Avvelenare i pozzi. Guerre e ambiente

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Le testimonianze concrete della importante battaglia navale delle Egadi, del 10 marzo del 241 a.C., sono i rostri bronzei delle navi che si affrontarono allora, assieme a pochi elmi, anfore e altro vasellame, tutti recuperati dal fondale marino2. Tali ritrovamenti conseguono anche alla resistenza di alcuni materiali di cui sono fatti gli oggetti superstiti, decisamente maggiore delle strutture naturali o no, che andavano a proteggere o servire: navi in legno, corpi dei combattenti. Perciò tali oggetti si sono potuti individuare abbastanza facilmente all’interno della matrice ambientale marina che li ha accolti e custoditi. Un esempio di ‘scorie belliche’, che il Pianeta ci restituisce a distanza di secoli; ma in questo caso non si osserva alcun turbamento profondo e perdurante dell’ecosistema che fu teatro di quelle lotte, pur cruente.

Da questo e da altri mille possibili esempi si può dedurre che quanto più ‘naturali e semplici’ sono le tecniche ed i materiali per la produzione degli strumenti di guerra, tanto più è facile che le tracce belliche vengano riassorbite dal contesto ambientale in cui l’uomo le ha impresse. Invece, all’accrescersi delle conoscenze scientifiche e tecniche delle società in guerra cresce anche l’impatto ambientale dei sistemi d’arma utilizzati, e più lungo diviene il periodo necessario per il ripristino della complessità naturale originaria dei territori interessati. Di conseguenza saranno maggiori i costi sociali ed economici di questo ripristino (pur se intrapreso con forte motivazione ed accuratezza) e pure maggiori saranno le possibilità di mistificazioni, truffe, oblii più o meno involontari, lungo il suo procedere.

Le riflessioni sul rapporto guerre/ambiente vanno avanti da non troppo tempo, quasi inspiegabilmente, soprattutto tenendo conto dell’impegno che molti attori istituzionali, dell’imprenditoria, della cultura, del mondo no-profit, delle religioni, mettono da parecchio tempo, più o meno convintamente, nello spingere verso il rispetto dell’ambiente naturale. Quindi solo di recente alcune personalità di rilievo, in diversi campi della società italiana, europea e mondiale, hanno esaminato la questione, prendendo posizione e quindi aiutando qualcuno a farsene una propria.

Lo scrittore Amitav Ghosh dedica alla questione un intero capitolo della sua fondamentale opera del 2022 3, a metà fra racconto e saggio storico con chiara motivazione ambientalista. Afferma in apertura (pag. 135): “Che la modernità abbia stabilito una relazione direttamente proporzionale fra crescita economica e combustibili fossili viene spesso riconosciuto. Quel che tende a passare inosservato è che esiste una analoga equazione fra combustibili fossili e guerra. In altre parole, la capacità di un paese di esercitare la forza è strettamente legata alle dimensioni della sua impronta di carbonio, e questo è vero fin dall’inizio del diciannovesimo secolo.”4 E ancora, più avanti: “Una portaerei non nucleare consuma 21.278 litri di carburante all’ora; in altre parole, queste navi bruciano in un solo giorno il fabbisogno annuo di carburante di una cittadina del Midwest. Ma un solo caccia F-16 consuma in un’ora un terzo di tale quantità, circa 6.500 litri. (…) L’aviazione statunitense possiede un migliaio di F-16, e non sono che una piccola parte della loro flotta aerea.”

Per inciso l’ottimo scritto di Ghosh evidenzia, forse maliziosamente, che la consapevolezza esatta della crisi climatica e la conseguente forte preoccupazione ambiental-energetica, da decenni a questa parte, si attestano più ai vertici militari USA che a molti altri. Questi vedono infatti minacciate molte delle loro basi sparse per il mondo dagli effetti del clima impazzito, ed i pur giganteschi budget relativi vengono ormai corrosi dall’enorme impatto economico ed energetico delle attività di quell’ipertrofico esercito. A tutto ciò stanno cercando da tempo di porre concretamente rimedio5, ma evidentemente sfugge a tali vertici militari che la loro stessa attività è la causa dei fenomeni che vanno a contrastare.

