“Questo genocidio viene commesso a causa della terra, per la terra. Israele vuole la terra senza i palestinesi. E per i palestinesi rimanere sulla terra fa parte di ciò che sono come popolo. Ecco perché lo chiamo genocidio di cancellazione coloniale”.
Questa frase potente pronunciata da Francesca Albanese, Relatrice speciale sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati dal 1967, è anche uno degli slogan della campagna “No ai Prodotti Israeliani nella Grande Distribuzione”, sostenuta da una rete di più di 160 associazioni in 5 regioni (Emilia Romagna, Lazio, Lombardia, Marche, Toscana), tra le quali molte riunite in coordinamenti cittadini per la Palestina che è riuscita in una impresa davvero eroica: quella di convincere Coop a rinunciare ai prodotti israeliani come forma di pressione e di protesta per il trattamento disumano della popolazione civile inerme nella striscia di Gaza e in altre parti della Palestina. Ma andiamo per ordine.
A maturare questa campagna è stato, nell’aprile 2024, un primo gruppo di socie e soci COOP che avevano segnalato alle loro associazioni che negli scaffali erano esposti prodotti israeliani. È una pratica nota a chi conosce il consumo critico, una forma di consapevolezza e pressione che conosciamo da quando Francuccio Gesualdi, allievo di Don Milani, all’interno del Centro Nuovo Modello di sviluppo s’inventò la Guida al Consumo Critico, il manuale che spiega quali sono i parametri per valutare quel che acquistiamo da molti punti di vista (etico, ambientale, politico) cosicché ciascuno di noi possa orientare le scelte e far pesare il proprio potere di “consumatore”. Nel 1999 il Centro Nuovo Modello di Sviluppo organizzò – con la collaborazione di tante realtà organizzate laiche e cattoliche – una forte pressione su Coop con l’invio di montagne di cartoline da parte di soci e consumatori, affinché pretendesse da Del Monte un miglioramento drastico delle misere e pericolose condizioni di lavoro nelle piantagioni di ananas. La campagna si chiamava “DICIAMO NO ALL’UOMO DEL MONTE” . Coop reagì immediatamente, inviando una commissione nella piantagione del Kenya; gli ispettori confermarono le accuse e Del Monte è stata messa alle strette: o correggeva il suo comportamento, o perdeva Coop come cliente. E la situazione migliorò.
I promotori della campagna hanno ritenuto necessario insistere con tutti gli strumenti a disposizione affinché Coop rinunciasse a fornirsi di prodotti alimentari israeliani, particolarmente simbolici proprio perché “il sistema agricolo israeliano è totalmente e organicamente complice dei crimini dello stato israeliano – come scrivono nei loro materiali i promotori della campagna – Si tratta di un progetto di colonizzazione basato sulla sottrazione di terra e di risorse idriche alla popolazione palestinese attraverso attacchi violenti di coloni fanatici armati e dell’esercito israeliano. Allo stesso tempo, la terra e l’agricoltura sono fondamentali per la resilienza e resistenza del popolo palestinese e rappresentano un elemento fondante dell’identità palestinese, come per tutti i popoli colonizzati”. Mentre in Palestina si fa la fame e si muore, qui da noi aziende come Coop hanno scritte nei loro statuti parole bellissime su valori e diritti: diritti dei bambini, diritti delle donne, diritti dei lavoratori. Ma – per fare un esempio – i palestinesi che lavorano in Israele vivono una condizione effettiva di apartheid, come sostenuto dalle maggiori organizzazioni per i diritti umani come Humans Rights Watch, Amnesty International, B’Tselem. Mentre ogni cittadino israeliano è libero di spostarsi e di esprimere il suo parere, ai lavoratori palestinesi in Israele viene arbitrariamente impedito di spostarsi e di esprimere le loro idee sull’occupazione dei territori e sulle stragi di civili in corso. In alcuni casi è bastato un post che esprimesse pietà per essere sospesi, bullizzati, aggrediti. Il problema non è solo Coop, ovviamente.
Supermercati come Carrefour, Esselunga o Conad sono altrettanto sotto osservazione per i prodotti israeliani proposti sugli scaffali, ma c’è una differenza: se è vero che “la Coop sei tu”, se è vero che contiamo qualcosa come consumatori e soci, allora Coop deve tener conto delle richieste di coerenza e giustizia che arrivano dalle assemblee. E una fitta serie di assemblee sono state indette dai soci Coop impegnati sul tema, e sono state vivaci e partecipate anche numericamente da persone che solidarizzano con la campagna e chiedono che si rimedi a questa situazione.
