Per offrire una declinazione contemporanea del tatuaggio, viaggiamo attraverso questo mondo affascinante e variegato con l’aiuto di Laben, streetartist. È un punto di vista, il suo, che suscita un interesse speciale proprio per la sua creatività di artista di strada. Scopo dell’intervista è focalizzare l’attenzione sulla lettura contemporanea del tatuaggio come forma espressiva e allo stesso tempo valutare la sua rilevanza estetica. I motivi per cui sempre più persone scelgono di tatuarsi possono essere di varia natura, come la scelta di replicare sulla loro pelle parti importanti, o reputate tali, della loro vita, non necessariamente una data o un nome ma anche disegni che riflettono un qualcosa di molto personale, oppure situazioni del luogo dove vivono o vorrebbero vivere, di oggetti cari. Poi altri si tatuano sulla scia della moda, per imitazione di figure, famose o non, che suscitano la loro ammirazione. A questo gruppo appartengono coloro che rispondono alla consuetudine, senza dubbio molto presente, dei numerosi tatuaggi esibiti da musicisti, artisti, attori, calciatori, dal jet-set in generale. In questo senso, anche i programmi televisivi, compresi quelli trash, hanno contribuito non poco a “sdoganare” il tatuaggio.
Corpi con tatuaggi anche molto estesi sono diventati tanto comuni da non suscitare nessun tipo di giudizi, nemmeno tra gli ex detrattori. Poi c’è chi si tatua, come Laben racconta, semplicemente perché ama questa tipologia di arte: “Io mi tatuo perché la trovo una forma d’arte, una forma d’arte molto definitiva ovviamente, perché è una strada senza ritorno, nel momento che decidi sai benissimo che non puoi tornare indietro”. Alla domanda se dunque possiamo ridurre la scelta di tatuarsi a un’esigenza puramente estetica, lo streetartist risponde che più che una motivazione, il tatuaggio è uno spazio, fisico e non solo, su cui esprimere arte. In questa ottica un posto speciale è occupato dalla figura del tatuatore, da scegliere con cura, un’artista a cui affidarsi. La scelta del tatuatore è ovviamente dipendente dallo stile che si vuole ottenere, come ad esempio uno stile maori o un traditional. Purtroppo la tendenza di massa è quella di scegliere un tatuatore magari comodo, vicino casa, o un principiante, o un tatuatore che impiega poco tempo per realizzarlo, o ancora perché economico. Questi errori conducono spesso a risultati disastrosi: tatuaggi che all’apparenza sono ben eseguiti, col passare del tempo diventano macchie slabbrate, o ancora peggio scelte eseguite troppo frettolosamente e di cui pentirsi. Insomma, per i cultori, il tatuaggio è un atto consapevole, meditato e frutto di una precisa scelta, estetica e carica di spiritualità.
Laben racconta la fusione della motivazione estetica con la proiezione all’esterno della propria immagine, riflesso della propria personalità. Alla base della scelta dei suoi primi tatuaggi, ormai oltre venti anni fa, c’era il desiderio di mostrarsi controcorrente, di manifestare la propria ribellione e voler affermare la propria diversità rispetto agli altri, scegliendo di costruire sul corpo qualcosa che lo rappresentasse davvero. Laben immaginava sé stesso con entrambe le braccia tatuate. Così iniziò col tatuarsi un braccio, adesso sta ultimando il secondo. Ha scelto i soggetti dei disegni con cui conviverà: fiori, pesci, vento, e, insieme a chi sta eseguendo il lavoro, ha progettato forme e assemblaggio. Ne risulta un disegno che potrebbe essere assimilato allo stile del new japanese tatoo, una rivisitazione in chiave contemporanea del classico traditional giapponese. “Sono andato dal mio tatuatore sapendo che volevo i fiori, volevo i crisantemi. Mi piace tantissimo la cultura giapponese, e mi piacciono tantissimo i disegni giapponesi perché tradizionalmente erano, e sono ancora, molto colorati, e a me piacciono i colori”. Poi ci saranno i vortici di vento e i pesci come la carpa orientale. Una parte del nuovo tatuaggio coprirà un vecchio mandala che Laben aveva sul gomito, frutto di una scelta precedente e ora fuori contesto.
“Tutti quelli che si tatuano o che hanno tatuaggi ti possono dire la stessa cosa: i loro tatuaggi non se li vedono più. Io non li vedo, sono diventati me”. Mi spiega che il tatuaggio, come d’altra parte anche il piercing, non sono percepiti come qualcosa di “aggiunto” ma semplicemente come qualcosa che completa la propria autorappresentazione, un modo immediato per mostrare al mondo come ci si sente. Se si fa consapevolmente, sostiene Laben, non è possibile pentirsi, a parte se si ha la necessità di un cover-up per migliorare la scelta precedente.
Chiedo anche se chi si tatua in zone tanto estese si preoccupi della natura dei pigmenti colorati in relazione a una potenziale tossicità. Laben risponde che si, ci sono stati momenti di dubbio, c’è stato un periodo in cui si era sparsa la notizia che il fucsia conteneva sostanze forse dannose e contattò subito il tatuatore che gli garantì la serietà dei suoi fornitori, ma sostanzialmente si sceglie di prendersi un rischio, come avviene per tante altre cose che mangiamo o introduciamo nel nostro corpo.
Laben ribadisce il suo bisogno di tatuarsi perché è così che lui si piace ed è così che vuole presentare sé stesso all’esterno. Dopo le braccia vorrebbe tatuarsi per intero la schiena con un pattern altrettanto armonico, sempre sulla scia del japanese. Per il momento, mi spiega, è felicissimo del suo nuovo tatuaggio e del suo tatuatore, che gli ha applicato il marrone, un colore molto bello ma spesso poco apprezzato, il giallo che ha appena fatto è molto forte ma col tempo si spegnerà un poco, il rosso che è quello che dura di più, insieme all’arancione. “Vedi, poi non è ancora del tutto guarito, le parti più scure sono fatte da pelle che piano piano si distaccherà, il disegno diventerà sempre più omogeneo e anche queste piccole pieghe si distenderanno. Col tempo e con molta cura”.

Maria Gloria Roselli

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me resultó muy interesante el enfoque del artículo.
gracias!