Il Designer Communism di Mark Fisher

Qualche anno fa ho coniato l’espressione “designer communism” per riscattare un termine peggiorativo usato per condannare quelli di sinistra che erano interessati ai nuovi meccanismi semiotici e tecnologici che venivano lanciati negli anni ’80. Il termine “socialismo del design” è un po’ comecomunismo del lusso. Il motivo per cui il socialismo del design è stato attaccato è che si riteneva che non si potesse essere interessati a questo ambito e contemporaneamente essere socialista.

Quell’attacco, che ebbe luogo negli anni ’80 – un periodo in cui furono gettate le basi per quello che ho chiamato “realismo capitalista”- è stato un attacco dal quale la sinistra non si è ripresa mai veramente.1 In parte quello che ha consentito questa vittoria per la destra è stata una rivendicazione libidica della storia e dell’innovazione. La sinistra è stata rappresentata caricaturalmente come squallida, burocratica, arretrata, e quindi esclusa allo stesso tempo dall’accesso alla nuova modernità e a ciò che era eccitante. Essere di sinistra significava trovarsi in una posizione moralistica di resistenza o di critica. Quel che mi piace del concetto di comunismo del lusso è che cerca di rimediare a tutto questo. Ci introduce immediatamente in un altro mondo, un mondo diverso da quello in cui ora esistiamo. Perché è un ossimoro, e gli ossimori sono legati ai paradossi. Qualcuno una volta ha detto che i paradossi sono emissari di un mondo in cui le cose sono diverse, in cui anche la logica stessa funziona diversamente. Questo riguarda anche il potere del comunismo del lusso: potrebbe non avere senso in questo mondo o nell’attuale quadro ideologico, ma ci dà un’idea di come sarebbe un altro mondo.

Quello che mi piace, anche, è che ci dà un orientamento diverso. Ci dà un focus diverso dall’anticapitalismo. Parte del suo potere è che suggerisce che abbiamo sbagliato tutto, quando pensavamo che la lotta di sinistra riguardasse l’anticapitalismo. Piuttosto si potrebbe dire che il capitalismo è fondamentalmente anticomunista. Dall’interno, con il suo intricato tessuto di sottigliezze teologiche dell’economia, il capitalismo sembra un sistema economico. Tuttavia, dall’esterno può essere visto fondamentalmente come un sistema politico il cui obiettivo è contrastare l’emergere del comunismo. L’espressione provocatoria “comunismo del lusso” pone una prospettiva che ci fa immediatamente chiedere: perché non possiamo avere questo? Cos’è che impedisce la diffusione del lusso a tutti? “Tutto per tutti” recita lo slogan dell’organizzazione Plan C. Perché non può essere così?

SCARSITÀ E ABBONDANZA

Questo ci porta alla questione fondamentale, che è quella della scarsità. Come ha sottolineato in precedenza Bruce Sterling, la forma di lusso coinvolta nel comunismo del lusso non può essere una questione di “questo è un lusso perché io ce l’ho e tu non ce l’hai”.2 Invece, il lusso deve implicare un senso di abbondanza e prosperità. E penso che una parte importante di questo concetto di lusso sia la dimensione estetica. Per usare una frase di Herbert Marcuse, l’importanza dell’estetica per il progetto della sinistra non è qualcosa di marginale, ma qualcosa di fondamentale. Deve far parte del comunismo del lusso o di quello che in alternativa chiamo comunismo del design. E parte dell’affermazione che voglio fare oggi è che si tratta di rimediare alla povertà estetica che è una caratteristica specifica della vita nel tardo capitalismo.

Possiamo opporre il lusso alla scarsità, in un certo senso. Si potrebbe dire che il capitalismo è un sistema che produce scarsità artificiale per generare scarsità reale. E viceversa. Produce scarsità reale per generare scarsità artificiale. E l’autentica, e evidente, scarsità è quella che ora ci sta di fronte, ma dalla quale il capitale distoglie sempre lo sguardo, ovvero la catastrofe ambientale. L’esaurimento delle cosiddette risorse naturali. Ma la vera follia di questa situazione appare a pieno quando ci rendiamo conto che è aggravata da un sistema di immiserimento che genera scarsità artificiale, e con questo intendo la scarsità artificiale del tempo. Stiamo esaurendo in modo massiccio le risorse del pianeta perché possano esserci pantofole di coccodrillo che nessuno vuole comprare. Sto usando le pantofole di coccodrillo come esempio preso a caso dal mio amico Federico Campagna per comprendere l’intero capitalismo nell’idea di qualcosa come le pantofole di coccodrillo che nessuno compra. Pensiamo agli oggetti sempre nuovi di qualsiasi tipo che rimangono invenduti. Pensiamo alla quantità di risorse e di tempo che va in questi prodotti che restano invenduti. È una prospettiva malinconica, ma anche divertente.