Occorre però dare evidenza a ciò che Ghosh mette solo in filigrana nel suo scritto. Cioè che se l’approccio dominante alla produzione, ma anche alla gestione dei rapporti fra stati e società diversi, è quello capitalista ed imperialista, che in tempo di pace (mai presente allo stesso tempo in tutto il Pianeta!) si esprime con le guerre commerciali e finanziarie, lo stesso approccio caratterizza gli scontri bellici. Per cui se il capitale prospera ancora soprattutto grazie alle fonti energetiche fossili, le stesse serviranno ad alimentare l’industri bellica. E se l’energia fossile inquina, l’inquinamento derivante e quello multifattoriale a carico di ogni matrice ambientale aumentano a dismisura quando nei conflitti la parola passa ai cannoni. Quando cioè i belligeranti riconvertono gradualmente la struttura produttiva a fini bellici, sottraendola per giunta, per ovvii motivi di ‘segretezza’, a quel pur flebile controllo civile-normativo che viene esercitato in tempo di pace. Mentre sui territori già si abbattono le molteplici conseguenze delle battaglie.

Quanto scritto o solo accennato da Ghosh conforta comunque il nostro semplice postulato iniziale, col quale si estende lo sguardo al complesso e terribilmente problematico rapporto fra l’uomo, i suoi sistemi di produzione applicati alla soluzione guerreggiata delle controversie fra gruppi e Stati, e l’ecosistema terrestre. E ci dà agio nel proseguire con altre testimonianze in merito.

Il noto giornalista Michele Santoro, in svariate occasioni più o meno collegate alla vicenda del movimento politico che lo vide di recente protagonista, ha denunciato e denuncia con forza i guasti ambientali dati dalle guerre attuali a noi più vicine (ma più quella in Ucraina che l’ec0- genocidio palestinese, con le sue antiche origini). E lo fa ancora quasi in solitudine6, almeno nei media principali italiani ancora fortemente schierati a favore della narrazione unilaterale ‘filo-sio-nato’ degli avvenimenti.

Grazia Pagnotta 7 con un breve scritto su “Il Fatto Quotidiano” del 25 luglio 2024 8 ci offre una valida traccia su quanto siamo stati capaci di infliggere agli ecosistemi terrestri, oltre che agli umani, con alcune delle guerre trascorse le cui conseguenze sono ancora sotto gli occhi di chi le vuol vedere. Scrive infatti: “(…) le guerre essendo distruttrici hanno sempre comportato anche devastazioni di porzioni di natura, devastazioni che sono divenute irrimediabili con le guerre del ‘900 per l’aumentata capacità annientatrice delle armi e per gli accresciuti numeri degli eserciti.” Gli esempi significativi che ricorda li accostiamo a qualcuno dei moltissimi altri possibili, per rafforzare il semplice postulato da cui siamo partiti.

  • 1^ GM e 2^ GM – Inquinamenti e pericoli da inesplosi9, bombardamenti a tappeto (es. Dresda, ma non solo!)10 affondamenti del naviglio militare e civile, in Atlantico, nel Pacifico11 e in altri mari.
  • Bombe H su Giappone, test atomici a scopo di studio e deterrenza (degli USA, sul proprio territorio12, sulle Isole Marshall13 – Bikini, Enewetak – e in Atlantico; dell’URSS sul proprio territorio ‘storico’14 ; della Francia, in Polinesia: Fangataufa, Mururoa15, Algeria – Reggane, In-Ekker 16; della Cina, sul proprio territorio17 … e delle altre nazioni dotate di ordigni nucleari18).
  • Vietnam, bombardamenti aerei sull’ex Nord Vietnam19, disseminazione di crateri delle bombe20, inquinamento da defoliante “agente Orange”21.
  • Guerre del Golfo, inquinamento da materiali bellici vari e munizioni con uranio impoverito, incendio pozzi22.
  • Ex Jugoslavia: Serbia e Kosovo e dintorni – uranio impoverito, infrastrutture rase al suolo, devastazione ambientale23
  • Libia, devastazione di un ambiente e disgregazione di uno Stato.24
  • Afghanistan, dopo i thank dell’URSS tornano i B52 USA, la distruzione non si ferma, non piega gli afghani25, ma segna l’ambiente per sempre.

La grande ma discontinua e disomogenea documentazione dei conflitti anzidetti e di mille altri ancora più o meno noti per quanto devastanti, passati e ancora in corso, dovrebbe permettere di analizzarne le gravi conseguenze ‘non solo militari’ a carico di società e territori interessati (anche se appunto “l’avvelenare i pozzi” si può considerare a tutti gli effetti una metodologia di guerra) tenendo presenti i seguenti parametri:

Pericoli per gli ambienti naturali e antropizzati

  • superficie delle aree degradate in modo indiretto (sversamento di macerie ed escavazioni in aree anche lontane da quelle dei combattimenti),
  • matrici ambientali interessate, nelle loro interazioni
  • specie viventi coinvolte,
  • assetti geomorfologici interessati,
  • ambiti abitativi urbani, periurbani e rurali colpiti.

