Con il gentile permesso della casa editrice nel trentennale dalla morte di Felix Guattari pubblichiamo il seguente brano proveniente da Caosmosi, Mimesis, Milano 2020, corrispondente alle pagine da 23 a p. 29.
INDICE
Costruttivismo macchinico. Félix Guattari fra filosofia, scienze sociali e pratiche terapeutiche, artistiche e politiche. – Massimiliano Guareschi 7
Sulla produzione della soggettività 23
L’eterogenesi macchinica 49
Metamodellizzazione schizoanalitica 69
La caosmosi schizo 85
L’oralità macchinica e l’ecologia del virtuale 93
Il nuovo paradigma estetico 101
L’oggetto ecosofico 119
Bibliografia 133
Indice dei nomi 137
Caosmosi è l’ultimo libro scritto da Félix Guattari. Esce nel 1992, l’anno della sua morte.
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SULLA PRODUZIONE DELLA SOGGETTIVITÀ
Le mie attività professionali nel campo della psicoterapia, così come il mio impegno politico e culturale, mi hanno spinto a mettere sempre maggiormente l’accento sulla soggettività in quanto prodotta da istanze sia individuali sia collettive e istituzionali.
Considerare la soggettività dal punto di vista della sua produzione non implica alcun ritorno ai tradizionali sistemi di determinazione binaria, struttura materiale-sovrastruttura ideologica. I differenti registri semiotici che concorrono a generare soggettività non implicano rapporti gerarchici necessari, fissati una volta per tutte. Può accadere, per esempio, che la semiotizzazione economica divenga dipendente da fattori psicologici collettivi, come si può constatare considerando la sensibilità degli indici di borsa alle fluttuazioni dell’opinione. La soggettività è infatti plurale e polifonica, per riprendere un’espressione di Michail Bachtin. Essa non conosce alcuna istanza dominante di determinazione che guidi le altre secondo una causalità univoca.
Almeno tre tipi di problemi ci spingono ad ampliare la definizione di soggettività, superando l’opposizione classica fra soggetto individuale e società, e a rivedere i modelli d’inconscio oggi circolanti: l’irruzione di fattori soggettivi in primo piano nell’attualità, lo sviluppo massivo delle produzioni macchiniche di soggettività e, infine, la recente messa in luce d’aspetti etologici ed ecologici relativi alla soggettività umana. I fattori soggettivi hanno sempre svolto un ruolo rilevante nella storia. Tuttavia iniziano a rivestire una portata preponderante nel momento in cui sono connessi a mass media di portata mondiale. Ci soffermeremo sommariamente su qualche esempio. L’immenso movimento scatenato dagli studenti cinesi sulla piazza Tienanmen aveva certo per obiettivo parole d’ordine di democratizzazione politica. Tuttavia, appare pressoché certo che i carichi affettivi contagiosi di cui era portatore debordassero dalle semplici rivendicazioni ideologiche. Tutto uno stile di vita, una concezione dei rapporti sociali (a partire dalle immagini veicolate dall’Occidente) e un’etica collettiva, si sono trovati messi in gioco. E a lungo termine i carri armati non potranno nulla! Come in Ungheria e in Polonia, sarà la mutazione esistenziale collettiva ad avere l’ultima parola! Tuttavia, i grandi movimenti di soggettivizzazione non si svolgono necessariamente in senso emancipatorio. L’immensa rivoluzione soggettiva che attraversa il popolo iraniano da più di dieci anni si è focalizzata su arcaismi religiosi e attitudini sociali globalmente conservatrici – in particolare riguardo alla condizione femminile (questione particolarmente delicata e avvertita in Francia, a proposito degli eventi del Maghreb e delle ripercussioni di tali attitudini repressive sulle donne del milieu dell’immigrazione).
A Est, il crollo della cortina di ferro non ha avuto luogo sotto la pressione d’insurrezioni armate ma per la cristallizzazione di un immenso desiderio collettivo che ha annichilito il substrato mentale del sistema totalitario post-staliniano. Un fenomeno estremamente complesso in quanto unisce aspirazioni emancipatorie a pulsioni retrograde, conservatrici, per non dire fasciste, d’ordine nazionalista, etnico e religioso. Come, in questa tormenta, le popolazioni dell’Europa centrale e dei paesi dell’Est supereranno l’amara delusione che l’Ovest capitalista ha fino a ora riservato loro? La storia ce lo dirà; una storia portatrice forse di cattive sorprese e forse, perché no, di un rinnovarsi delle lotte sociali! Quanto assassina, in confronto agli eventi dell’Est, è stata la guerra del Golfo! Si potrebbe quasi parlare in proposito di genocidio poiché ha condotto, colpendo la popolazione indiscriminatamente, allo sterminio di un numero di irakeni superiore a quello delle vittime delle bombe di Hiroshima e Nagasaki nel 1945. Giudicando a distanza, la posta del conflitto sembra essere stata, da una parte il tentativo di domare le popolazioni arabe, dall’altra il proposito di riprendere in mano l’opinione mondiale: si trattava di dimostrare che la via yankee di soggettivizzazione poteva essere imposta dalla potenza dei media combinata a quella delle armi.