Oltre alle assemblee i promotori hanno tentato con ogni mezzo di essere ascoltati attraverso volantinaggi e presidi, sono spesso entrati e hanno fatto chiamare i direttori responsabili per fare domande sui prodotti e sulla loro origine, hanno usato anche i megafoni davanti agli scaffali dove erano in vendita le famigerate noccioline israeliane a marca Coop, e la tahina, una crema di sesamo sempre più utilizzata anche in occidente. Entrambi questi prodotti è possibile che provengano dai terreni rubati ai palestinesi nelle occupazioni illegittime, sostengono i promotori della campagna.
Coop inizialmente in queste occasioni di denuncia all’interno dei supermercati aveva fatto intervenire la security e l’atmosfera si era surriscaldata ma le cose si erano sempre stemperate quando il personale stesso ammetteva di non essere adeguatamente informato e spesso finiva con il solidarizzare con i manifestanti.
Dopo questi episodi sempre più numerosi COOP aveva risposto ufficialmente con una lettera dai toni pilateschi nella quale sosteneva di non aver “mai boicottato” e che “ciascuno è libero di fare le sue scelte”. Ma chi entra alla Coop pensa che qualcuno abbia lavorato per offrire prodotti eticamente migliori di quelli che si trovano in altri supermercati – avevano risposto i promotori della campagna – E poi che significa lasciare al singolo la scelta? Se il singolo volesse un prodotto che finanzia un genocidio Coop glielo metterebbe forse a disposizione?”
La storia di questa campagna ha avuto un esito positivo: il 30 maggio Unicoop Firenze ha comunicato pubblicamente lo stop alla vendita dei prodotti provenienti da Israele nei suoi punti vendita. Una scelta maturata dopo mesi di mobilitazioni, perché – ha affermato Coop – “un segnale va dato”. Finite le scorte, le arachidi israeliane non saranno più presenti sugli scaffali a marchio Coop e verranno sostituite da un prodotto egiziano. Ai compratori, Coop ha dato mandato di cercare prodotti alternativi a quelli israeliani, inclusa la famigerata salsa israeliana Tahini. Finalmente la presidente di Unicoop Firenze Daniela Mori, interrogata esplicitamente in assemblea su quanto sopra, ha confermato attenzione e vicinanza alla tragedia palestinese. Non possiamo ignorare la fatica di Coop nel maturare questa decisione: c’è il libero mercato e si compete con altri supermercati che vendono di tutto. Ma non possiamo nemmeno ignorare che è stata necessaria una mobilitazione straordinaria da parte dei soci e delle socie, e che la dichiarazione è arrivata quando ormai la situazione a Gaza e in Cisgiordania è arrivata a livelli così imbarazzanti e insostenibili da trasformare in complicità omicida qualsiasi posizione“super partes”.
Abbiamo chiesto ai promotori della campagna cosa rispondono a chi obietta che non sarebbe giusto sovrapporre le aziende israeliane con il governo Netanyahu. A questa obiezione risponde un parere della Corte internazionale di giustizia del 19 luglio 2024, al Paragrafo 278 dove la Corte esplicita “l’obbligo di astenersi da relazioni commerciali con Israele che possano contribuire o consolidare la situazione illegale creata da Israele nel Territorio Palestinese Occupato”. Le entrate fiscali che derivano da quelle aziende – chiariscono i promotori – vengono utilizzate dal governo per comprare armi e finanziare le guerra. Si chiama “finanziamento indiretto della guerra”: per molto meno l’Europa e gli USA hanno posto sanzioni alla Russia o a Cuba.
La Coop ha dovuto mettersi una mano sulla coscienza e rimediare all’evidente incoerenza rispetto al suo stesso statuto, assumendosi le sue responsabilità.

Camilla Lattanzi

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Finalmente la Coop si è decisa io ho scritto tre volte a proposito della complicità implicita con Israele vendendo prodotti di quello sciagurato paese solo la prima mi è stato risposto pilatescamente che Coop rispettava la sensibilità dei suoi consumatori. Le altre due silenzio. Ora finalmente una risposta per tutti. Ma ce n’è voluto!