“Abitare la Firenze che guarda al futuro” – così recita con limpida ma involontaria ironia, il claim che accoglie il visitatore del sito Live in Manifattura Tabacchi. Del resto come dar loro torto, senza alcun dubbio Firenze guarda a quel futuro, il loro. Un domani che si fa sempre più presente e pressante, materializzandosi dinanzi ai nostri occhi nelle stentoree forme del cemento e dell’acciaio a vocazione commerciale. Sbucano infatti come funghi, sotto l’egida delle autorità cittadine e nazionali, progetti le cui finalità privatistiche si occultano dietro l’ambigua quanto estetica dicitura “riqualificazione”.
Soprattutto studentati ma non solo, come nel caso in questione anche palazzine a scopo abitativo e addirittura interi quartieri che si vorrebbero animati – così ci dicono – “dall’energia creativa di moda, arte e design”. Dichiarazioni queste che a nostro avviso nascondono intenti e conseguenze assai meno auliche, riassumibili con una sola parola: gentrificazione.
In una Firenze il cui centro città risulta ormai in pianta stabile e definitiva sotto l’assedio del turismo di massa, così alieno, anzi ostile, a qualsiasi forma di aggregazione che non preveda esborsi monetari da aver de facto impedito il libero uso di intere zone (si pensi al caso di Santo Spirito), si lavora attivamente al fine di estendere tale modello anche nei quartieri popolari.
Se dunque il centro storico diviene ormai un recinto ricco di concorrenza e privo di segmenti attrattivi a nuovi investitori, è necessario spostare i propri orizzonti altrove. E questo vuol dire proseguire lungo la strada che inevitabilmente porta a spremere ancora di più il capoluogo toscano.
Il caso di Manifattura esprime la volontà, da parte di soggetti economicamente in crescita e privi di scrupoli, di individuare i margini della città come potenziali aree generatrici di profitto. Tali aree non saranno riqualificate socialmente. Al contrario, per chi le vive, diverranno ancora più marginali. O meglio, esclusive. Cioè progressivamente inospitali a suon di caro affitti e conseguente aumento del prezzo della vita.
Continua così l’inarrestabile espansione del modello ‘città vetrina’ col suo corollario di ingenti profitti per pochi e simmetrico aumento del costo della vita per tutti gli altri, specie per quelle classi popolari che ormai da qualche decennio la tutt’altro che invisibile mano del marcato lavora ad allontanare dalla città. Ciò che risulta più grave in questo come in altri casi similari è come la decisione di mettere a profitto uno spazio dismesso non sia stata presa da un’anonima società a capitali privati ma dallo Stato stesso, mediante la sua finanziaria Cassa depositi e prestiti. È dunque “la cosa pubblica” a privare la cittadinanza, i cui interessi pur dovrebbe rappresentare e tutelare, dell’ennesimo bene demaniale a suo tempo costruito con fondi pubblici e che oggi avrebbe potuto rappresentare una risorsa fondamentale da restituire alla collettività in forma, ad esempio, di case popolari e scuole pubbliche.
Restituire alla città e al quartiere un complesso costruito dalla dittatura fascista questo sì, sarebbe stato – per citare i tipi di Manifattura Tabacchi – un “progetto” di vera, non demagogica, “riqualificazione urbana”. Eppure Stato e amministrazione cittadina, a fronte nella sola Toscana di ben 150mila famiglie in stato di precarietà abitativa, decidono di continuare a guardare dall’altra parte: invece di costruire case e scuole per tutti, svendono, lasciando Ferragamo (Polimoda), Louis Vuitton (Istituto dei Mestieri d’Eccellenza Lvmh) e gruppi d’investimento immobiliare come Aermont Capital costruire “campus” e “loft esclusivi” per i soliti pochi. Si giustifica tutto ciò in nome della lotta a quel generico “degrado” del resto reso possibile e consolidato dalle medesime politiche classiste che chiedono “riqualificazioni” in forma di “residenze di design per un’esperienza unica” che si vorrebbero – ci spiegano – “una realtà inedita per il capoluogo fiorentino, un valore aggiunto per i suoi abitanti e per il territorio”.