Ricadute sociali e sanitarie

  • peggioramento dell’aspettativa di vita della popolazione per gli inquinanti diffusi nelle varie matrici ambientali,
  • maggior carico economico e sociale per la presenza di numeri ingenti di feriti,
  • diminuzione della capacità di reddito delle famiglie per la scomparsa o l’infermità grave di capi famiglia maschi,
  • diminuzione della validità dell’assistenza familiare per sovraccarico e stress delle donne superstiti e per la disgregazione dei nuclei familiari,
  • diminuzione della scolarizzazione specialmente per i piccoli,
  • comparsa di attività illecite (malavita, mafie) che sfruttano il degrado socio-ambientale per fruire dei surplus indebiti dalla svalutazione/rivalutazione delle risorse comuni privatizzate/pubbliche.
  • aumento del grado di corruzione, di favoritismi e di clientele dovuto all’assegnazione di commesse pubbliche con procedure semplificate ed accelerate, a trattativa privata (e quindi prive di ‘evidenza pubblica’).

Compromissione dei comparti produttivi interessati dalla riconversione produttiva bellica

  • siderurgia e metalmeccanica pesante,
  • telecomunicazioni, informatica,
  • nuovi materiali,
  • chimica. energia.

(La riconversione sostiene inizialmente settori poco ‘capital & tecno intensivi’, che possano allineare presto le quantità di armamenti necessari. Nei trasporti ritorno massiccio all’endotermico?)

Cenni sulle alterazioni del quadro economico

  • modifiche dei flussi finanziari fra settori produttivi e dei servizi, e fra debiti sovrani degli stati belligeranti e non (ufficialmente e non), all’interno degli schemi di alleanze operanti,
  • cambiamenti della struttura occupazionale della popolazione (flussi di riallocamento della forza lavoro) precarizzazione del lavoro,
  • cambiamenti della capacità di spesa e di risparmio delle famiglie, cambiamenti dei consumi, delocalizzazione delle produzioni non belliche che fuggono dalle aree di guerra.

Con schemi del genere, perfezionati soprattutto nella interrelazione fra le varie voci indagate, si può avere meglio presente il quadro catastrofico delle conseguenze di una guerra, immediate e nel tempo.

Pensiamo che l’analisi, il monitoraggio e la gestione dei guasti ambientali dei siti interessati da combattimenti – o da impianti militari dismessi26 – andrebbero affrontati secondo una metodologia del tutto simile a quella usata nella gestione dei SIN italiani (‘Siti di interesse nazionale’27, e dei corrispettivi internazionali) che si dovrebbe integrare con le valutazioni più fortemente politiche e geo-politiche prodotte negli anni da due importanti iniziative dal basso quali l’Atlante delle Guerre28 ed l’ EJAtlas – Global Atlas of Environmental Justice’29

In tema di siti militari dismessi con il loro carico di pericoli incombenti sulla popolazione anche non vicina, merita ricordare in Toscana il caso del sito CISAM30 presso il Parco regionale di Migliarino San Rossore Massaciuccoli. Qui sorge il reattore nucleare di ricerca RTS-1 “Galileo Galilei” da molti anni in attesa di completo smantellamento, che ospita però altri inquinanti radioattivi di provenienza militare dato che, ad onta del pregio ambientale di quell’area, pare sia destinato a divenire parte del Deposito Nazionale di Rifiuti Radioattivi. Il quadro di grande allarme ambientale locale è ulteriormente aggravato dalle attività della grande e vicina base logistica USA di Camp Darby, sito extra-territoriale italiano a tutti gli effetti, che sono state incrementate di recente ma che sfuggono ancora ad una preciso monitoraggio dato il segreto militare che le copre31.

Gli esempi e le testimonianze citate confermano comunque che la “routine della distruzione32, come la chiamano i pochi attenti studiosi che sul rapporto guerre-ambiente lavorano da tempo, è del tutto connessa con le prassi produttive capitaliste ed imperialiste, pur avendo dinamiche proprie. Grazie a tali dinamiche tale ‘routine’ può addirittura condizionare, indirizzandole, le prassi produttive anzidette, secondo il nostro parere molto meno cauto degli autori citati in nota33.

Infatti, all’interno del blocco produttivo-mediatico militare si cerca solo di superare in potenza e/o efficienza e/o deterrenza gli avversari veri o presunti, tramite la continua scansione – con le varie ‘intelligence’ governative – dei sistemi d’arma e delle strategie militari messe in campo, o solo in progetto, da parte dei più evoluti fra tali avversari. Ciò secondo una procedura parecchio grossolana, a prescindere dai mezzi sofisticati con cui la si persegue, ma assolutamente in linea con le prassi ed i modi del capitalismo liberista, che conta su di una competizione perenne attuata con ogni mezzo e basata su risorse (supposte) infinite.

