Firenze, ritorno alla rendita

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I want to make a plea to investors”. Nelle prime settimane della pandemia, dai microfoni della trumpiana FoxTV il sindaco Dario Nardella invocava, con accorata supplica (plea), l’aiuto di supposti protettori della città (gli investors).

Proviamo a contestualizzare. Quando, nel 2014, in vista di Palazzo Chigi, il sindaco Renzi lascia le leve del governo cittadino al suo vice Nardella, Firenze è indirizzata verso un’economia turistica di carattere monoculturale. Il ruolo della città nel turismo culturale – in forte crescita a scala planetaria – le apre infatti scenari di forte attrattività nei confronti di attori economici internazionali. Le holding non tardano a irrompere con prepotenza sulla scena. La città, world top destination, è oggi stretta d’assedio da parte di forze mercantili espressione di quel “capitalismo oligarchico” che, sostiene Emiliano Brancaccio, concentra il potere di conformare lo spazio fisico e politico nelle mani di poche società private, mettendo in pericolo democrazia e pianificazione.

In una città nella quale la storia è messa a reddito, il centro antico diviene una miniera d’oro, pura astrazione di mattoni e rendita avrebbe scritto Mike Davis. In clima di city grabbing, ogni sua parte assume valore di scambio: alienati gli edifici pubblici, dismessi o svuotati a bella posta, sfacciatamente sottomessi all’economia di mercato beni culturali e spazi monumentali. Nel 2013, Ponte Vecchio è chiuso senza preavviso per una “Ferrari Calvalcade”: concessione di suolo pubblico che, datata al giorno successivo all’evento, si rivela strumentale alle alleanze politiche a livello nazionale. Nel 2014, il Polo museale fiorentino stila un tariffario per la “concessione in uso dei beni culturali per eventi” a cui sarà fatto ampio ricorso. Nel 2021, il Ponte Vecchio subisce un ulteriore significativo svilimento allorquando, nell’ambito di un festival natalizio, funge da schermo per la proiezione del marchio di un promotore di riguardo: American Express.

Il processo di turistificazione, fondato sulla violenta estrazione di valore dal suolo urbano, è pervasivo e aggredisce su molti altri fronti.

La privatizzazione di spazio pubblico e servizi alla cittadinanza depaupera gli abitanti, costruendo, va da sé, disparità nell’esercizio di diritti fondamentali, tra cui quello alla casa. Il mercato immobiliare si orienta decisamente verso l’investimento per locazioni brevi, il prezzo al metro quadro residenziale sale alle stelle, e nelle quotazioni medie Firenze è seconda solo a Milano. Le grandi opere, in qualità di “volàno” della rigenerazione, sono presentate come indispensabili allo sviluppo economico: spicca il progetto di un nuovo aeroporto incuneato in un’area densamente urbanizzata, a poco meno di cinque chilometri dalla Cupola del Duomo. L’assenza di un’idea di città, aliena alla ratio economicistica, e l’indebolimento dell’urbanistica, hanno favorito operazioni speculative che eccedono immaginari e fabbisogni della popolazione. L’insistenza su securitarismo (le “mille telecamere” come obiettivo di mandato del sindaco Nardella) e decoro (ad es. il lavaggio con idranti dei sagrati per ostacolare il “bivacco” di turisti “maleducati”), risponde – più che ai reali tassi di criminalità – al bisogno di spazi omologati, cool e rassicuranti espresso dai promotori immobiliari.

L’allontanamento degli abitanti dalle aree centrali, deprivate di attrattive residenziali e destituite del ruolo di costruzione di senso di appartenenza, ha rilevanza politica. La turistificazione alligna infatti nel vuoto demografico e quindi politico, nella crescente distanza – anche fisica – tra decisori e base politica. La debolezza dell’amministrazione cittadina di fronte al grande capitale rientra nel gioco delle parti. La città è ridotta ad asset da gestire con strategie di marketing finalizzate al perseguimento del massimo profitto economico, mentre il dato sociale è cancellato.

