Fast Fashion? no grazie. Ne scrive Franz Simonini

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Fast Fashion: cos’è?

Il fast fashion è l’incarnazione più evidente del neoliberismo, basata sulla rapidità di produzione e consumo. Marchi come Zara, H&M e Shein hanno manipolato il mercato offrendo un’infinità di capi a prezzi accessibili, cambiando collezioni ogni settimana per creare un bisogno costante di novità. Questo modello spinge i consumatori a vedere i vestiti come beni usa e getta, abituandoli a un ciclo continuo di acquisti. Tuttavia, il basso costo dei capi non riflette il reale prezzo pagato, che ricade su ambiente, lavoratori e comunità vulnerabili.

Qual è l’impatto ambientale?

Il fast fashion ha un costo ambientale devastante. La produzione di abiti richiede un’enorme quantità di risorse naturali, come acqua ed energia. Per esempio, la produzione di un solo paio di jeans può consumare migliaia di litri d’acqua. Inoltre, i tessuti sintetici come il poliestere, largamente utilizzati per i capi economici, rilasciano microplastiche che inquinano mari e oceani, con conseguenze disastrose per l’ecosistema marino. Il settore della moda, inoltre, è responsabile di circa il 10% delle emissioni globali di gas serra, aggravando la crisi climatica e ponendo il settore tra i più dannosi per l’ambiente.

Sfruttamento dei lavoratori

Dietro i prezzi bassi si nasconde il sistematico sfruttamento di milioni di lavoratori nei Paesi in via di sviluppo. La produzione è spesso localizzata in aree dove le leggi sul lavoro sono inesistenti o poco applicate. In questi luoghi, le aziende possono pagare salari bassissimi e imporre condizioni di lavoro precarie. Le fabbriche, spesso chiamate “sweatshop”: caratterizzate da orari massacranti, ambienti insalubri e mancanza di sicurezza. Episodi tragici come il crollo del Rana Plaza in Bangladesh, che nel 2013 ha causato la morte di oltre 1.100 lavoratori, sono la prova più evidente dell’urgenza di interventi globali per garantire diritti fondamentali ai lavoratori.

Un sistema che incentiva lo spreco!

Il fast fashion alimenta un modello di consumo insostenibile, basato sull’idea che i vestiti siano beni temporanei. Le aziende offrono continuamente nuovi capi a prezzi ridicoli, spingendo i consumatori ad acquistare più del necessario. Questo comportamento ha portato ad un aumento esponenziale dei rifiuti tessili. Ogni anno, milioni di tonnellate di abiti vengono gettati via, molti dei quali mai indossati. Molti di questi vestiti finiscono in discarica, rilasciando sostanze tossiche nell’ambiente, o vengono esportati nei Paesi in via di sviluppo, dove creano nuovi problemi di gestione dei rifiuti.

Quali sono i problemi globali?

Il problema della fast fashion è globale, ma gli effetti si sentono in modo più acuto nelle aree più vulnerabili. Nei Paesi esportatori, le comunità locali devono fare i conti con montagne di vestiti scartati provenienti dai Paesi ricchi. Questi rifiuti spesso intasano le infrastrutture locali, inquinano il suolo e i corsi d’acqua e ostacolano le economie locali, soffocate dalla concorrenza dei capi di seconda mano importati a basso costo.

La responsabilità del consumatore e delle istituzioni

Il cambiamento deve partire anche da noi, che possiamo adottare un approccio più consapevole nei confronti della moda. Scegliere capi di qualità, duraturi, acquistare meno e preferire l’usato sono azioni concrete che possono fare la differenza. Tuttavia, non si può lasciare tutto sulle spalle dei singoli: le istituzioni hanno il dovere di intervenire! Leggi più severe devono obbligare le aziende a rispettare standard etici e ambientali. Servono incentivi per chi investe in tecnologie sostenibili, come il riciclo delle fibre tessili, e campagne di sensibilizzazione per educare il pubblico sugli effetti negativi della fast fashion.

Un futuro sostenibile è possibile?

Immaginare un futuro diverso per la moda significa puntare sulla “slow fashion”, un modello che valorizza la qualità, la durata e la sostenibilità dei prodotti. Le aziende possono investire in materiali riciclabili, processi di produzione a basso impatto e modelli di economia circolare che minimizzano gli sprechi. I consumatori, da parte loro, possono contribuire scegliendo di acquistare meno e meglio, dando priorità alla riparazione e al riutilizzo degli abiti. Solo con un impegno collettivo sarà possibile trasformare l’industria della moda in un settore più equo e rispettoso del pianeta.

Franz Simonini Analista Geopolitico, su Associazione Schierarsi 

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