D’altra parte, per le élites di potere la ‘sicurezza nazionale’ deve essere perseguita con ogni mezzo, onde evitare pericoli esistenziali – veri o presunti – per la forma-stato borghese e per la struttura capitalista della produzione che la sostiene; quindi alla ‘sicurezza’ non possono essere lesinate attenzioni e risorse militari, e alle stesse non devono essere posti quei vincoli normativi e di sana convivenza che valgono per le attività ‘civili’ in tempi ‘normali’. Quindi in molte società in disgregazione in cui i disagi socio-economici, la disuguaglianza, l’incertezza e la paura – veri o percepiti – abbondano, il motore socio-economico e politico diventa lentamente quasi solo quello militare. Il che, per le élites politico-economiche locali, può anche essere una buona occasione per riprendere il controllo e l’indirizzo di interi ambiti produttivi della società, precedentemente dotati di autonomia progettuale ed operativa ma non perfettamente congrui ai propri interessi locali/globali.

Con tale consapevolezza che non richiede ulteriori conferme, e grazie agli abbondanti studi storico-politici che inquadrano le guerre nel solo ruolo risolutorio e/o di innesco di altri conflitti, pare oggi davvero prioritario partecipare alle lotte civili contro il blocco produttivo- mediatico-militare che ha fatto diventare il Pianeta un eterno ‘teatro di operazioni belliche’.

Altrimenti continueremo a restare solo spettatori di tale ‘teatro’… pur arrivando ad essere minacciati sempre più da vicino dalle sue inconcludenti esibizioni di forza distruttiva. E in tali esibizioni potremo solo parteggiare per i protagonisti principali, che continueranno ad ingrassare e ad ingrossare le proprie finanze, con l’effetto sicuro di portare a livelli progressivamente inferiori la qualità di vita del Pianeta, mentre continua a dispiegarsi la nota crisi climatica. Il che renderà possibile, in aggiunta, che il blocco produttivo-mediatico-militare si accrediti anche nel ruolo di fornitore di assistenza civile ed ordine pubblico in occasione delle sempre più numerose ed impattanti calamità naturali, come peraltro già accaduto34.

D’altra parte bisogna pur dire che i gruppi d’azione ambientale e le varie associazioni politico- ambientaliste italiane si sono impegnati nel denunciare la tragica relazione fra guerre e degrado ambientale su di una scala poco diversa da quella locale, anche per la limitatezza delle proprie forze e dei riscontri dall’opinione pubblica. Ma tale denuncia, rinforzata, costante ed estesa a scala globale, resta invece cruciale per l’opposizione al militarismo anche in periodi non bellici.

L’impegno di GreenPeace nella lotta contro il nucleare bellico dopo la 2^ G.M., quello dei NO- Muos contro la stazione di telecomunicazioni militari USA di Niscemi (CL)35, la lotta contro lo sfacelo ambientale dei poligoni militari in terra italiana (soprattutto sardi36) ed il lavoro messo in atto dal gruppo No-Base di Pisa/Pontedera (prima citato in nota) contro l’ampliamento e riconversione ad usi militari di aree di pregio e/o altrimenti valorizzabili per usi civili, sono importanti punti di riferimento. Nonostante ciò si deve constatare la grande difficoltà con cui molte di queste lotte procedono, specie da quattro anni a questa parte; lo smarrimento, la perdita della ‘bussola politica’ che si sono vissuti già in pandemia, hanno impedito e forse ancora impediscono di avere piena consapevolezza di alcune dinamiche militari globali, influenzanti e/o conseguenti a quelle geo-politiche, ma comunque gravemente impattanti sul quadro ambientale.

Basterebbe infatti considerare anche la sola guerra in Ucraina come banco di prova del livello di consapevolezza ambientale di coloro che la dovrebbero avere alta, sia in tempo di pace che di guerra. Davanti alle devastazioni ambientali, subito apprese assieme a quelle umane, pare che non sia scattato alcun allarme speciale, alcuno sdegno furente. Basti tener presente una vicenda per tutte, quella della ‘guerrafondaia verde’ Annalena Baerbock37, che pur avendo sotto gli occhi lo sfacelo umano e territoriale ucraino (e russo!) scatenato da un conflitto (lungamente preparato e fortemente voluto dallo schieramento atlantico, come ormai molti sanno) fa prevalere nel suo ‘ragionamento politico’ solo la cieca fedeltà a quest’ultimo, incurante delle catastrofi che genera da decenni.

