La ‘buffa zona’. Una centrale elettrica nell’area di rispetto delle ville medicee

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Firenze, città d’arte ormai profondamente segnata dal turismo di massa, dalla gentrificazione e dal consumo di suolo, negli anni ha trasformato la sua area nord in zona nodale per la funzionalità urbana. In questa parte di città si trovano l’ospedale di Careggi e il Meyer, alcuni poli universitari e un vasto complesso industriale intrecciato con i vicini distretti campigiani e pratesi. Qui si trova anche il quartiere di Castello, con la sua “buffer zone” che circonda le ville medicee, patrimonio UNESCO.

In pochi chilometri convivono paesaggi estremamente diversi: da una parte, le aree dai forti connotati industriali della piana di Sesto Fiorentino, con tre grandi fabbriche di oltre 100.000 m², un elettrodotto e numerose antenne per le telecomunicazioni dal forte impatto visivo [e sanitario, NdR]; dall’altra, le pendici di Monte Morello, boschi e vallate suggestivamente intrecciati con il tessuto urbano e con preziose ville medicee, che costituiscono un importante patrimonio culturale e naturale. Questo territorio rappresenta una zona complessa e ibrida, dove la coesistenza di elementi industriali e storici è fragile quanto significativa.

Un delicato equilibrio come questo andrebbe valorizzato, promuovendo una gestione sostenibile e partecipata del territorio. Al contrario, negli ultimi anni le amministrazioni hanno favorito l’intervento massiccio e devastante di cementificatori e speculatori, il cui unico interesse è e resta quello del proprio profitto. L’ultima grande trovata, in questa zona dove chi vi abita vede spuntare un ecomostro al minuto, è la costruzione di una centrale elettrica di trasformazione Enel sulla via del Chiuso de’ Pazzi, di colpo calata dall’alto e presentata come un’opera strategica nel contesto del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).

Ironia della sorte, la centrale sorgerà su una vasta area verde (quasi un ettaro) tra le pochissime rimaste, che chi vive nel quartiere da anni chiedeva diventasse un parco.

Negli ultimi anni sono stati già installati altri due sistemi di antenne, senza alcun rispetto per i principi paesaggistici e, tanto per cambiare, senza informare minimamente la cittadinanza. Questo modo di operare, privo di trasparenza e rispetto per la partecipazione pubblica, è diventato la norma nel Comune e negli uffici tecnici di Firenze. 

Quanto alla trasparenza, è impossibile che gli amministratori coinvolti non fossero a conoscenza del progetto in tempo utile, visto che le opere del PNRR richiedono necessariamente una pianificazione condivisa tra Stato e governi locali. Il processo decisionale è stato caratterizzato da una completa mancanza di comunicazione e si è deliberatamente deciso di non consultare la popolazione.

A questo punto, ci chiediamo quali sono i criteri con cui si definisce la “strategicità” di un progetto come questo. Quali sono le metriche adottate per giustificare una scelta tanto invasiva e impattante? E, soprattutto, perché non viene data voce a chi in questo territorio vive e ha il diritto di decidere del proprio futuro?

Si deve evidenziare che cittadini e cittadine hanno già espresso critiche e proteste, organizzando assemblee e presidi nella zona Castello/Sodo. Questo dimostra che, oltre la retorica dell’ascolto, esiste una comunità realmente attiva e consapevole, impegnata nella difesa di un territorio che conosce e ama. Da anni chi vive in questo quartiere lamenta la mancanza di una piazza o di uno spazio pubblico accessibile, chiede parchi e percorsi pedonali sicuri verso le scuole. Perché non dare ascolto a queste voci trattandole come se non avessero le competenze per parlare o per capire? Il termine “partecipazione” che veniva usato con tanta generosità nelle campagne elettorali, ormai è platealmente lettera morta: l’opinione degli abitanti riguardo al territorio in cui vivono viene semplicemente e costantemente ignorata.

Oltre alle modalità con le quali sono state prese queste decisioni, ci chiediamo a questo punto quale sarà l’effettivo impatto di questa infrastruttura sul nostro territorio e cosa si cela dietro l’uso strumentale della distinzione tra “paesaggio” e “ambiente”.

La buffer zone (in rosso) delle ville medicee di Castello e La Petraia; la stella gialla indica la posizione della nuova antenna Enel.

Il terreno destinato alla centrale Enel è infatti classificato dal Regolamento Urbanistico Comunale come “sub sistema collina coltivata” e “emergenza di valore storico, architettonico e culturale”, una designazione che dovrebbe, in teoria, proteggerlo da interventi invasivi.

La distinzione tra “paesaggio” e “ambiente” è regolarmente usata in modo subdolo per manipolare le percezioni e giustificare interventi urbanistici discutibili. Mentre l'”ambiente” è generalmente inteso come un sistema complesso che include gli elementi naturali e antropici e che richiede una tutela integrata e non derogabile, il “paesaggio” è il più delle volte considerato come semplice cornice estetica, elemento qualitativo che può essere plasmato e modificato secondo le esigenze del momento.

Il paesaggio, infatti, è definito come una porzione di territorio osservata da una prospettiva specifica, un insieme di elementi visibili e percepibili che possono includere sia componenti naturali che costruzioni umane. È associato a esigenze artistiche ed estetiche, come in un quadro o una fotografia, e quindi è visto come un’entità che può essere interpretata e rappresentata in modi diversi. Questa concezione prospettica del paesaggio lo rende facilmente manipolabile, permettendo alle istituzioni di concentrare la loro attenzione su elementi particolari – come le ville medicee o le colline di Monte Morello – trascurando il resto del territorio che può essere degradato o trasformato senza troppa resistenza.

D’altro canto, l’ “ambiente” non dipende dalla percezione soggettiva di un osservatore; rappresenta la totalità dei sistemi naturali e costruiti che compongono un territorio. È qualcosa di più sostanziale e meno flessibile dal punto di vista normativo. Tuttavia, nella pratica, vediamo che questa distinzione viene sfruttata per promuovere una falsa narrativa “green”. I rendering ufficiali mostrano progetti ideali, perfettamente integrati nel paesaggio, senza mai rappresentare i disastri ambientali esistenti, come elettrodotti o antenne già installati. In questo modo, il paesaggio viene trattato come una merce da vendere, un “gioiellino” da esibire quando conviene, mentre l’ambiente, in teoria non derogabile, viene sistematicamente ignorato o aggirato nelle pratiche reali.

Ciò di cui abbiamo bisogno è un approccio più integrato e onesto alla gestione del territorio, in cui il paesaggio non sia visto solo come sfondo estetico, ma come un sistema dinamico e multipolare, dove attività umane e naturali possano coesistere in modo sostenibile. Invece di sfruttarlo come strumento retorico per promuovere operazioni speculative, dovrebbe essere trattato come elemento fondamentale del nostro ambiente che necessita di una protezione reale e concreta. Le istituzioni devono smettere di usare il “paesaggio” come un paravento per nascondere la loro mancanza di impegno per la vera tutela ambientale e iniziare a considerare l’intero territorio come un patrimonio da proteggere e valorizzare per il benessere di tutte e tutti.

Questi principi di sostenibilità e rispetto per il territorio sono gli stessi che hanno ispirato, e continuano a guidare, le iniziative dal basso degli e delle abitanti. Le esperienze passate, come la vittoria sulla vicenda del parco Don Bosco a Bologna, dimostrano che una critica costante, coerente e precisa può far prevalere il giusto sulle mere formalità legali.

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