Pensare al lusso allora significa capovolgere la questione della scarsità, almeno artificiale. Ci sono limiti a ciò che si può fare in termini di scarse risorse naturali. Tuttavia, il campo è praticamente illimitato in termini di come diversamente potrebbero essere distribuite o ridistribuite le risorse artificiali della cultura e del tempo. In parte l’orientamento per il discorso di oggi viene dal libro di Francis Spufford Red Plenty.3  È un libro meraviglioso, un libro davvero unico, una sorta di fiction retro-speculativa. Si basa sul periodo in cui l’economia dell’Unione Sovietica stava crescendo più velocemente di quella degli Stati Uniti. È un’estrapolazione fittizia di alcune situazioni reali all’interno dell’Unione Sovietica. Non si tratta di un’apologia dell’esperimento mal riuscito e frainteso dell’Unione Sovietica, perché gran parte di questo non si è mai realizzato. Si tratta piuttosto di un fantasma all’interno di una virtualità che è emersa in quel momento e che non ha mai raggiunto l’attualizzazione. E uno dei grandi momenti nel libro di Spufford è quando il suo personaggio – una versione di Nikita Khrushchev – si addentra in un’ampia disamina di ciò che sarebbe stato il comunismo realmente realizzato, che pensava sarebbe arrivato entro il 1980, e non come un meme di Twitter, ma come una situazione effettivamente realizzata. Lo ha concepito in termini di una società ben progettata e gestita, in contrapposizione a una società nel caos.

Penso che questo sia un completo capovolgimento del realismo capitalista. Il realismo capitalista, a quanto ho capito, contiene un enorme elemento di fatalismo. Accetta che i parametri fondamentali della realtà siano già fissati. Tutto ciò che possiamo fare è acconsentire, adeguarci a loro. Al contrario, la citazione da Red Plenty si accorda con molte recenti discussioni sul prometeismo. Intendo con ciò l’ambizione prometeica di rifare completamente tutto o almeno di non considerare nulla al di là delle proprie capacità, al di là della portata di una possibile riprogettazione. Qui, penso che possiamo vedere la riprogettazione come la politica. Niente è al di là dell’ambito della politica. Un altro modo di vedere questo è: niente è naturale. Niente è fisso e immutabile.

NIENTE/TUTTO È POSSIBILE

Cos’è, allora, “l’abbondanza rossa”? Facendo seguito all’importante intervento di questa mattina di Sarah Sharma, oggi dobbiamo mettere il concetto di cura al centro di ogni seria politica progressista.4 Ecco come potremmo definire l’abbondanza rossa o il comunismo del lusso: come la capacità di prendersi cura, condividere e godere di ciò che viene prodotto collettivamente. Dobbiamo adottare la prospettiva del: perché non è così? Che cosa fa il capitale per ostacolare il potenziale di quella capacità collettiva di prendersi cura, condividere e godere? Dobbiamo capire che il capitale è in lotta costante per bloccare quel potenziale, per contrastarlo. Questo è stato fatto davvero bene sotto il neoliberismo. Ma il neoliberismo è ora nella fase finale del suo collasso.

Vorrei lanciare uno slogan che introduca il resto di quello che sto dicendo: le lavatrici sono più importanti degli smartphone! Penso che siano un modello migliore per il tipo di tecnologia del futuro. Molti di noi, se perdessimo i nostri smartphone o i nostri smartphone fossero fuori uso per alcuni giorni, ne saremmo almeno parzialmente sollevati. Ero così sollevato quando il mio si è rotto, non ne ho voluto un altro, e al suo posto ho preso un vecchio Nokia. Ma se le nostre lavatrici si guastano, non c’è davvero alcun vantaggio. Non penseremo: “Oh, sono sollevato, dovrò lavare a mano tutti i miei vestiti!” Non c’è quel tipo di compensazione.