City grabbing e privatizzazione dello spazio pubblico

Dopo il crollo pandemico, il settore turistico riprende a crescere. Nel 2019, le presenze ufficiali raggiungono il picco dei quindici milioni e mezzo di unità (fonte: Camera di Commercio di Firenze). Ad oggi, sul territorio comunale, un posto letto su sette è destinato a turisti: nel solo centro storico si contano 8.200 b&b (fonte: Inside Airbnb), mentre i letti in albergo sono 32.880 (fonte: Città metropolitana, 2021). Otto “studentati di lusso” – Camplus, The Social Hub, CampusX ecc. – attivi o di prossima apertura forniscono stanze per poco meno di 3.000 studenti, facoltosi abitanti short term richiamati dalle circa quaranta università americane o straniere che hanno sede in città. Intanto gli studenti universitari “normali” sono costretti a cercare casa nei comuni limitrofi o a rinunciare agli studi.

In quindici anni, i quartieri centrali si svuotano di attrezzature di servizio, di esercizi commerciali indispensabili all’abitare, di funzioni che contribuiscono a generare urbanità: centri civici, teatri, facoltà universitarie ecc. Non osteggiato dall’amministrazione, il vuoto è stato colmato da un tessuto commerciale destinato al turismo, da imprese museali private e altre attrazioni di infimo livello culturale, dal “mangificio” (il lodato Regolamento Unesco del 2017 si è di fatto limitato a bandire l’apertura di nuovi “kebabbari”).

La rendita è stata coltivata. Durante i due mandati di Leonardo Domenici (1999-2009) furono trasformate in residenze persino le botteghe su strada, seguendo l’esempio non certo progressivo dei bassi napoletani. Le norme urbanistiche assecondano i frazionamenti degli alloggi in miniappartamenti. Buona parte del patrimonio abitativo acquisisce carattere turistico: costi, tagli e metrature slim si rivolgono, più che alle famiglie, ad abitanti a breve termine, a quei nomadi globali, portatori presunti di progressismo e innovazione sociale, che piacciono ai sindaci dem.

“La rendita è colpa dei cittadini”, affermava sulla stampa Nardella nel gennaio scorso, dimentico del proprio protagonismo nella vendita – sottocosto – di edifici pubblici (e privati) convertiti successivamente in alberghi, resort e studentati di alta gamma. Nel 2014, con la complicità della L. 112/2008 che istituiva i Piani di Alienazione (e la premialità per gli enti locali che si cimentavano con le vendite immobiliari verso il privato), il Comune di Firenze si autorappresenta come città delle opportunità, calcando il mito californiano della terra dorata e dei nuovi inizi. Invest in Florence City of the opportunities, è questo il titolo di una brochure autoprodotta in Palazzo Vecchio per facilitare la presentazione di immobili in vendita alle fiere del real estate: vi spiccano i grandi contenitori urbani, che la stampa cittadina e i governanti definiscono con l’epiteto progettualmente pregnante di “buchi neri”.

Vendere il pubblico e far cassa, una scelta di governance che ha di fatto annullato la possibilità di destinare i grandi complessi edilizi a residenza pubblica, ad attrezzature di servizio e a luoghi per la socialità non pagante. L’invocato trickle down, “gocciolamento”, che deriverebbe dalle maggiori operazioni immobiliari stenta a raggiungere la popolazione residente, implicata semmai nel lavoro non raramente di scarsa qualità (grigio, se non al nero, come denunciano i sindacati) connesso al turismo. Né essa trae beneficio dalla creazione di nuovi spazi e architetture: costruita una cinta di sicurezza, i promotori vi inseriscono il “prodotto”, un ghetto, un bene di lusso alla portata di una sempre più ristretta minoranza di fruitori.

“Invest in Florence” diviene il refrain di una rigenerazione urbana intesa come compravendita. Numerosi “player globali” hanno risposto al richiamo. Uno dei precoci attori economici è la statunitense Colony Capital che nel nome rende noti i mezzi e i fini del proprio operato. La società, presieduta da Tom Barrack, ex consigliere di Trump ed ex proprietario della Società Costa Smeralda, nel 2014 acquista la sede di via Bufalini della Cassa di Risparmio, trasferitasi in periferia. I 18.800 mq dell’immobile storico si trasformano in 150 appartamenti di “super lusso” da 8-10.000 euro al mq con vista sulla Cupola.