Si può dire che la storia contemporanea è sempre più dominata dal montare di rivendicazioni di singolarità soggettiva – conflitti linguistici, rivendicazioni autonomiste, questioni nazionaliste – che in un’ambiguità totale esprimono aspirazione alla liberazione nazionale, ma si manifestano d’altra parte in ciò che io chiamerei riterritorializzazioni conservatrici della soggettività. Una certa rappresentazione universalista della soggettività, incarnata dal colonialismo capitalistico dell’Ovest e dell’Est, è fallita senza che si possano ancora misurare a pieno le conseguenze di tale scacco. Oggi, come tutti sanno, la crescita dell’integralismo nei paesi arabi e musulmani può avere conseguenze incalcolabili, non solamente sulle relazioni internazionali, ma anche sull’economia soggettiva di centinaia di milioni di individui. Non solo la problematica dello sviluppo, ma anche la questione del montare delle rivendicazioni del Terzo mondo, dei paesi del Sud, si trova in tal modo segnata da un punto interrogativo angosciante.
La sociologia, le scienze economiche, politiche e giuridiche appaiono, nell’attuale stato di cose, assai male dotate per rendere conto della mescolanza di attaccamento arcaizzante alle tradizioni culturali e di aspirazioni alla modernità tecnologica e scientifica che caratterizza il cocktail soggettivo contemporaneo. La psicoanalisi tradizionale, d’altra parte, non è per nulla meglio posizionata per affrontare tali problemi, in ragione della tendenza che le è tipica alla riduzione dei fatti sociali a meccanismi psicologici. In queste condizioni, pare opportuno forgiare una concezione più trasversalista della soggettività che permetta di rispondere ora delle sue prese territorializzate idiosincratiche (Territori esistenziali), ora delle sue aperture su sistemi di valore (Universi incorporei) dalle implicazioni sociali e culturali. Bisogna tenere le produzioni semiotiche dei mass media, dell’informatica, della telematica e la robotica al di fuori della soggettività psicologica? Penso di no. Allo stesso titolo delle macchine sociali, che possono essere incluse nella rubrica generale delle Apparecchiature collettive (Équipements collectifs), le macchine tecnologiche d’informazione e di comunicazione operano nel cuore della soggettività umana, non solamente in seno alle sue memorie e alla sua intelligenza, ma anche in rapporto alla sua sensibilità, ai suoi affetti e ai suoi fantasmi inconsci. Farsi carico di tali dimensioni macchiniche di soggettivizzazione ci conduce a insistere, nel nostro tentativo di ridefinizione, sull’eterogeneità delle componenti che si concatenano nella produzione di soggettività. Troviamo così:
1) componenti semiologiche significanti che si manifestano attraverso la famiglia, l’educazione, l’ambiente, la religione, l’arte, lo sport ecc.;
2) elementi fabbricati dall’industria dei media, del cinema ecc.;
3) dimensioni semiologiche asignificanti che mettono in gioco macchine informazionali di segni, funzionanti parallelamente o indipendentemente dalla produzione e dalla trasmissione di significazioni e denotazioni; dimensioni dunque estranee alle assiomatiche propriamente linguistiche. Le correnti strutturaliste non hanno attribuito né autonomia né specificità a questo regime semiotico asignificante, nonostante autori come Julia Kristeva e Jacques Derrida abbiano fatto una certa chiarezza circa la relativa autonomia di tale genere di componenti. Tuttavia, in generale, l’economia asignificante del linguaggio è stata appiattita su quelle che io definisco macchine di segni, sull’economia linguistica, significazionale, della lingua. Una simile prospettiva è particolarmente avvertibile in Roland Barthes, il quale correla gli elementi del linguaggio e i segmenti di narratività alle figure di Espressione e conferisce alla semiologia linguistica un primato su tutte le semiotiche. Fu un grave errore, da parte delle correnti strutturaliste, pretendere di riportare tutto ciò che concerne la psiche al pastorale del significante linguistico! Le trasformazioni tecnologiche ci costringono a prendere in considerazione concorrentemente una tendenza all’omogeneizzazione universalizzante e irrazionalista della soggettività e una tendenza eterogenetica, un rafforzamento cioè dell’eterogeneità e della singolarizzazione delle componenti della soggettività stessa. In tal modo, l’uso del computer conduce alla produzione di immagini che si aprono su Universi plastici insospettati – penso per esempio al lavoro di Sebastián Matta con la