Il glifosato e la pandemia di Parkinson

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La malattia di Parkinson (MdP), che era una malattia rara, ora sta diventando una vera e propria pandemia DOI: 10.3233/JPD-181474. Tra i disturbi neurologici, è quello che ha subito la crescita più rapida: il numero globale dei casi nel mondo è passato dai 2,5 milioni del 1990, agli 8,5 milioni del 2019, diventando così una delle principali cause di disabilità: gli agricoltori corrono un rischio maggiore di sviluppare la malattia di Parkinson. Si prevede che la prevalenza globale della malattia di Parkinson addirittura raddoppierà entro il 2040.

L’invecchiamento della popolazione – la malattia compare in genere fra i 58-60 anni – non è sicuramente l’unica causa in gioco, dato che una tendenza al rialzo è evidente anche nel tasso di prevalenza e incidenza standardizzato per età. Il Parkinson, malattia cronica neurodegenerativa, ha una eziologia multifattoriale, i fattori ambientali, fra cui i pesticidi ed il glifosato, rappresentano un pezzo del mosaico: “esiste un legame biologicamente plausibile tra l’esposizione al glifosato e la morte delle cellule nigrostriatali, e quindi un rischio di malattia di Parkinson.”

Questo è molto preoccupante se si pensa che da poco i governi e i policy maker dell’Unione Europea hanno prorogato sciaguratamente l’uso dell’erbicida più utilizzato al mondo, per altri 10 anni. Ricordiamo che il glifosato, su cui potete trovare diversi articoli in questa rivista, è un biocida sistemico non selettivo ad ampio spettro di attività, che può persistere, per giorni o mesi nell’ambiente (acqua e aria) anche tramite il suo principale metabolita (AMPA).

I primi sintomi della malattia di Parkinson, compaiono allorché sono morti più del 60% dei neuroni della cosiddetta ‘sostanza nera’ insieme ad accumuli  di α-sinucleina, una proteina responsabile della neuroinfiammazione. E’ inequivocabile che l’esposizione al glifosato produce importanti alterazioni nella struttura e nella funzione del sistema nervoso dell’uomo, dei roditori, dei pesci e degli invertebrati: l’asse intestino-cervello sembra ricoprire un ruolo decisivo. Un indicatore precoce di malattia, insieme alla iposmia, è la stitichezza il primo sintomo non motorio documentato addirittura fino a 20 anni prima della comparsa dei tipici sintomi motori.

Il microbiota e il glifosato

La salute dell’intestino è una precondizione per la salute del cervello. L’esposizione al glifosato può alterare il microbioma intestinale, come dimostrato in vari studi sugli animali, questa disbiosi va a determinare uno stato proinfiammatorio, che innesca una cascata di processi neurodegenerativi, che per il tramite del nervo vago si diffondono al cervello. Nel Parkinson, la disbiosi è caratterizzata da una diminuizione di batteri Roseburia e da una abbondanza di Megasphaera e Akkermansia, questa alterazione sarebbe la responsabile dell’aumento della permeabilità della barriera intestinale, della cosiddetta ‘Leaky Gut Syndrome’, sindrome dell’intestino gocciolante, da cui la neuroinfiammazione ed il danno motorio. Alla luce di queste evidenze lo studio del microbioma intestinale, dovrebbe diventare elemento di indagine preventiva.

L’inadeguatezza delle prove

Secondo un recente articolo del Lancet Planetary Health, è impossibile valutare correttamente la sicurezza del glifosato in relazione alla malattia di Parkinson perché le attuali azioni normative, definite dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA), presentano gravi lacune:

  1. Negli animali da esperimento, si giudica l’eventuale neurotossicità del glifosato, a partire dalla comparsa di segni neurologici clinicamente distinguibili, che come abbiamo visto compaiono solo dopo la perdita del 60-70% delle cellule nervose del sistema nigro-striatale. Così però non si tiene di conto, della lunga incubazione della malattia, e del fatto che se per esempio fossero morte ‘solo’ il 40% di queste cellule, l’animale dell’esperimento risulterebbe sano, senza esserlo. Quindi l’assenza di segni neurologici in questi esperimenti sugli animali non esclude danni importanti. Per ovviare a questo falso negativo, sarebbe necessario standardizzare conteggi mirati delle cellule post mortem nelle regioni cerebrali rilevanti, il che non fa parte  delle attuali normative.
  2.  In secondo luogo, le dosi di glifosato negli esperimenti sugli animali sono probabilmente troppo basse e non rappresentative dell’esposizione quotidiana, perché testano le concentrazioni di glifosato raggiunte solo dopo l’esposizione alimentare. Non tengono conto che il glifosato si lega alle particelle di polvere e viaggia col vento per chilometri. Sono state rinvenute elevate concentrazioni di glifosato e altri pesticidi nella polvere domestica nelle case degli agricoltori e dei residenti che vivono lontani dai terreni agricoli. Non per nulla sta emergendo che l’inquinamento atmosferico (PM2,5) è un altro dei fattori che aumentano il rischio di malattia di Parkinson.
  3. Della mancata valutazione dei cambiamenti nel microbioma intestinale abbiamo già detto.
  4. Vengono valutati solo i pesticidi isolati. Tuttavia, la realtà è che gli individui sono esposti a cocktail che contengono fino a cento e più pesticidi. Lavori recenti hanno dimostrato che le esposizioni contemporanee a diversi pesticidi determinano una maggiore neurotossicità per i neuroni dopaminergici rispetto a qualsiasi singolo pesticida.

In conclusione: le attuali normative sulla sicurezza del glifosato riguardo al rischio di sviluppare la malattia di Parkinson sono del tutto inadeguate, e simili preoccupazioni si possono applicare anche ad altre malattie neurodegenerative come l’Alzheimer, le malattie del motoneurone, le disabilità intellettive nei bambini. Oltre a ciò va considerato che molte ricerche finora sono state condotte dall’industria stessa, mentre studi indipendenti dovrebbero far parte della valutazione del rischio!

Così si conclude l’articolo del  Lancet: “Solo i pesticidi  che dimostrano la sicurezza secondo questi nuovi criteri possono continuare ad essere utilizzati. Parallelamente, devono essere perseguite con determinazione alternative all’uso dei pesticidi. Tali misure contribuiranno probabilmente a proteggere la nostra popolazione dal morbo di Parkinson e da altri rischi per la salute.”

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Gian Luca Garetti

Gian Luca Garetti, è nato a Firenze, medico di medicina generale e psicoterapeuta, vive a Strada in Chianti. Si è occupato di salute mentale a livello istituzionale, ora promuove corsi di educazione interiore ispirati alla meditazione. Si occupa attivamente di ambiente, è membro di Medicina Democratica e di ISDE (International Society of Doctors for the Environment).

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