Parte del problema con gli smartphone è che ci siamo compulsivamente connessi. E per molti versi, non sono tanto macchine comunicative quanto macchine compulsive, motori di compulsione. Questo fa parte di un tipo generalizzato di simulazione per negazione o negazione per simulazione. È quello che è successo nell’attuale fase del tardo capitalismo con la nozione di “sociale”. Guarda la società britannica: è una specie di esperimento su quanto puoi de-socializzare prima che questa crolli completamente. Pur utilizzando costantemente termini come sociale, creativo, libertà.

E ora parliamo della gestione! La gestione è interessante, soprattutto se la confrontiamo con il design. Il management (cioè la gestione), come il design, è un termine di cui il capitale si è appropriato. Tuttavia, da questa prospettiva Kruscioviana, non possiamo dire di trovarci in una società “gestita”. Siamo invece in una società dominata dal managerialismo, che è diverso. Per molti aspetti mi piacerebbe avere un manager. Ho avuto molti cosiddetti manager, ma pochi di loro mi hanno gestito e mi gestiscono in un modo che io riconoscerei come management. Mi incalzano, ma non mi permettono di organizzare il mio tempo. Non c’è nessuno che pensa: quanto lavoro sta facendo Mark, è troppo per lui? Non c’è nessuno così. In parte perché loro stessi sono in uno stato di superlavoro. Non c’è nessuno in grado di esaminare con calma le cose, guardando come le risorse potrebbero essere allocate in modo diverso, ecc.

Quindi, come potremmo diventare i progettisti consapevoli della realtà invece di essere i giocattoli di una realtà caotica già esistente? Come contrasto interessante vorrei attirare la vostra attenzione sui commenti fatti da Adrian Shaughnessy, che è un designer al Royal College of Arts, sulla scia delle rivolte di Londra. Sul sito di Design Observer, ha affermato che il design e i designer hanno avuto un ruolo nelle cause che hanno originato quei disordini.

Questo mi sembra che illustri il modo in cui opera il design, cioè il modo dominante in cui la progettazione, subordinata al capitale, opera nella fase contemporanea. Si trattava di rivolte che fondamentalmente avevano a che fare con la mancata risposta alle promesse di capacità di consumo che erano state alimentate e intensificate da quelli che io chiamo ingegneri libidici: designer, proprietari di marchi, agenzie pubblicitarie, direttori artistici, grafici, fotografi, product designer, retail designer, architetti, stilisti, ricercatori e copywriter al lavoro nella moderna Gran Bretagna. Questo è il dominio dell’ingegneria libidica.

È impossibile concepire la vittoria neoliberista senza l’emergere dell’ingegneria libidica negli anni Ottanta. Penso che possiamo vedere l’ingegneria libidica come un processo di deflazione della coscienza. L’ingegneria libidica è emersa dopo che la pratica della presa di coscienza era stata sviluppata e teorizzata dal femminismo socialista negli anni Settanta. L’ingegneria libidica è lì per far dubitare della propria esperienza. In Gran Bretagna abbiamo queste baguette da 6 sterline. So che quelle baguette sono secche e orribili. Sicuramente non valgono 6 sterline, ma devo essere io a vederle così. Chi ha torto? Devo essere io che ho torto. Guarda questo delirante mondo delle merci di fronte a me. Ma la colpa deve essere mia. Non della merce reale, della povertà della merce in sé. E questo fa parte di un’efficace strategia di deflazione della coscienza che è iniziata negli anni Ottanta e da allora si è intensificata. Tutto questo ha a che fare con la questione della povertà estetica. Una povertà estetica dell’ambiente nella Gran Bretagna contemporanea che a sua volta ha a che fare con il nichilismo capitalista. Il noioso nichilismo capitalista. La Gran Bretagna è una noiosa distopia in cui sostanzialmente molte cose non funzionano. Tuttavia compensiamo continuamente le finzioni dei nostri padroni capitalisti. In un certo senso trascuriamo i fallimenti sistemici. Se ci sarà un inno nazionale per il Regno Unito, dovrebbe essere “Scusa per il disturbo!” .

