte energetica non è stata messa in discussione. Ricollegandoci a quanto detto prima, questo elemento non dovrebbe stupire se si parte dal presupposto che gli apparati produttivi europei al momento non sono stati stravolti dalla guerra. Gli sforzi si sono concentrati nel tentativo di ridurre al minimo l’import di gas russo favorendo altri canali di approvvigionamento da Stati Uniti, Azerbaijan, Egitto, Israele, Algeria (grandi garanti dello stato di diritto!).
Il GNL (gas naturale liquefatto) non è altro che lo stesso gas naturale che arriva attraverso i metanodotti, sottoposto a transizione di fase verso lo stato liquido (per efficientarne il trasporto su nave) e che necessità di essere riportato alla fase gassosa, proprio nei rigassificatori, per essere poi bruciato ed utilizzato come fonte energetica.
Pur trattandosi della stessa materia prima GNL e gas metano non hanno affatto lo stesso impatto ambientale. I passaggi di stato (gas-liquido-gas) hanno un costo energetico significativo che, associato al diverso tipo di trasporto, rendono, basandosi su un recente studio francese, il GNL impattante, a parità di energia prodotta, in media 2,5 volte il metano. Questo dato in realtà potrebbe arrivare, secondo un altro studio congiunto tra BBC e la norvegese Rystad Energy, fino a 10 volte se confrontato con le fonti di rifornimento da metanodotto a minor impatto. Un termine imponente se si pensa che quasi un terzo degli approvvigionamenti di gas in Europa sta andando in questa direzione.
C’è anche chi afferma, come il rapporto statunitense del Natural Resources Defense Council, che andando oltre la querelle in corso in questi giorni alla COP27 in Egitto, di fatto la scelta di puntare sul GNL segna un punto di non ritorno anche rispetto all’obiettivo di contenere l’aumento sotto gli 1,5°.
Un fallimento guidato proprio dalle classi dirigenti europee che si ritengono particolarmente avanzate in tema di lotta al cambiamento climatico.
Matteo Cini
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