E’ il pomeriggio di una domenica di inizio febbraio alla casa del popolo di Porte Nuove a Firenze. La sala si riempie velocemente, le sedie non bastano più, studenti giovanissimi, lavoratori della Montblanc e di altre aziende del territorio – exGKN in primis – sindacalisti, attivisti di varia provenienza entrano, si affollano in fondo, in tanti restano fuori dalla porta. Luca e Francesca, dietro al tavolo, quasi non credono all’ incredibile risposta alla chiamata SUDD Cobas per una assemblea in sostegno della lotta dei lavoratori della filiera Montblanc.
Siamo qui, anche noi di perUnaltracittà, consapevoli che la vittoria ottenuta oggi dal sindacato è importantissima, ma è solo la prima tappa di un percorso che sarà lungo e vedrà la Montblanc -o meglio, il fondo finanziario Richemont – aggredire in altri modi la lotta dei lavoratori. E’ vero, il ricorso presentato al Tribunale Civile di Firenze per un “daspo sindacale”, cioè il divieto a manifestare nel raggio di 500 metri dalla propria boutique, è stato ritirato, e l‘Appello Internazionale a difesa del diritto di sciopero ha raccolto in breve un numero altissimo di adesioni. La campagna di solidarietà ha dunque colpito nel segno, tanto da portare la multinazionale a un primo arretramento.
Ma ci sono ancora due obiettivi fondamentali: Montblanc continua a rifiutarsi di sedere a un tavolo negoziale con chi rappresenta i lavoratori della sua filiera, e non ha ancora ritirato le querele penali nei confronti del sindacato. Questo significa che la vittoria deve essere un motivo in più per sviluppare e allargare la campagna di solidarietà e di convergenza per la difesa del diritto di sciopero e di manifestazione e per la giustizia nelle filiere della moda nella Piana.
Ce lo dice Luca, che apre l’assemblea e sottolinea come chi produce con le proprie mani quelle borse vendute nelle strade del lusso a 3.000 euro l’una deve avere il diritto di raccontare in quali condizioni è stato costretto a farlo. Deve far emergere i ricatti e lo sfruttamento su cui si basa un modello di società che esibisce la merce, e rende invisibili la vita e le storie di chi la produce. Per evitare che il “diritto al consumo” cancelli tutti gli altri e la merce abbia più diritti degli uomini e le delle donne. E invita a esserci nelle lotte, perché i principi democratici non devono rimanere astratti, ma farsi pratiche democratiche.
Francesca ripercorre le tappe di una lotta iniziata nel 2022 con la rivendicazione di una giornata lavorativa di 8 ore, contro quella “normalizzata” di 12, e una settimana lavorativa di 5 giorni, contro i 7 a cui molti erano costretti. Molti i momenti significativi e vincenti, dalla giornata di convergenza europea del 24 dicembre 2023 contro lo strapotere dei fondi finanziari internazionali, al ritiro del foglio di via dovuto a un semplice volantinaggio davanti alle vetrine del negozio LiuJo al centro commerciale “I Gigli”. E poi scioperi e picchetti. Battaglie vere di lavoratori che, secondo la Questura, sarebbero sintomo di “pericolosità sociale”. E ci ricorda che gli operai della Z Production si sono trovati senza lavoro proprio dopo aver ottenuto i propri diritti dopo anni di turni di 12 ore e paghe da 3 euro l’ora. Le commesse sono state “delocalizzate” a una decina di km per essere nuovamente lavorate in condizioni di illegalità.
Il caso del distretto tessile e moda che da Prato si estende fino a Campi Bisenzio, è eclatante, con decine di capannoni dove invisibili e ricattati lavorano operai tessili e dell’abbigliamento, pellettieri delle filiere del lusso. Qui una vittoria del sindacato ha valore emblematico, ribadisce in diretta streaming Debora Lucchetti, coordinatrice della Campagna Abiti Puliti (www.abitipuliti.org) sezione italiana della Clean Clothes Campaign, coalizione internazionale che da 20 anni promuove i diritti del lavoro nell’industria tessile globale. Che invita a partecipare dal 21 al 23 febbraio a Milano allo Sfashion Weekend, il festival che ribalta la narrazione mainstream della moda e fa luce sullo sfruttamento di persone a ambiente dell’industria tessile globale.
Poi seguono gli interventi di molti e molte che testimoniano il sostegno, la solidarietà e l’impegno a partecipare a questa lotta. Allo sfruttamento più feroce i lavoratori hanno risposto in prima persona organizzandosi in sindacato ed esercitando il diritto di sciopero, proprio in quelle fabbriche che tanti avevano definito “non sindacalizzabili”. Con loro dobbiamo stare, contro lo strapotere delle multinazionali e il loro mantra del “diritto al massimo profitto”. Ricordandoci che in gioco c’è sì il diritto di sciopero e di condizioni lavorative più eque, ma c’è anche una concezione diversa del diritto alla città, che non deve essere la vetrina delle griffes del lusso, ma uno spazio vivo di agibilità sociale.

Ornella De Zordo