palette – o alle soluzioni di problemi matematici propriamente inimmaginabili solo qualche anno fa. Ma, ancora, è necessario guardarsi da ogni illusione progressista, così come da ogni visione sistematicamente pessimista. La produzione macchinica di soggettività può operare per il meglio come per il peggio. Esiste un’attitudine antimodernista che consiste nel rigettare complessivamente le innovazioni tecnologiche e in particolare quelle che sono legate alla rivoluzione informatica. Non si può giudicare né positivamente né negativamente una simile evoluzione macchinica; tutto dipende da quella che sarà la sua articolazione con i concatenamenti collettivi di enunciazione. Il meglio è la creazione, l’invenzione di nuovi Universi di referenza; il peggio è la massmedializzazione abbrutente alla quale sono oggi condannati miliardi di individui. L’evoluzione tecnologica coniugata alla sperimentazione sociale sui nuovi contesti può forse farci uscire dal periodo oppressivo attuale e farci entrare in un’età post-mediatica, caratterizzata da una riappropriazione e da una risingolarizzazione dell’uso dei media (accesso alle banche dati e alle videoteche, interattività fra protagonisti ecc.).
Il movimento di comprensione polifonica ed eterogenetica della soggettività ci spinge a incrociare alcune ricerche contemporanee di matrice etologica ed ecologica. Daniel Stern, in The Interpersonal World of the Infant (1985) ha ottimamente esplorato le formazioni soggettive preverbali del bambino.1 Egli mostra che non ci troviamo per nulla di fronte a “stadi”, nel senso freudiano del termine, bensì a livelli di soggettivizzazione che si manterranno in parallelo per tutto il corso della vita. Si abbandona quindi la sopravvalutazione della psicogenesi dei complessi freudiani concepiti come degli “Universali” strutturali della soggettività. All’opposto, troviamo valorizzato il carattere immediatamente transoggettivo delle esperienze precoci del bambino, esperienze nelle quali il senso del sé e il senso dell’altro non si trovano dissociati. Una dialettica fra “affetti condivisibili” e “affetti non condivisibili” struttura quindi le fasi emergenti della soggettività. Una soggettività allo stato nascente che non cesserà di ripresentarsi nel sogno, nel delirio, nell’esaltazione creatrice, nel sentimento amoroso…
L’ecologia sociale e l’ecologia mentale hanno trovato luoghi privilegiati di esplorazione nelle esperienze della psicoterapia istituzionale. Penso naturalmente alla clinica La Borde, ove da tempo lavoro; in essa tutto è concepito affinché i malati psicotici vivano in un clima di attività e di presa di responsabilità, non solamente allo scopo di sviluppare un’atmosfera di comunicazione, ma anche per favorire la creazione di fuochi locali di soggettivizzazione collettiva. Non si tratta quindi di un semplice rimodernamento della soggettività dei pazienti – così come pre-esisteva prima della crisi psicotica – ma di una produzione di soggettività sui generis. Per esempio, alcuni malati psicotici, originari di zone agricole povere, saranno spinti alla pratica delle arti plastiche, a fare teatro, video, musica ecc., universi fino ad allora loro estranei. All’opposto, burocrati e intellettuali saranno attratti da lavori manuali: in cucina, in giardino, in cantina, al club ippico. L’importante non è il mero confronto con una nuova materia d’espressione ma la costituzione di complessioni di soggettivizzazione: individuo-gruppo-macchina-scambi multipli. Tali complessioni, effettivamente, offrono alla persona possibilità diversificate di ricomposizione della corporeità esistenziale, di uscita dalle impasse ripetitive e, in qualche maniera, di risingolarizzazione. Si operano così innesti di transfert che procedono non da dimensioni “già date” della soggettività, cristallizzate in complessi strutturali, ma da una creazione e che quindi possono essere in qualche modo riferite a un paradigma estetico. Si creano nuove modalità di soggettivizzazione in analogia, per esempio, con il lavoro dello scultore che crea nuove forme a partire dai materiali di cui dispone. In un simile contesto, le componenti più eterogenee possono concorrere all’evoluzione positiva di un malato: rapporto allo spazio architettonico, relazioni economiche, cogestione fra malato e operatore dei differenti vettori di cura, attenzione a ogni apertura sull’esterno, sfruttamento processuale delle “singolarità” evenemenziali; in definitiva, tutto ciò che può contribuire alla creazione di un rapporto autentico all’altro. A ciascuna di tali componenti dell’istituzione di cura corrisponde una pratica necessaria. Ci troviamo di fronte non a una soggettività data in sé ma a processi di presa di autonomia e di autopoiesi (intesa quest’ultima in un senso differente rispetto all’uso che ne fa Francisco Varela).2