È impossibile restituire in queste pagine la mappatura dei promotori immobiliari, dei colossi dell’alberghiero e delle piattaforme di intermediazione che si muovono alla conquista della miniera d’oro. Si va dalla nostrana Cassa Depositi e Prestiti SpA (CDP) alla texana Hines che, da sola, gestisce un asset immobiliare pari alla superficie di 5.200 Colossei; dai francesi della RATP, “terzo operatore al mondo” del trasporto pubblico oggi proprietario di Autolinee Toscane, agli emiri del fondo sovrano del Qatar; dalla Corporaciòn America dell’argentino Eurnekian, socio di maggioranza di Aeroporti toscani e da pochi mesi insignito delle chiavi della città, al suo conterraneo Lowenstein, su cui torneremo.

Indicativo della situazione è il destino di due edifici pubblici alienati, rappresentativi per ruolo sociale e qualità architettonica, e per la loro localizzazione entro le mura: il Teatro Comunale e le Poste di via Pietrapiana.

Le funzioni del Teatro Comunale sono state delocalizzate nel sovradimensionato e iper costoso Nuovo Teatro dell’Opera posto tra il parco delle Cascine e la ex stazione Leopolda, dove apre il fronte di edificazione delle OGR. Il teatro dismesso, 21.000 mq, è stato alienato sottocosto (valutato 44 milioni di euro, venduto a 27), svuotato e demolito (resta in piedi la sola facciata, tutelata) per divenire un “polo ricettivo” di lusso, il “Teatro Luxury Apartments”. Appartamenti per affitti brevi, stile “Fifth avenue”, con parcheggio interrato da 170 posti auto “riservati”.

Le ex Poste di via Pietrapiana sono acquisite dalla bolognese Camplus, per installarvi un nuovo studentato di alta gamma, il secondo del marchio in città, da circa duecento posti letto. L’architettura, concepita da Giovanni Michelucci per accogliere e favorire relazioni sociali di natura pubblica, rendeva l’edificio particolarmente adatto a fungere da “maison du peuple” – scrive il collettivo fiorentino “perunaltracittà” –, da   centro civico con sale per attività e assemblee ad uso della cittadinanza, tanto ricercate nell’avara Firenze. La rigenerazione dell’ex sede postale prevedeva una quota di superficie da destinare a social housing, ma la proprietà si avvale delle norme urbanistiche che aprono una via d’uscita: monetizzare per compensarne l’assenza.

Arretramento dell’urbanistica, vuoto pianificatorio

La monetizzazione del social housing rappresenta una iniqua misura di potenziamento della rendita. È lo stesso Comune, nel 2019, a far emergere come il vincolo, pari al 20% da destinarsi a social housing sulla superficie “rigenerata” (se superiore a 2.000 mq), sia stato vanificato dalla sua trasformazione in oneri monetari (a inizio giugno 2023 tale misura è tardivamente censurata dal sindaco, a mezzo stampa, ma l’annuncio non è stato seguito, fino ad oggi, da atti ufficiali).

Deviati dal loro corso sociale, i proventi rifluiscono in opere di riqualificazione, in genere nel contesto immediatamente prossimo all’immobile in trasformazione. Alberature, illuminazioni fashion, rinnovo di marciapiedi: il km zero a pro dell’impresa privata. Restano oscure le basi giuridiche sulle quali si fonda la scelta di intervenire sull’area in prossimità dell’opera, anziché in settori urbani che maggiormente necessiterebbero di riqualificazione.

