Dopo due anni dalle proteste del 30 ottobre 2020 le periferie fiorentine sono ancora più emarginate.

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Novoli
Foto da StampToscana

Il 30 ottobre 2020 la tranquillità delle notti di Firenze venne violata da una serie di proteste organizzate in diverse zone del centro storico. Un articolo del 1° novembre del Corriere Fiorentino si poneva l’ambizioso obiettivo di fornire una descrizione dei protagonisti di quella notte di disordini che aveva visto un’ampia mobilitazione di giovani provenienti dalle periferie della città. Giovani, alcuni dei quali minorenni, “uniti dall’odio verso le forze dell’ordine”. Sono diversi gli elementi che il quotidiano ometteva dalla sua narrazione. Molti dei quali avrebbero probabilmente contributo alla costruzione di un quadro generale delle dinamiche di quella notte: le loro motivazioni, il loro svolgimento, le loro prospettive. Al di là del tentativo (fallito) di voler individuare e collocare una tale moltitudine all’interno di uno schema predeterminato e stabile ai fini della comprensione dell’ennesima insolita dinamica sociale, il Corriere pare ricordarsi di un elemento che spesso sfugge dal dibattito pubblico cittadino: la periferia fiorentina.

Intese come zone neutrali, le zone periferiche della città hanno deciso, una notte di fine ottobre, di confrontarsi con il centro storico. Le modalità mediante le quali la periferia si è palesata agli occhi di Firenze (quella vera) sono però degne di nota: i protagonisti sono stati i giovani. Coloro, cioè, che condividono con i loro coetanei di altre parti d’Italia la stessa drammatica percentuale: il 29,7% di disoccupazione giovanile e, in Toscana, il 22% di abbandono scolastico. Gli stessi giovani provenienti dai quartieri popolari relegati ai margini della “città vetrina” che l’amministrazione Renzi prima, e quella Nardella poi, hanno deciso di escludere da qualsiasi processo costruttivo collettivo.

È qui implicita la tendenza ad instaurare una distanza fra la Firenze vivibile, a misura di turisti e lussuosi alberghi, e quella marginale, sovrappopolata e decadente. Si manifesta così un rapporto di sfruttamento e di dipendenza dal centro nevralgico. Una relazione fra i due punti che, quando avviene, percepisce unicamente diversità. Come se ognuno dei due tendesse a guardare l’altro come estraneo. Dove il secondo cerca il proprio posto nel primo consapevole che si tratti di una dimensione dotata di rigidi parametri all’ingresso.

In quel periodo la Toscana era stata da poco diventata zona rossa e la periferia trasmetteva una luce differente. Non nel senso che il comune aveva adottato misure finalizzate ad alleggerire la vita dei suoi cittadini. Ma in un’accezione particolare: la periferia era desolante come sempre ma assumeva sembianze inedite. Con le persone costrette a casa anche tutte le contraddizioni e i problemi delle periferie sembravano scomparsi: i licenziamenti di massa, gli sfratti, i black out, le fabbriche dismesse, gli autobus che non passano, i tossici.

A distanza di due anni da quella notte di proteste ciò che sembra essere cambiato è il divario che intercorre tra il centro storico e le periferie. Trattasi di una distanza che aumenta ogni giorno di più. Tale disuguaglianza aumenta sotto i nostri occhi, in maniera silenziosa, senza fare notizia. Nella sua interezza, la periferia fiorentina è costituita da una pluralità di componenti che definiscono la sua struttura. Essa circonda la città, la osserva dagli angoli remoti di un contesto urbano privo di una propria omogeneità. Scruta ogni suo sviluppo, spesso perpetuando l’illusione di sentirsi partecipe di ogni suo cambiamento. Ma ogni occasione di evoluzione e avanzamento, quando avviene, non è detto sia destinato ad entrambe le componenti della città. Gli scarsi collegamenti fra centro e periferia determinano una dinamica di lontananza apparentemente irremovibile. Il distacco fra ciò che rimane dentro e ciò che invece è destinato all’esterno innesca un meccanismo di esclusione fra coloro sui quali grava il peso dell’emarginazione. Il centro viene così presentandosi come il luogo “dei pochi per i pochi“.

Tuttavia anche all’interno dei quartieri non periferici si può scorgere qualche frammento di periferia: ciò può essere inteso come il frutto di un processo di colonizzazione interno che si manifesta in ogni angolo e che basta saper osservare. Desiderosa di strapparsi le vesti che le hanno cucito addosso, l’entità periferica si spinge oltre i luoghi che le sono propri, in quanto attratta dalla perenne fuga dal deserto che la compone. La periferia è sinonimo di ciò che fa contrasto, ciò che stona, che rompe il contesto generale con cui si rapporta. Da tale punto di vista può esser periferico un luogo, una scuola, un gruppo, un individuo; tutto ciò, insomma, che presenta caratteristiche che consentono a chi osserva di collocare un certo elemento nella sua struttura sociale d’appartenenza.

Della notte di fine ottobre sembra non esser rimasto nulla. La rabbia espressa in quell’occasione è rientrata nei ranghi. L’appiattimento e la calma apparente danno vita ad un tessuto sociale silenzioso e immobile, relegato ad una specifica area urbana dalla quale ora è impossibilitato ad uscire. L’ira di quella notte si è dissolta e il vuoto che ha urlato non ha trovato interlocutori capaci di comprenderlo. Per cui si ritira nella sua dimensione di appartenenza, la stessa che lo ha generato e che ora lo accoglie.

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Lorenzo Villani Marco Nutini

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