Non si è visto nulla di diverso nella quasi contemporanea vicenda palestinese, in cui la giusta attenzione è stata riservata allo scempio umano ed alla protervia sterminatrice soprattutto israeliana, appoggiata dal cosiddetto occidente. Ma molto, molto di più si sarebbe potuto dire sul territorio, costruito e non, devastato da decenni di occupazione militare israeliana, di veri stupri ambientali fatti anche con le orrende colonie sioniste e con l’accaparramento di ogni risorsa, compresa quella idrica, che quell’area del mondo poteva offrire ai suoi prepotenti veri padroni. Pochissimi si sono chiesti quando potranno di nuovo essere abitate e coltivate quelle terre, bevute le loro acque, respirata impunemente la loro aria, dopo i devastanti bombardamenti e le massicce distruzioni terrestri che configurano ormai un vero eco- genocidio38. Sarebbe stato ed è ancora così secondario od ozioso chiederselo, prendendo posizione chiara?!

In definitiva la lotta seria e constante contro il blocco produttivo-mediatico-militare mondiale è l’unico strumento per fermare la devastazione del Pianeta che esso provoca, a conti fatti, in misura molto maggiore e permanente rispetto alle attività non militari e belliche. E poco o nulla possono fare certe velleitarie prese di posizione dell’ONU specie in un periodo di chiara irrilevanza di questo organismo, e che diventano solo pretesti per discorsi inconcludenti in sedi meno autorevoli40.

La suddetta lotta è sempre stata difficilissima ed oggi ancora di più, dato che scontiamo le conseguenze di un letargo politico durato almeno quattro decenni, che forse pensavamo coinvolgesse anche le ‘uniformi’ di casa nostra e dei nostri protettori mondiali. Le quali pensavamo fossero intente, al più, a giochicchiare con la ‘war-gamification’ (in parallelo con la pressante quanto beota ‘gamification’ delle nostre vite) anziché a fare sul serio il loro mestiere al servizio – o alla guida ! – dei soliti potentati politico-finanziari egoisti, miopi ed ignoranti. Ma non è andata così.

Ed è ora di svegliarsi e di fare sul serio anche noi, con tutta l’attenzione, l’acume e l’immaginazione politica di cui siamo ancora capaci, come società civile ben orientata e dissenziente.

