Libertà di stampa e di opinione, con la guerra a Gaza l’ora più buia

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Il sostegno cieco e incondizionato dei governi occidentali a Israele sta mettendo a rischio alcuni principi base della democrazia: libertà di stampa, di opinione e di espressione rischiano di diventare danni collaterali del genocidio in corso.

La Camera degli Stati Uniti ha approvato un disegno di legge sulla consapevolezza dell’antisemitismo proposto dal Repubblicano Michael Lawler con un voto di 320 a 91, e una maggioranza di democratici – 133 – che hanno votato con i repubblicani.

Se la proposta di legge dovesse essere approvata anche al Senato, andrebbe a codificare una definizione di antisemitismo che include anche alcune critiche a Israele, tra queste parlare di doppio standard oppure fare paragoni tra la politica israeliana contemporanea e quella nazista. Non solo, anche i cartelli degli studenti dei campus universitari che inneggiano all’intifada sarebbero considerati antisemiti. È chiaro che questa proposta di legge mira a spazzar via le proteste studentesche nei campus universitari ma mette a rischio la libertà di espressione garantita negli Stati Uniti dal Primo emendamento.

Reporter senza frontiere, ONG francese e fortemente filo-occidentale, che ogni anno produce l’indice della libertà di stampa ha fatto precipitare gli Stati Uniti di dieci posizioni, denunciando arresti e aggressioni ai giornalisti che coprivano le proteste nei campus. Lo stesso è successo agli studenti giornalisti di alcune università.

Foto da The New Humanitarian

In Germania il Congresso sulla Palestina organizzato tra gli altri dal gruppo di attivisti ebrei Jüdische Stimme è stato chiuso durante il primo giorno di lavori mentre ad alcuni degli ospiti previsti tra cui Yanis Varoufakis e il chirurgo britannico-palestinese Ghassan Abu Sitta è stato negato l’ingresso in Germania. Lo stesso è accaduto alla filosofa ebrea americana Nancy Fraser, il cui ciclo di conferenze all’Università di Colonia è stato cancellato per il suo sostegno alla Palestina.

Tutto questo mentre Israele ha chiuso domenica scorsa Al Jazeera, una decisione che prevede la chiusura delle trasmissioni e degli uffici del network qatariota in Israele e la confisca delle apparecchiature di trasmissione. Per il governo israeliano nessuno deve testimoniare le violenze, le uccisioni indiscriminate e il disastro umanitario in corso e che si inasprirà con l’invasione di Rafah, nel Sud della Striscia di Gaza. A dare testimonianza dei massacri saranno ancora solo i gazawi, e continueranno a farlo finché avranno accesso ai social media e non verranno massacrati, arrestati o cacciati per sempre dalla loro terra.

In un momento come questo in cui la fiducia dell’opinione pubblica verso i media è ai minimi storici, la libertà di stampa fa così paura ai potenti da essere costantemente minacciata. Un cortocircuito senza precedenti.

Se le tende nei campus riportano alla memoria le proteste contro la guerra in Vietnam, la libertà di stampa e di opinione non sono mai sembrate così in pericolo.

Più di cinquant’anni fa il coraggio di Daniel Ellsberg, il whistleblower che consegnò al New York Times e al Washington Post i Pentagon Papers, portò a una sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti che affermava ‘Soltanto una stampa libera e senza limitazioni può svelare efficacemente l’inganno nel governo. E di primaria importanza tra le responsabilità di una stampa libera è il dovere di impedire a qualsiasi parte del governo di ingannare le persone e di inviarle all’estero in terre lontane, a morire di febbri straniere e sotto le bombe ed il tiro nemico.’.

Oggi la distruzione del popolo palestinese mascherato da diritto alla difesa dello stato di Israele ci pone di nuovo di fronte a un inganno dei governi occidentali a danno delle loro popolazioni.

Difendere la Palestina oggi vuol dire difendere anche le nostre libertà.

 

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