CAPITALISMO E LIBERTÀ

Per comprendere meglio la prospettiva comunista del lusso o la prospettiva del comunismo del design, vale la pena riprendere Marcuse. Parte della forza del lavoro di Marcuse è che pone all’infinito la domanda: contro cosa combatte continuamente il capitalismo? Marcuse è particolarmente interessante alla luce degli attuali dibattiti sull’accelerazionismo perché già negli anni Cinquanta aveva visto i modi con i quali il capitalismo avrebbe dovuto bloccare la minaccia rappresentata dall’automazione.

Mi colpisce il fatto che, nonostante sia stato elaborato negli anni Cinquanta, il suo pensiero sia molto utile in particolare per il ruolo di quello che io chiamo “realismo capitalista comunicativo”. Qui sto mettendo insieme il concetto di “capitalismo comunicativo” di Jody Dean con il mio concetto di “realismo capitalista”.5 Noi siamo in larga misura all’interno del paradigma del realismo capitalista comunicativo. Ci dice cosa è nuovo, ci dice cosa è contemporaneo, ci dice quali saranno le priorità. Impone questo modello di maggiore penetrazione della comunicazione digitale in tutti gli ambiti della vita, della cultura e della coscienza. Con questo tipo di minaccia: se sei contrario, sei fondamentalmente contro il progresso tecnologico, sei un dinosauro, o peggio. Così si esclude l’enorme gamma di cose che la tecnologia potrebbe fare, che vanno oltre sia il digitale che il comunicativo. Quando la parola “tecnologia” viene usata oggi, è quasi invariabilmente usata in questo modo molto riduttivo. In primo luogo, abbiamo ridotto le cose alla tecnologia digitale, poi, all’interno di questo ambito, abbiamo ridotto le cose alla tecnologia comunicativa digitale. È stato un metodo molto efficace.

Il momento fondante del realismo capitalista comunicativo è stato lo spot per Apple di Ridley Scott per il Super Bowl. È il testo fondante del realismo capitalista comunicativo, che ha stabilito il tipo di architettura libidica dei successivi 30 anni. C’è mai stato un filmato più influente? È un’opera geniale di ingegneria dei sogni che stabilisce l’obsolescenza della sinistra mentre indica apparentemente l’obsolescenza parallela di un certo capitalismo. Nello spot, un capitalismo grigio in stile IBM si fonde con il blocco sovietico. La prima associazione che le persone probabilmente hanno fatto quando hanno visto il filmato è stata quella delle immagini antisovietiche. E Apple verrà a liberarci da questo mondo grigio e monotono. Il colorato individuo-mela viene a liberarci. Penso che gran parte questo discorso riguardi la libertà e la flessibilità offerte dalla tecnologia comunicativa. E tutto questo è stato impiantato nella coscienza collettiva dal 1984.

È essenziale quindi cercare di pensare a come le cose potrebbero essere diverse. Ecco un’altra sezione di Red Plenty che, ancora una volta, sostiene il comunismo dei designer:

Se il comunismo non poteva offrire una vita migliore del capitalismo, personalmente non riusciva a vederne il senso. Una vita migliore, semplicemente e praticamente: cibo migliore, vestiti migliori, case migliori, macchine migliori, aerei migliori, […] migliori partite di calcio da guardare e carte da giocare e spiagge su cui sedersi, d’estate, con i bambini che sguazzano nella risacca e una bella bottiglia di qualcosa di fresco da sorseggiare. Più denaro da spendere – o meglio, un mondo nel quale non era più necessario il denaro per avere le cose buone perché c’erano tante cose buone…
La chiamava ‘società organizzata consapevolmente’. Agendo insieme, gli esseri umani avrebbero costruito un apparato produttore di ricchezza che superava di gran lunga in efficienza l’apparato che si formava ad-hoc, come per impostazione predefinita, quando ognuno doveva lottare nel caos per sopravvivere.
Marx si aspettava che il socialismo vittorioso del futuro sarebbe stato in grado di prendere l’intero apparato completo del capitalismo – tutti i suoi bei macchinari – e portarlo avanti nella nuova società, ancora ronzante, ancora prodigamente produttivo, facendolo però adesso a beneficio di tutti e non per una piccola classe di proprietari.

