Città di sfarzo | 1. City grabbing

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Le intuizioni di Mike Davis* nella sua leggendaria indagine su Los Angeles – City of quartz, 1990 (trad. it. 1993; 2023) – forniscono, oggi, una guida per comprendere quanto accade nel cuore delle città europee. In particolare, in quei centri urbani trattati alla stregua di miniere da cui estrarre profitto, pura astrazione di mattoni e dollari (parafrasando il sociologo californiano), sterilizzati, alienati, denudati, omogeneizzati dalla centrifuga del turismo globale.

Los Angeles – costruita dal nulla, grumo di speculazione edilizia ai bordi di un deserto tramutatosi con estrema rapidità in città artificiale, energivora, violenta – in pochi anni arriva ad assumere i connotati di metropoli. Nella prima metà del novecento, i flussi economici sono generosamente alimentati dall’industria dello spettacolo di Hollywood. Affiancata poi, qualche decennio dopo, dalla produzione della Silicon Valley.

Grazie al suo carattere “precorritore”, L.A. – megalopoli senza limiti riconoscibili, «utopia e distopia del capitalismo avanzato» – offre modelli di governo urbano che possiamo oggi riconoscere attivi nel mutamento delle città da questa parte dell’oceano; mutazioni di natura e intensità non troppo dissimili a quelli che hanno conformato L.A. Dall’industria culturale all’onnipotente imprenditoria immobiliare; dai pericolosi intrecci tra proprietà fondiaria e mercato finanziario, allo scenario di sicurezza poliziesca, di impoverimento delle classi medie e di segregazione dei proletari.

Nelle città europee che l’industria del turismo globale ha eletto a “destinazioni”, la Storia è messa a profitto dal Capitale: arte, beni culturali, paesaggio e loro iconicità diventano merci di pregio nel supermercato planetario, vettori di arricchimento, pretesti di ostentazione, lusso. In queste città, i cosiddetti centri storici – cittadelle della storia, settori urbani eminenti dal punto di vista patrimoniale-monumentale – si tramutano in ghetti per turisti facoltosi, in centri commerciali per oligarchi, in salotti per emiri.

In assonanza con il titolo del libro di Davis, le abbiamo provocatoriamente definite città di sfarzo.

Nelle città del lusso e dello sfarzo, processi di colonizzazione apparentemente ineluttabili aggrediscono lo spazio, il simbolico, il vissuto collettivo. Nell’esperienza quotidiana, i (residui) abitanti vivono un perenne senso di spossessamento, di spaesamento, di separazione sociale, di pauperizzazione.

Proviamo ad elencare alcuni fenomeni rappresentativi delle dinamiche sopra descritte che saranno analizzati in questo e nei prossimi numeri della rivista.

a) City grabbing, ovvero accaparramento della città da parte di “privati”, megacostruttori e megaimprenditori non di rado in posizione di monopolio. Un processo che, gonfiato dalla retorica buonista della rigenerazione urbana si attua attraverso nuova “urbanizzazione” sull’urbanizzato, sugli spazi centrali, monumentali, risorse rare per la socialità che viene puntualmente negata da progetti esclusivi del consumo d’alta gamma. Questa violenta riconfigurazione dei centri urbani non si limita tuttavia alla sola rapina dello spazio fisico. L’appropriazione si amplia ai servizi al cittadino, ossia nel passaggio del welfare urbano in rendita, in profitto privato.

b) Mercificazione della cultura. Nell’economia dell’arricchimento (Boltanski, Esquerre, 2019) l’estrazione di profitto dall’«autenticità» dei luoghi, dei prodotti culturali e artistici pone l’arte, la moda, il design e la cultura in connessione con la valorizzazione della rendita, in quanto moltiplicatori dei valori immobiliari.

c) Polarizzazione sociale. Un «apartheid architettonico» (Davis 1993, p. 127) guida la formazione di ghetti per turisti e consumatori d’alta gamma: propriamente dei «Club Med del post-moderno» (p. 52) che attivano espulsioni, selezione, sostituzione di residenti con abitanti a breve termine, spesso facoltosi, apolidi esclusi dal momento elettorale.

d) Securitarismo in luogo di sicurezza sociale e ambientale. In città dalla scarsa vivibilità per i ceti medio-bassi, dall’ecosistema atrofizzato, degrado e decoro assurgono a mantra della comunicazione dei governanti. Uno “storytelling” che induce nella cittadinanza nuove presunte necessità di protezione a fronte di non verificate “minacce”.

e) Erosione dello spazio politico e indebolimento dell’amministrazione istituzionale. La geografia del potere è definita in base ad attori economici sempre più aggressivi: sono i «potenti interessi privati, [… che hanno conquistato] gli enti locali per un uso egoistico» (Davis 1993, p. 85) a plasmare gli immaginari della città futura.

In questo panorama coloniale, i poteri locali perdono sì in autonomia ed autorità, ma non in denaro, continuando a fare affari nelle operazioni di joint venture, ovvero in associazione temporanea con le corporations straniere. La transazione di potere genera tuttavia un ridottissimo coinvolgimento con la base elettorale che vede ridursi in maniera drastica la possibilità di (almeno) partecipare nella modifica dello stato delle cose e di indirizzare le scelte di governo (evitando infatti massicciamente le urne).

 

A) City grabbing

Quali sono gli attori dell’attuale colonizzazione e dell’estrattivismo urbano? Quali i loro alleati locali nell’«arricchimento tramite spoliazione» (Harvey)? Quali i metodi, le strategie, le tattiche che disegnano lo stravolgimento della città nella sua consistenza fisica, sociale, politica?