Consideriamo ora un esempio di sfruttamento delle risorse etologiche ed ecologiche della psiche nel campo delle psicoterapie della famiglia. Ci riferiamo in particolare alla corrente, sviluppatasi intorno a Mony Elkaim, che tenta di liberarsi dall’ipoteca delle teorie sistemiche che riscuotono ampio successo nei paesi anglosassoni e in Italia.3 In tal modo, la creatività delle terapie ci allontana dallo scientismo per approssimarci a un paradigma etico-estetico. Il terapeuta s’impegna in prima persona, corre dei rischi, mette in gioco i propri fantasmi e crea un clima paradossale d’autenticità esistenziale, arricchito dalla libertà di gioco e di simulacro. La terapia della famiglia produce soggettività nella maniera più artificiale possibile. È possibile verificarlo durante le sedute di formazione, quando gli psicoterapeuti si riuniscono per improvvisare scene psicodrammatiche. La scena, in un simile contesto, implica una sovrapposizione di livelli enunciativi: una visione di sé stessi in quanto incarnazione concreta; un soggetto di enunciazione che raddoppia il soggetto dell’enunciato e la distribuzione dei ruoli; una gestione collettiva del gioco; un’interlocuzione con i commentatori della scena; e infine uno sguardo video che restituisce in feedback l’insieme di questi livelli sovrapposti. Una performance di tal genere favorisce l’abbandono di un’attitudine “realista” che approccerebbe le scene vissute come sistemi realmente incarnati nelle strutture familiari. Questo aspetto teatrale, a molteplici sfaccettature, permette di cogliere il carattere artificiale e creazionista della produzione di soggettività. Sottolineiamo come l’istanza dello sguardo del video abiti ogni momento della visione del terapeuta. Anche quando la telecamera è spenta, infatti, si conserva l’abitudine di osservare certe manifestazioni semiotiche che sfuggono allo sguardo ordinario. Il faccia a faccia ludico con i pazienti e la ricettività verso le singolarità sviluppate da questo genere di terapia si distinguono marcatamente dall’atteggiamento dello psicanalista dal volto discosto come pure dalla performance psicodrammatica classica.
Se si considera tanto la storia contemporanea quanto la produzione semiotica macchinica, tanto l’etologia dell’infanzia quanto l’ecologia sociale e l’ecologia mentale, si assiste alla medesima messa in questione dell’individuazione soggettiva, che certo sussiste, ma inscindibilmente dal lavoro che su di essa svolgono i concatenamenti collettivi di enunciazione. La definizione provvisoria di soggettività che a questo punto potrei proporre come la più inglobante potrebbe essere la seguente: l’insieme di condizioni che rendono possibile a delle istanze individuali e/o collettive di essere in posizione per emergere come Territori esistenziali auto-referenziali, in adiacenza o in rapporto di delimitazione con un’alterità, essa stessa soggettiva. Sappiamo che in determinati contesti sociali e semiologici, la soggettività si individua; una persona, considerata responsabile di sé stessa, si posiziona in seno a rapporti di alterità retti da usi familiari, da costumi locali, da leggi giuridiche… In altre condizioni, la soggettività si fa collettiva, senza tuttavia divenire esclusivamente sociale. Il termine “collettivo” è qui inteso nel senso di una molteplicità che si dispiega sia al di là dell’individuo, sul versante del socius, sia al di qua della persona, sul versante d’intensità preverbali che promanano da una logica degli affetti più che da una logica degli insiemi circoscritti.
Le condizioni di produzione tratteggiate in questa ridefinizione implicano dunque congiuntamente istanze umane inter-soggettive manifestate tramite il linguaggio, istanze suggestive o identificatorie rilevanti dall’etologia, interazioni istituzionali di differente natura, dispositivi macchinici – per esempio il ricorso al computer – Universi di referenza incorporei – per esempio nella musica e nelle arti plastiche. Questa parte, non umana e pre-personale della soggettività è essenziale poiché è a partire da essa che può svilupparsi il divenire etero-genetico.
1 Cfr. Stern (1985).
2 Varela (1989).
3 Elkaim (1989).
Redazione
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