Una delle cose da ricavare da questi ragionamenti è l’opposizione al mondo capitalista in quanto barbaro e arretrato anche perché caotico, non organizzato consapevolmente, soggetto al tipo di cieco automatismo del capitale.

C’è un’eco interessante che proviene da una delle cose che ha detto Alexandra Deschamps-Sonsino.6 Quando vado in giro per centri commerciali deprimenti come Westfield a Londra, penso spesso che il capitalismo sia diventato una versione distopica di visioni comuniste. Pensiamo a quelle grandi distese in cui le persone mangiano collettivamente, come i tristi grandi spazi in cui si mangia nei centri commerciali. Sembra, come indicava Alexandra, che questi spazi di co-living siano echi di quella visione tipo catena alberghiera “gratuita” che il pianificatore sovietico Sabsovich aveva immaginato per la società futura.

Ritengo che oggi siamo lontani da quella visione. Ora ne abbiamo solo versioni tristi e distopiche. Quindi, come possiamo muoverci in quella direzione?

CREATIVITÀ E STASI

Penso che una questione da toccare sia la questione della creatività. Certamente, in termini di cultura, come ho argomentato a lungo nel mio ultimo libro Ghosts of my Life, la cultura musicale del 21° secolo sarebbe probabilmente l’esempio più ovvio di stasi.7 Sotto il capitalismo, la musica ha raggiunto un punto morto. Si è solo ripetuta. Non c’è davvero nulla nella cultura musicale del 21° secolo che non avrebbe potuto essere prodotto nel 20°. C’è questo grande saggio di David Graeber “Of Flying Cars and the Declining Rate of Profit” che estende la mia analisi della cultura alla scienza e alla tecnologia, sostenendo che c’è lo stesso tipo di decadenza nella scienza e nella tecnologia.8 Perché? Bene, per dirla in modo piuttosto brutale, è così perché le persone sono costrette a competere l’una con l’altra. Poi sono soggette a regimi burocratici. Il modo per uscirne sarebbe semplicemente dare alle persone le risorse per perseguire le proprie traiettorie sperimentali. Lasciale fare. Ma questa è l’ultima cosa che accade nel capitalismo. L’analisi che Graeber fa in termini di creatività scientifica andrebbe bene anche per la creatività culturale e si applicherebbe anche al servizio pubblico radiotelevisivo.

Ho parlato prima della gestione, quindi cosa farebbe una (buona) gestione? Garantirebbe che le persone avessero le risorse per perseguire le idee che vengono loro in mente, alcune delle quali magari falliranno. Altre avranno successo. Ma questo non è ciò che la gestione sta facendo oggi. Invece, c’è microgestione, costrizione, e non si danno mai alle persone le risorse di cui hanno bisogno.

Penso che vivere nella società del design in parte significherebbe recuperare il concetto di provvidenza. Frederick Jameson nel suo libro Antinomies of Realism sostiene che dovremmo tornare al concetto di provvidenza senza considerarlo come un concetto essenzialmente religioso.9 Dovremmo capovolgere le cose e dire che la provvidenza, come concepita dalla religione, era un’anticipazione distorta di una versione collettiva e secolare del provvidenziale. Quindi, ci sarebbe una forma e un significato nella storia, ma non sarebbero prescritti per decreto divino. Sarebbero prodotti da un agente che produce se stesso, che è il soggetto collettivo della storia. Questa sarebbe una provvidenza materialista. Che sarebbe un momento di sicurezza e novità, in contrapposizione al tempo realista capitalista con la sua imprevedibilità senza alcuna sorpresa.

Penso che possiamo trattare gli ultimi 30 anni di neoliberismo per molti versi come un esperimento: cosa succede se riduci la sicurezza? Quali sono gli impatti? Qual è l’impatto sulla creatività? Penso che ci sia una metafisica alla base del neoliberismo, una metafisica di una sorta di libertarismo cosmico che afferma che qualsiasi tipo di strutturazione blocca questa libera energia creativa che emergerà solo una volta deregolamentata. Invece, gli ultimi trent’anni hanno mostrato in modo definitivo che se si toglie la sicurezza – in particolare sotto forma di piattaforme assistenziali ma anche più astrattamente a livello di una sorta di atmosfera esistenziale (che cos’è la precarietà, se non questa produzione di un’insicurezza ontologica?) – la creatività, la capacità di produrre cose nuove, va di fatto in declino. Questo è ciò che intendo per un periodo di imprevedibilità senza sorpresa. Dove la quotidianità diventa soggetta a radicale incertezza ma non produce novità. Produce una sorta di ripetizione infinita dello stesso.