Anche l’operazione speculativa sull’ex scuola militare di Costa San Giorgio, con vista da cartolina sulla città, ricorre alla monetizzazione. Contigui a Boboli e al Forte di Belvedere, i tre ettari di spazi conventuali, chiostri e giardini, dal 2017 di proprietà Lowenstein, sono avviati a un “restauro” che li tramuterà in hotel extra lusso da duecento camere. L’eventualità di installarvi un complesso di edilizia residenziale pubblica viene escluso dalla progettista Silvia Viviani che reputa l’hotel una “scelta obbligata”: povera la rete commerciale nel vicinato, impervio il sito (“La Repubblica”, 16/12/2021). Tanto impervio che il magnate argentino immagina una funicolare esclusiva tra il Forte e l’albergo, con servitù di passo nel giardino di Boboli. L’argentino ha un senso del “bello” squisitamente proprietario: transitando sulla statale della Futa, di ritorno dall’autodromo del Mugello, si innamora della medicea villa di Cafaggiòlo, che acquisisce per trasformarla in resort di lusso. È tuttavia necessario sbarazzarsi dell’incomodo del traffico automobilistico: nessun problema, la variante della Futa sarà a carico del privato, pronto a sborsare i 18 milioni di euro previsti dalla convenzione con l’Anas.

L’indeterminatezza delle previsioni urbanistiche, la loro scarsa cogenza e frammentazione in una sommatoria di progetti flessibili accorda massima libertà d’azione ai player dell’immobiliare. La definitiva sottrazione all’uso pubblico dei grandi complessi architettonici rappresenta un’occasione perduta nella riconfigurazione sociale, economica e culturale della città. Uno spreco che il caso dell’ex ospedale militare di Sangallo, situato intra muros in posizione strategica, illustra esemplarmente. Nel 2016, il fondo Investimenti SGR SpA (gruppo CDP) che lo possedeva e ne tentava la vendita, bandiva un anomalo concorso “per la definizione della normativa urbanistica […] ai fini dell’elaborazione di una variante al RU [Regolamento urbanistico]”. L’anomalia della predisposizione da parte della proprietà di una variante urbanistica atta alla cessione del bene pubblico, ha tuttavia una sua giustificazione: per i 16.200 mq dell’ospedale in disuso, il Comune aveva infatti elaborato la stringente destinazione d’uso di “mix funzionale da definire”. Nel mix di funzioni confermato dal vincitore primeggia, appunto, la turistico-ricettiva gradita agli acquirenti: l’italiana GoldBet-Logispin, attiva nelle scommesse online, e Hospitality Ventures di Singapore.

Il depotenziamento dell’urbanistica cittadina raggiunge il parossismo nell’ottobre 2018, quando è approvata la “Variante all’art. 13 RU” che introduce una fattispecie unica nel panorama nazionale: l’eliminazione dell’obbligatorietà del restauro sugli edifici notificati ai sensi del Codice dei beni culturali. La disfatta del sistema della tutela su base urbanistica rischia di avere serie ripercussioni sulle aree in trasformazione, sia su quelle citate, sia sulla rinascimentale Fortezza da Basso, sul complesso storico di Sant’Orsola (17.000 mq, concessione Artea), sulla ex Manifattura Tabacchi (110.000 mq, proprietà della joint venture CDP-Aermont Capital), sull’ex Tribunale-Convento dei Filippini (oggi in parte sede della Fondazione Zeffirelli) e su molte altre che non possiamo qui enumerare.

Anche l’infrastrutturazione è “programmata” anticipando le aspettative degli investitori. I piani regolatori di Renzi e Nardella prevedono parcheggi interrati nelle piazze centrali e presso i grandi contenitori in trasformazione. Nuovo aeroporto, nuove strade e linee tramviarie sono previsti organicamente ai grandi progetti privati. Nell’area delle ex OGR, ad esempio, tra Cascine e Nuovo Teatro dell’Opera, i 54.000 mq edificabili, ceduti dalle Ferrovie alla società che fa capo alla lussemburghese Ginko3 (Edmond de Rotschild), si innestano su una progettata arteria a quattro corsie tesa tra aeroporto e centro città. La strada affiancherà il terrapieno della linea ferroviaria Leopolda da sacrificare per realizzarvi quella tramviaria a raso, per 23 milioni di euro a km: la più cara d’Europa. Allo spreco di denaro pubblico si aggiunge il danno ambientale determinato dall’intubamento dell’antico fosso Macinante di cui la penetrante ricalca il percorso.