Parliamo – perché sia chiara l’estensione del progetto messo in opera da CDP immobiliare e Gruppo Aermont – di 45 unità abitative iniziali su 250 totali (fonte: Ansa), dislocate all’interno di due edifici: ‘Anilla’ (progettata dalla “archistar” spagnola Patricia Urquiola e con questionabile gusto nominata “in onore” delle anilladora, le operaie che all’interno di quegli stessi locali si occupavano di mettere la fascetta ai sigari) e ‘Puro’ (disegnata dallo studio locale q-bic) per una metratura complessiva di 25.000 mq. Gli appartamenti in vendita sono di quattro tipi (bilocale, trilocale, quadrilocale al più grande, la penthouse panoramica da 250 mq) e si muovono in un range di prezzo che va dagli almeno 391.000 € richiesti per un “loft duplex” ai minimo 580.000 € per un appartamento con tre vani (635mila per la versione loft), fino agli 860.000 € del quadrilocale e ai più di 2 milioni per il cosiddetto plurilocale. Entrambi gli stabili – ci tengono a sottolineare i tipi di Manifattura Tabacchi Development Management – sono inoltre dotati di vari “plus d’eccezione” di pertinenza esclusiva dei residenti tra i quali spiccano la palestra, l’irrinunciabile concierge e persino un’officina per riparare le biciclette (così che non manchi una comoda strizzata d’occhio alla cd. mobilità sostenibile).
Prezzi e comodità conseguenti che palesano il target tutt’altro che popolare di un’operazione – al di là della retorica utilizzata per legittimarla – di chiara e neanche troppo nascosta natura classista.
Il progetto Manifattura Tabacchi 2.0 si prospetta dunque ennesimo avamposto nemico nel cuore popolare della città, tale poiché materialmente ostile al tessuto sociale che lo circonda e che – siamo facili profeti – finirà inevitabilmente per disgregare a suon di caro affitti e generale aumento del costo della vita, costringendo nell’ormai consueto silenzio generale le soggettività più deboli a trovarsi nuovi spazi da abitare in precaria attesa che anche quelli vengano poi, un domani, gentrificati.
Edoardo Calamassi Lorenzo Villani
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Nel 2011 si è costituito un comitato di cittadini residenti nel quartiere n 1, e non solo, che ha lavorato assiduamente per favorire tutte quelle destinazioni pubbliche che avrebbero offerto alla città, ed ai suoi abitanti, una serie di servizi essenziali, utili e, comunque ” arricchenti”. Ricordo la proposta dell’emeroteca della Biblioteca Centrale Nazionale, attualmente suddivisa tra più sedi, alcune delle quali impraticabili; la collocazione di alcuni corsi dell’Accademia delle Belle Arti ( affamata di spazi per la continua crescita di iscrizioni) la possibilità di allocarvi un museo che raccogliesse le coreografie del Maggio ( tenute per anni in alcuni container ospitati nei cortili di manifattura, e di cui nel frattempo si è persa traccia…)una succursale degli Uffizi, in grado di ospitare, a rotazione, le opere che giacciono nei depositi, ecc, ecc….Le uniche possibilità rimaste, in quel cospicuo ” ventaglio” e per le quali ci siamo strenuamente impegnati, in sede di osservazioni alle diverse Varianti che si sono succedute nel Progetto, sono costituite dal ” Museo delle Sigaraie”, uno spazio di almeno 100 mq, capace di ospitare le testimonianza di quel lavoro femminile che costituiva la parte più cospicua del lavoro in manifattura, ed uno spazio ad Uso Civico, sul modello della Sala Marmi al Parterre. Grazie per l’articolo, che fotografa lucidamente
la realtà in atto, ed un trend ormai consolidato.
Sono perfettamente d’accordo su quanto è stato esposto sulla manifattura.
La tendenza purtroppo di tutte le città è questa ,di cedere alla speculazione edilizia in nome della riqualificazione creando ai margini delle aree metropolitane quartieri sempre più popolari e poveri.