Penso che questo tema  si riferisca a quello che Sebastian Olma ha esposto nel suo libro, In Defense of Serendipity.10 C’erano infatti le condizioni per la produzione del nuovo, per la produzione della novità. C’erano nella Silicon Valley sotto forma di un vasto programma di cibernetica finanziato, e di controcultura. Ma il predominio nella Silicon Valley del realismo capitalista comunicativo ha fatto sì che quelle stesse condizioni non possano esistere nella fase contemporanea.

APPARTENENZA

Questa produzione di provvidenza, di un tempo gestito, plasmato – un tempo che va da qualche parte – deve relazionarsi con il livello più immediato, affettivo, di appartenenza, che penso sia per molti versi il problema chiave da risolvere per la sinistra. Quelli di noi che sono arrivati alla coscienza politica dopo gli anni Ottanta hanno dovuto davvero affrontare un mondo senza provvidenza.

Forse è stata la prima generazione ad averlo fatto, non credendo più nella provvidenza religiosa e neanche nel senso della storia come era stato consegnato dal Partito Comunista. Accanto a questo è scomparso un senso di appartenenza, il tipo di appartenenza reso possibile da quel senso di essere parte del movimento della storia.

È importante, in questo momento, creare un cuneo tra diversi sensi di appartenenza come modo di concepire la differenza tra politica progressista e politica reazionaria. Un’appartenenza oltre l’identità, cosa sarebbe? Se l’identità è una sorta di fissazione patologica su una fantasia di ciò che eravamo in passato, l’appartenenza di sinistra deve essere concepita in termini di orientamento verso ciò che potremmo essere in futuro. Il recente lavoro di Jodie Dean fa molto per riconcettualizzare il modo in cui possiamo pensare all’appartenenza.11 Usa molti esempi interessanti di persone che erano state nel Partito Comunista. Non si tratta solo di essere nel Partito Comunista, però. Riguarda il senso di appartenenza che può produrre l’essere in una istituzione del genere con la sua visione del futuro e il suo tentativo di attuare un’idea provvidenziale della storia. E questo dà una risposta, credo, alla devastazione esistenziale delle attuali modalità di capitalismo. Il titolo del libro di Jodi, Crowds and Party, indica il nesso in cui le cose possono essere sviluppate: la folla che era l’energia attorno al movimento Occupy, ecc. finisce in un vicolo cieco senza la forma del partito. Ma, ugualmente, il partito decade e crolla senza l’entusiasmo e la mobilitazione di una folla che stia dietro di lui. Quello che abbiamo visto dal 2008 è che la sinistra è in un processo di apprendimento. Non si è fermata con Occupy. Occupy ha portato a Podemos e ad altri movimenti organizzati. Quali che siano i limiti e i fallimenti di quegli esperimenti, sono esperimenti. Stanno testando i limiti di ciò che è possibile ora e, in questo modo, li stanno espandendo. Questa mi sembra la strada da percorrere: operare su due livelli. Innanzitutto, cosa possono fare i partiti politici e le organizzazioni politiche nell’immediato? Possono impegnarsi in un processo di risocializzazione. Secondo, cosa possono fare a lungo termine? Possono implementare questo diverso senso del sogno, queste diverse strutture concettuali, questa diversa visione di una società come ancora una volta progettata, piuttosto che impigliata nelle ripetizioni caotiche del cieco automatismo capitalista. E mi fermo qui.

Questa è la traduzione  della trascrizione leggermente modificata di un discorso che Mark Fisher ha tenuto alla conferenza Luxury Communism che si è svolta dal 3 al 4 giugno 2016 a Weimar, in Germania, nell’ambito della serie Digital Bauhaus Summit.  Questo è il video da cui è stata fatta la trascrizione. Su BREAKING & MAKING la trascrizione nella lingua originale.

*Traduzione di Ornella De Zordo

Le immagini sono state generate da Midjourney su prompt di Gilberto Pierazzuoli