La partecipazione popolare negata 

A inizio 2023, il soggetto collettivo “Salviamo Firenze” promuove dal basso due referendum consultivi su temi di natura tecnico-urbanistica, in merito a turistificazione e “studentati di lusso”. Attestata l’ammissibilità dei due quesiti, spetta al sindaco indire la consultazione. Ma a poche ore dalla scadenza Nardella opta per la loro neutralizzazione annunciando alla stampa – in assenza di atti ufficiali – di recepire le proposte referendarie attraverso un’“auto-osservazione” al Piano Operativo. La posizione strumentale assunta dal sindaco ostacola l’avvio di un dibattito sul modello cittadino, sull’estrattivismo turistico, sul diritto alla casa negato, sulle ingiustizie urbane.

È l’ultimo capitolo del tradimento della compartecipazione popolare alla trasformazione di una città in cui persino il dissenso è censurato.

“Firenze – affermava Tomaso Montanari l’8 giugno 2020 nella trasmissione Report – è una città in svendita, è una città all’incanto, è una città che se la piglia chi offre di più, e gli amministratori di Firenze sono al servizio di questi capitali stranieri”. Poche ore dopo, allo storico dell’arte giungeva una querela da parte del sindaco e dei componenti della giunta, con una richiesta di 165.000 euro di risarcimento per danno d’immagine, mentre il comunicato emanato da Palazzo Vecchio qualificava Montanari e gli urbanisti-attivisti presenti in trasmissione come “professionisti da tempo dediti solo a screditare l’operato dell’amministrazione”. Querela ed espressioni di disprezzo atti a intimidire chi manifesta opinioni e idee che avversano la narrazione imposta dal potere dominante sulle politiche prodotte in città.

La partecipazione della cittadinanza è in realtà ridotta a rito sterile, a costruzione di consenso, a ratifica di decisioni politiche eterodirette; in sintesi, a fallimentare esercizio di palingenesi della democrazia rappresentativa in crisi.

Ossia, tutto il contrario del valore emancipatorio della partecipazione, attiva e consapevole, alle scelte sullo spazio urbano. Un valore che si dispiega quando essa sia esercitata come pratica di liberazione dalle prescrizioni del capitalismo, e come strumento di autodeterminazione nella costruzione dei modi di vita, nelle politiche trasformative sui territori, nelle forme di produzione e di riproduzione sociale.

L’articolo è uscito sulla rivista “gli asini“, luglio-agosto 2023, n. 109, n.s.: https://gliasinirivista.org/firenze-ritorno-alla-rendita/

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Ilaria Agostini

Ilaria Agostini, urbanista, insegna all'Università di Bologna. Fa parte del Gruppo urbanistica perUnaltracittà. Ha curato i libri collettivi Urbanistica resistente nella Firenze neoliberista: perUnaltracittà 2004-2014 e Firenze fabbrica del turismo.

1 commento su “Firenze, ritorno alla rendita”

  1. Adriana Dadà

    Ottimo lavoro, faccio circolare anche fuori Firenze; chi non vive a Firenze non crede che siamo ridotti così. Ne approfitto per rilanciare una domanda: è possibile immaginare di bloccare l’operazione Ex OGR, che, come giustamente dice Ilaria, è un vero scempio urbanistico, ecologico e finanziario?. Se l’operazione edilizia andrà a buon fine le ripercussioni sulla circolazione dell’aria e isole di calore sarebbero disastrose, posto che un pò di mitigazione ora arriva dall’Arno e l’opera fungerebbe da sbarramento. Inoltre ci sono zone di verde residue che andrebbero valorizzate, non distrutte. Senza contare la possibilità di creare un collegamento ecologico fra il rione San Jacopino- Puccini- Porta a Prato con le Cascine e la piana attraverso le sponde del Fosso Macinante, come ha ben illustrato Paolo Degli Antoni in queste pagine. il che darebbe un pò di ristori a un rione giàmolto sacrificato dal punto di vista del verde pubblico.
    Non si potrebbe pensare a un ricorso per motivi di salute pubblica? In zona abbiamo presentato osservazioni su questo tema al POC. Servirebbe rilanciare il tema a livello più generale.
    Adriana Dadà

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