Note

  1. Nel linguaggio comune si usa con disinvoltura la locuzione “avvelenare i pozzi”. Essa nasce da quelle terribili prassi ‘collaterali’ agli scontri militari, che li supportano rendendo invivibile un luogo. Si usa in senso figurato per chi o cosa rende impossibile anche con mezzi subdoli, una data azione. Tale frase svela però il cinismo o la distratta superficialità con cui consideriamo spesso le scellerate e gravissime conseguenze ambientali dei conflitti guerreggiati, che investono pesantemente oltre che noi, il nostro ambiente nelle sue parti viventi e non viventi. La usiamo qui, con pudore, perché trattiamo proprio di tali conseguenze. E non vogliamo essere né cinici né superficiali.
  2. Tutto ciò è stato individuato e recuperato a partire dal 2005, grazie alla sapienza e alla capacità organizzativa del grande archeologo siciliano, e amico, Sebastiano Tusa. Tragicamente morto assieme ad altre 157 persone il 10 marzo 2019 su di un Boeing 737 dell’Ethiopian Airlines appena decollato da Addis Abeba, a causa di un difetto dell’aereo.
  3. Amitav Ghosh, “La maledizione della noce moscata – Parabole per un pianeta in crisi”, Neri Pozza, 2022, cap. 10 “Il padre di tutte le cose”.
  4. (ibidem, pagg 136-137) : “Negli anni Novanta, il consumo di carburante annuo delle tre componenti delle forze armate statunitensi è stato di circa 25 milioni di tonnellate, pari ad un quinto del consumo totale del paese, e più del consumo energetico commerciale complessivo di quasi due terzi dei paesi del mondo. Negli anni della guerra in Iraq, le forze armate consumavano ogni anno circa cinque miliardi di litri di petrolio per le sole operazioni in Medio Oriente. Vale a dire, più del consumo annuo del Bangladesh, un paese che ha 180 milioni di abitanti. Queste attività comportano anche altri costi ambientali, perché richiedono l’uso di molti prodotti chimici tossici: diluenti, solventi, pesticidi, eccetera. Di conseguenza il dipartimento della Difesa genera ogni anno 500.000 tonnellate di rifiuti tossici, più delle prime cinque aziende chimiche statunitensi messe insieme, e si stima che le forze armate delle maggiori potenze producano la più grande quantità di rifiuti pericolosi del mondo.”
  5. Di questo passo potranno forse affascinare gli ambientalisti ‘puri’ con la produzione di nuovi tank tutti elettrici quindi ad ‘emissioni zero’… per una ‘guerra sostenibile’?!
  6. A titolo di esempio, fra i molti suoi interventi in pubblico: https://www.youtube.com/watch?v=KvJL6hwFdNQ da minuto 3:10 .
  7. https://www.einaudi.it/autori/grazia-pagnotta/, https://www.donnenellascienza.it/protagoniste/protagoniste-di- oggi/grazia-pagnotta/
  8. Il Fatto Quotidiano, 25 luglio 2024, Test atomici, napalm, uranio: tutte le guerre sono anti-ecologiche, Grazia Pagnotta https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2024/07/25/test-atomici-napalm-uranio-tutte-le-guerre- sono-anti-ecologiche/7635654/
  9. https://www.treccani.it/magazine/atlante/geopolitica/Quanto_inquina_guerra.html apr 2022 (rif a: https://www.groundsure.com/environmental-contamination-and-warfare/ etc., nov 2015): “Considerando solo le munizioni più comuni usate nelle due guerre mondiali, queste contengono piombo, rame, zinco, arsenico, solventi clorurati, esplosivi nitroaromatici. Tutte sostanze molto tossiche. Purtroppo, sono state pubblicate pochissime prove su questo tipo di contaminazione; principalmente a causa delle restrizioni stabilite dai governi nell’accesso al materiale relativo all’impegno bellico. Le guerre odierne ovviamente sono ancora più “segretate”. Negli ultimi anni, alle sostanze citate si è aggiunto, tra l’altro, l’uranio impoverito, utilizzato nelle muni- zioni anticarro perché la sua alta densità consente di sfondare le corazze: i residui radioattivi sono dannosissimi, spesso mortali, per i soldati e per i civili.” , https://www.padovaoggi.it/speciale/ordigni-bellici-inesplosi- risposta-concreta.html nov 2024 , https://www.etraspa.it/area-stampa/comunicati-stampa/un-progetto-ridurre- il-rischio-bellico-residuo nov 2024: “Nel triennio 2021-2023 nel nostro Paese sono stati realizzati più di 7mila interventi di bonifica di residuati bellici con il recupero di circa 95 mila ordigni e 72 bombe d’aereo.”
  10. https://biografiadiunabomba.anvcg.it/seconda-guerra-mondiale/ Contiene un elenco dettagliatissimo dei bombardamenti effettuati durante la Seconda G.M. in Italia ed in Europa, dai belligeranti.
