Dicono che Assange non è un giornalista. Che è una spia. Che ha messo a repentaglio la sicurezza di molti agenti dell’intelligence. Che ha favorito la Russia. Che è antipatico, incontrollabile, irragionevole; forse anche uno stupratore. Dicono che è un criminale e così lo trattano. Lo hanno distrutto. Julian Assange è in carcere in Inghilterra da tre anni, dopo sette anni trascorsi segregato nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra; aspetta d’essere estradato negli Stati Uniti, dove gli apriranno le porte del carcere: dicono che non andrà sulla sedia elettrica, ma che subirà una pesante condanna, forse addirittura 175 anni di carcere: una pena surreale, degna – anzi indegna – di un caso che non ha nulla di ordinario.
Assange non è un giornalista nel senso classico della professione, ma è l’autore del più importante “colpo” giornalistico dell’ultimo secolo. Con la sua organizzazione, Wikileaks, ha svelato segreti inconfessabili, in testa (ma non solo) i crimini di guerra e contro l’umanità commessi in Afghanistan e Iraq da Stati Uniti e paesi alleati. Dapprincipio è stato sostenuto dalla grande stampa internazionale, alla quale si rivolse per pubblicare i documenti più clamorosi, poi è stato abbandonato e isolato. I media più influenti, le “grandi” firme del giornalismo italiano e internazionale lo hanno disconosciuto con mille scuse, oltretutto inconsistenti, come documentato in un importante libro (“Il potere segreto”, editore Chiarelettere) dalla giornalista italiana Stefania Maurizi. Assange è un perseguitato politico e la sua vicenda mostra in controluce le debolezze e le ipocrisie di un Occidente che afferma valori irrinunciabili e grandiosi princìpi – la supremazia dei diritti umani, la democrazia sostanziale, la piena libertà d’espressione, l’inviolabile stato di diritto – ma sempre meno li pratica.
Assange e Wikileaks hanno messo a nudo la cruda realtà della guerra (infinita) al terrorismo, cominciata con slancio retorico da liberatori, ma portata avanti con la brutalità di ogni guerra moderna, che è sempre – sempre – guerra primariamente contro le popolazioni civili. Le immagini, i file audio, i documenti rivelati da Wikileaks hanno strappato il velo protettivo che ha reso opache le imprese belliche occidentali degli anni Duemila. Oggi sappiamo che non c’è stata alcuna liberazione, alcuna esportazione della democrazia, bensì guerre punitive e di occupazione condotte senza porsi limiti: né la tortura, né gli omicidi mirati, né le rappresaglie, né l’eliminazione fisica senza motivo di persone comuni. Tutto provato. Assange paga per questo, così come stanno pagando altri “traditori” della narrazione occidentale, quali Chelsea Manning e Edward Snowden, a loro volta cittadini e attivisti che non hanno osservato la consegna del silenzio e dell’acquiescenza.
E c’è dell’altro. Julian Assange, nonostante sia stato messo a tacere, è tuttora un faro puntato, con la sua stessa esistenza, sulle miserie del giornalismo contemporaneo. La mancata difesa delle sue ragioni e del suo ruolo storico è un imperdonabile atto di omissione. Non importa se Wikileaks è entrata in conflitto con le testate d’informazione ufficiali, se Assange a un certo punto non è parso più affidabile ai cronisti: la sua azione in favore della libertà d’informazione e del diritto dei cittadini di sapere resta un punto fermo nella storia del giornalismo e nella storia politica del nostro tempo e perciò il fondatore di Wikileaks andava difeso in tutte le sedi, tempestivamente. Niente del genere è avvenuto e ora Assange è in attesa dell’estradizione negli Stati Uniti, dove sarà processato per le ragioni più sbagliate di questo mondo, in un paese che un tempo si vantava d’essere la patria del giornalismo indipendente e ora perseguita chi svela scomode verità sul potere: è una nemesi storica che molto dice sui tempi che viviamo. Julian Assange è trattato come un nemico e questo deve darci da pensare: vuol dire che stiamo vivendo una stagione di guerra permanente, combattuta dal potere anche senz’armi, usando altre subdole forme: nella società civile, nel mondo dell’informazione, ovunque si manifestino germi di rifiuto e contestazione. Perciò siamo tutte e tutti in pericolo. Il 15 ottobre si terrà una ventiquattr’ore di lotta in favore di Julian Assange e per la sua liberazione. Anche noi, nel nostro piccolo, grideremo: #freeAssange.
Lorenzo Guadagnucci
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complimenti, è un articolo che mette a fuoco il senso di impotenza e ingiustizia che avvolge il caso Assange e personalmente, aggiungo che dopo avere letto il Potere segreto, mi sono accorta di essere caduta nella trappola delle accuse false e tendenziose sull’uomo,
un saluto
Anna Cariani