Nostro caso di studio, utile a dare consistenza reale al presente ragionamento, è la Firenze Unesco, la top destination dove nei prossimi anni si prevedono 500 milioni di investimento nel settore alberghiero di lusso (fonte: Sole 24 Ore); la città in cui un posto letto su sette è destinato al turismo; e dove, nel 2019, si è assistito a un’invasione di quindici milioni e mezzo di presenze ufficiali (fonte: Camera di Commercio) concentrate nei 505 ettari del centro Unesco.

Nel solco del mito americano, come la California del Sud fu la «dorata terra di opportunità e di nuovi inizi» (Davis 1993, p. 37), le città di sfarzo investono sull’attrattività, concedendosi al miglior offerente. Con la complicità dell’art. 58 L. 133/2008 , che istituiva i piani di alienazione (con premialità per gli enti locali che si cimentavano con le vendite immobiliari verso il privato), Firenze si autorappresenta come City of the opportunities (sic). Nell’agile e omonima pubblicazione prodotta nelle stanze di Palazzo Vecchio, atta a facilitare la presentazione di immobili in vendita – pubblici e privati – da promuovere nelle fiere dell’immobiliare, spiccano i famosi «buchi neri» (parola del sindaco) che fanno gola ai promotori immobiliari e di cui governanti mutilati nell’immaginario si vogliono disfare.

“Invest in Florence” diviene il refrain della rigenerazione urbana.
Nel capoluogo fiorentino, uno dei precoci attori del city grabbing del nuovo millennio è la corporation statunitense Colony Capital che – meraviglia di trasparenza – nel nome rende noti come e perché, metodi e finalità.
La società è presieduta da un noto consigliere di Donald Trump: Tom Barrack, già proprietario della Società Costa Smeralda, acquista l’ex sede della Cassa di Risparmio di Firenze. La quale si trasferisce in periferia su suolo suscettibile di essere integrato nel patrimonio di verde pubblico. L’immobile di via Bufalini, all’ombra della cupola brunelleschiana, conta 18.800 mq di superficie utile lorda da trasformare in 150 appartamenti di lusso. Prezzo: 8-10.000 euro al metro quadro (fonte: “La Repubblica”) pari al doppio del costo medio in città, che è peraltro seconda solo a Milano, capitale del real estate (fonte: “Sole 24 Ore“).

Questo scenario di resa civile ha sedotto gli sviluppatori stranieri, che hanno approfittato prontamente di almeno quattro fattori:

– la svendita di aree ed edifici – pubblici e privati – consente acquisizioni di settori urbani a prezzi assai convenienti, poi trasformati e rigenerati nell’esclusivo interesse privato;

– l’indeterminatezza delle previsioni urbanistiche, e la loro frammentarietà, accorda ai promotori la massima libertà nelle trasformazioni dei maggiori edifici, in specie se “tutelati” come beni culturali (ne abbiamo scritto su questa rivista);

– un’infrastrutturazione in conformità con le convenienze degli investitori immobiliari: parcheggi interrati, apertura di strade, linee tramviarie, nuovi scali portuali e aeroportuali sono previsti organicamente ai grandi progetti urbani promossi da privati;

– infine, le facilitazioni fiscali. Tra di esse spicca la monetizzazione degli standard, operazione quanto mai iniqua: anziché rifluire in opere di natura sociale (scuole, verde pubblico, altre attrezzature) da realizzarsi laddove necessario sul territorio comunale, gli oneri concessori si riversano nella “riqualificazione” degli intorni dell’immobile “rigenerato” che in tal modo si rivaluta. Un circolo vizioso che impoverisce la città nella sua dimensione pubblica e sociale.

A dispetto della melensa comunicazione istituzionale, la rigenerazione del cuore delle città finisce per garantire prioritariamente profitto al capitale, poiché demolizioni e ricostruzioni di ampi comparti urbani moltiplicano il valore dei fondi e degli immobili. Difficilmente il magnificato trickle down, il “gocciolamento” derivato da tali operazioni giunge alla popolazione residente, che è semmai implicata nel lavoro connesso al turismo, non raramente di scarsa qualità (se non al nero, come i sindacati lamentano). Né essa trae beneficio dalla creazione di nuovi spazi e architetture: costruita una cinta di sicurezza, i promotori vi inseriscono il “prodotto”, un ghetto, un bene di lusso alla portata di una sempre più ristretta minoranza di abitanti. Meglio se short term, non votanti, meglio se nomadi globali.

Continua…

 

*Il testo che qui pubblichiamo rielabora i contributi  dell’Autrice a due incontri. 1) Al convegno City of quartz. Un manifesto della metropoli del XIX secolo, tenutosi a Roma il 24 febbraio 2023, e organizzato dai corsi di dottorato di ricerca in: Ingegneria dell’architettura e dell’urbanistica, Università di Roma “La Sapienza” ; e Ingegneria civile e architettura, Università degli studi di Cagliari. 

2) Alla discussione pubblica Di chi è la città? Colonizzazione capitalistica, turismo ed espulsioni sociali, organizzata dal Laboratorio politico perUnaltracittà e tenutasi a Firenze il 3 marzo 2023.

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Ilaria Agostini

Ilaria Agostini, urbanista, insegna all'Università di Bologna. Fa parte del Gruppo urbanistica perUnaltracittà. Ha curato i libri collettivi Urbanistica resistente nella Firenze neoliberista: perUnaltracittà 2004-2014 e Firenze fabbrica del turismo.

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