  11. https://www.focus.it/ambiente/natura/i-pericoli-ambientali-dalle-navi-affondate-nella-ii-guerra-mondiale-123- 37171 sett 2010 . Qui, sul costo delle bonifiche delle sostanze inquinanti contenute nei relitti sommersi: “Le questioni più calde sono comunque più di tipo economico che tecnico: nel 1999 Etikin aveva stimato tra i 2.300 e i 17.000 dollari per tonnellata il costo della bonifica, a seconda della profondità. E le nazioni più povere, per esempio la Micronesia, non se lo possono permettere.” , https://www.ohga.it/nel-mar-del-nord-ce-un-eco-mostro- della-seconda-guerra-mondiale-che-continua-a-inquinare/ mar 2023 , https://www.frontiersin.org/journals/ma- rine-science/articles/10.3389/fmars.2022.1017136/full ott 2022
  12. https://it.wikipedia.org/wiki/Test_di_armi_nucleari_degli_Stati_Uniti_d%27America
  13. https://www.rinnovabili.it/clima-e-ambiente/isole-marshall-test-nucleari-contaminate-222/ giu 2016
  14. https://it.wikipedia.org/wiki/Test_di_armi_nucleari_dell%27Unione_Sovietica
  15. https://www.rinnovabili.it/clima-e-ambiente/inquinamento/test-nucleari-francia-polinesia/ mar 2021
  16. https://www.africarivista.it/algeria-test-nucleari-francesi-nel-1960-un-altro-crimine-coloniale/213081/ feb 2023, https://it.wikipedia.org/wiki/Test_di_armi_nucleari_della_Francia , https://it.euronews.com/2022/02/14/test- nucleari-francesi-in-algeria-62-anni-dopo-il-caso-approda-al-tribunale-dell-aia feb 2020, https://www.treccani.it/magazine/atlante/geopolitica/I_danni_dei_test_nucleari_francesi_nei_mari_del_Sud.- html giu 2019
  17. https://it.wikipedia.org/wiki/Test_di_armi_nucleari_della_Cina
  18. https://it.wikipedia.org/wiki/Storico_di_arsenali_nucleari_e_test_per_nazione
  19. https://it.wikipedia.org/wiki/Operazione_Linebacker , https://it.wikipedia.org/wiki/Operazione_Linebacker_II , https://narraredistoria.com/2024/09/05/museo-b-52-della-vittoria-di-hanoi-la-storia-per-immagini-della-scon- fitta-americana-nel-vietnam/
  20. https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S2666017224000270 , https://ars.els-cdn.com/content/ima- ge/1-s2.0-S2666017224000270-gr2_lrg.jpg , https://ars.els-cdn.com/content/image/1-s2.0-S2666017224000270- gr2_lrg.jpg
  21. https://agenparl.eu/2020/08/01/la-triste-eredita-di-agente-arancio-il-disseccante-usato-dagli-americani-durante- la-guerra-contro-il-vietnam/ , https://www.asianscientist.com/2019/03/in-the-lab/vietnam-agent-orange-dioxin- tcdd-contamination/ , https://www.frammentidistoria.com/2024/09/25/lo-spettro-arancione-caduto-dal-cielo-gli- effetti-dellagent-orange-in-vietnam/
  22. https://www.corriere.it/speciali/golfo_90-91/pozzi.shtml “L’incendio dei pozzi di petrolio è stata la strategia adottata da Saddam Hussein nella prima Guerra del Golfo per contrastare le forze alleate: un atto disperato che ha causato un danno economico e ambientale enorme nell’area del Golfo. Nel 1991 Saddam incendiò solo impianti in territorio kuwaitiano: 788 pozzi di petrolio hanno bruciato per mesi, anche dopo la conclusione di Desert storm. Per bruciare un pozzo è sufficiente farne saltare la «testa», una sorta di grande valvola. A quel punto parte un potente getto di petrolio e gas naturale, ad una velocità che può superare i 100 metri al secondo. [Poi] è sufficiente accostare una fonte di calore e il pozzo prende fuoco. Si tratta di un’operazione realizzabile con una semplice ruspa, per «stappare» il pozzo e con un lanciafiamme per appiccare il fuoco. Nel ’91 lo spegnimento dei pozzi cominciò al termine delle operazioni militari rendendo l’operazione più difficile. Durò per diversi mesi. Ad agosto 1991 alcuni incendi non erano ancora stati domati. Il disastro economico e ambientale fu enorme: si calcola intorno agli 80 miliardi di dollari.”
  23. https://www.peacelink.it/disarmo/a/2381.html, https://www.peacelink.it/disarmo/a/2382.html , https://www.u- nep.org/topics/disasters-and-conflicts/country-presence/kosovo , https://www.unep.org/resources/assessment/kosovo-conflict-consequences-environment-and-human-settlemen- ts
  24. https://ilmanifesto.it/perche-la-nato-dieci-anni-fa-demoli-la-libia
  25. https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/09/20/afghanistan-iraq-e-libia-in-guerra-perde-pure-lam, https://wow.area.pi.cnr.it/la-guerra-ha-devastato-lambiente-dellafghanistan-e-la-salute-del-suo-popolo/
  26. https://derivesuburbane.it/infrastrutture/caserme-basi-militari/ex-base-nato-proto/ , https://ascosilasciti.com/it/2020/01/01/bunker-radioattivi-abbandonati-fotografi-scoperto-segreti/ , https://ascosilasciti.com/it/category/edifici-abbandonati/forti-abbandonati-strutture-militari-incuria-sprechi-statali/
  27. https://www.isprambiente.gov.it/it/attivita/suolo-e-territorio/siti-contaminati/siti-di-interesse-nazionale-sin , https://sinacloud.isprambiente.it/portal/apps/webappviewer/index.html?id=e3ff235c39174e9196c8612dabe49892
  28. https://www.atlanteguerre.it/
  29. http://www.ejolt.org/ , https://it.ejatlas.org/ , https://it.wikipedia.org/wiki/Environmental_Justice_Atlas , https://asud.net/progetto/atlante-italiano-dei-conflitti-ambientali/ , https://cdca.it/wp- content/uploads/2015/03/scheda-atlante.pdf
  30. https://it.wikipedia.org/wiki/Centro_Interforze_Studi_per_le_Applicazioni_Militari , https://www.arpat.toscana.it/temi-ambientali/radioattivita/cisam/smantellamento-reattore/storia-del-cisam , https://www.legambientepisa.it/reattore-nucleare-a-san-piero-storia-e-situazione/ , https://nobasecoltano.it/la- base-nel-parco-e-la-responsabilita-di-aprire-spazi-di-pace-in-tempi-di-guerra-appunti-sul-presidio-dei-tre-pini-a-san- piero-a-grado/
  31. https://unacittaincomune.it/mozione-piano-di-sicurezza-per-la-pericolosita-della-base-di-camp-darby/
  32. Andrew K. Jorgenson, Brett Clark e Jeffrey Kentor, “The Temporal Stability an the developmental differencies in the Environmental Impacts of Militarism: The treadmill of destruction and Consumption-based Carbon Emis- sions, in Sustainability Science, XI, 2016, p. 507 . Citato in nota n.5, pag 303, di “La maledizione della noce moscata…” di Ghosh.
  33. “Sebbene l’economia e le forze armate siano interconnesse” scrivono Jorgenson e Clark “gli studiosi della routine della distruzione osservano che le forze armate hanno una propria dinamica espansiva indipendente che crea specifici problemi ambientali. (…) Gregory Hooks e Chad L. Smith, appartenenti alla stessa scuola di pensiero, scrivono: “Non intendiamo affermare che la routine della distruzione sia la routine dominante, e non riteniamo che la routine della distruzione sia isolata dalla routine della produzione. Crediamo tuttavia che la corsa agli armamenti e la mobilitazione in tempo di guerra differiscano in modo sostanziale dalle dinamiche routinarie all’opera nelle attività commerciali”, in “Treadmill of Production and Destruction: Threats to the Environment Posed by Militarism” in Organization & Environment, XVIII, n.1, marzo 2005, p. 23. Citato in nota n.16, pag 303, ibidem
  34. Lo scritto di Ghosh evidenzia la crescente militarizzazione degli interventi umanitari nel caso di eventi straordinari connessi con la crisi climatica, che invece dovrebbero essere affrontati dagli apparati dedicati e specializzati esistenti in seno alla società civile. I militari traggono da ciò una ancora maggiore loro legittimazione ad esistere, ed in più vanno ad occuparsi di crisi ambientali innescate, non tanto indirettamente, proprio dal loro ‘sistema dentro il sistema’ (pagg. 143-144).
  35. https://www.nomuos.info/cose-il-muos/
  36. https://www.today.it/cronaca/stop-poligoni-militari-sardegna.html , https://www.unionesarda.it/news- sardegna/la-sfida-moderna-della-legge-del-popolo-sardo-gqwp91m5 , https://lavialibera.it/it-schede-1591- militarizzazione_sardegna_denuncia_bruxelles
  37. Non si pensa solo qui e in tal senso alla scandalosa condotta politica della Baerbock e dei Verdi tedeschi che la sostengono. Un esempio fra tanti: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-guerrafondaia_e_bugiarda_con- testato_ministro_degli_esteri_tedesco_per_invio_armi_allucraina/45289_46137/
  38. https://www.ilfattoquotidiano.it/2024/01/09/gaza-oltre-alla-tragedia-umana-il-disastro-ambientale-in-due-mesi- di-bombardamenti-emesse-281mila-tonnellate-di-co2/7405181/
  39. https://www.limesonline.com/limesplus/la-sporca-guerra-conflitti-e-ambiente-14655514/ “Non potrà mai esistere una guerra pulita, ma la valutazione post-conflitto dimostra come i danni ambientali durante il conflitto possano essere drasticamente ridotti. La comunità internazionale deve far sì che i civili non soffrano dei danni ambientali provocati dalla guerra. Analisi come quelle condotte dall’Unep nei Balcani fungono da esempio e devono essere seguite da interventi di bonifica concreti ed efficaci. È forse giunto il momento di riprendere in considerazione il bilancio costi-benefici degli attacchi agli insediamenti industriali, che come risultato portano senza dubbio all’inquinamento dell’aria e dell’acqua.”

 

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Antonino Prizzi

arch. Antonino Prizzi. Esperto in pianificazione del paesaggio e gestione delle risorse culturali. Per 25 anni crea partenariati nazionali e internazionali su innovazione e temi sociali. Ha creato NETSUS – Network for Sustainability. Già imprenditore/artigiano, ha poi progettato restauri di monumenti e redatto con altri il Manuale di Recupero del Centro Storico di Palermo e il Piano Paesaggistico della Sicilia. Scrive su temi politici e ambientali, supporta movimenti di base per una società più giusta e solidale.

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