Quando il rispetto dei diritti non paga: l’ascesa del populismo di destra in Germania

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Pericolo di estrema destra in Germania? Non ancora, ma i segnali non sono tranquillizzanti. Partiamo dal fatto del giorno: l’affermazione elettorale del partito AFD alle elezioni regionali dello scorso fine settimana. E partiamo dal significato dell’acronimo: Alternative Für Deutschland (Alternativa per la Germania). Che tipo di alternativa propugna la nuova formazione? Al momento della sua creazione, nel mese di febbraio del 2013, in pochi si si sarebbero aspettati che alla destra della CDU – il partito della Cancelliera Merkel – una nuova formazione potesse trovare spazio politico. Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, infatti, il partito cristiano-democratico tedesco si è sempre fatto carico dell’integrazione delle figure politiche più significative del panorama di quella destra non così estrema da essere messa al bando dalla Corte AFD per altracittàCostituzionale,  ma nemmeno così moderata da non creare problemi di rappresentanza all’interno della CDU.

Nei  primi anni Cinquanta vennero messi al bando i due partiti alle due ali estreme: il partito comunista da una parte, e quello di estrema destra, dagli aperti richiami filonazisti, dall’altra. L’estrema destra si è poi nel corso del tempo riorganizzata. Sul versante partitico lo ha fatto dando vita a formazioni che non sono mai riuscite portare eletti nel Parlamento federale. Sul versante non partitico, invece, la destra radicale ha dato vita a piccoli gruppi molto più difficili da controllare, che infatti si sono nel corso degli anni resi protagonisti di attacchi rivolti a immigrati (i roghi agli ostelli abitati da migranti a Rostock e Hoyerswerda nel 1991, per citare alcuni degli episodi più eclatanti) o hanno creato reti organizzative violente (vedi il recente scandalo della cosiddetta “Banda del Kebab”, NSU – Nationalsozialistischer Untergrund) responsabili di una serie di omicidi compiuto tra il 2000 e il 2006 inizialmente attribuiti a regolamenti di conti interni alle comunità di migranti turchi, e in realtà  frutto di una pianificazione politica del gruppo non denunciata da una parte dei servizi segreti, che pure ne era a conoscenza.

Questo doppio livello, partitico e movimentista, si sta riproponendo in questi ultimi mesi in maniera virulenta catalizzandosi attorno alla questione della cosiddetta “crisi dei migranti”. L’AFD infatti, al momento della sua nascita, si caratterizzava per le posizioni anti-UE. Si AFD per altracittà2trattava di un euroscetticismo sui generis, dato il prospero stato di salute dell’economia tedesca e la posizione di vertice della Cancelliera Merkel alla guida dell’Unione Europea.  La AFD proponeva posizioni spiccatamente antieuropee, con una critica rivolta in primo luogo alle élites di Bruxelles e all’euro. Il partito ha mancato per un soffio la soglia del 5% che le avrebbe garantito la rappresentanza parlamentare alle elezioni legislative del 2013, ed ha poi raccolto il 7,1% alle europee del 2014.

Cosa ha permesso il balzo elettorale della AFD lo scorso fine settimana? (15,5% nella ricca regione del Baden Württemberg,  12,6% in Renania Palatinato e addirittura 24,2% in Sassonia?). La risposta è presto detta: la crisi dei migranti, l’incapacità dell’Ue di trovare – ma forse di cercare- una posizione comune, e la parziale apertura della Cancelliera Merkel nei confronti dei richiedenti asilo dello scorso agosto.

A luglio dello scorso anno, intuite le possibilità di raccogliere maggiori consensi attraverso lo sfruttamento della tematica identitaria  e anti-immigrazione, il partito ha cambiato corso. Durante il tesissimo congresso straordinario, il fondatore del partito, professore di economia dell’Università di Amburgo, Bernd Lucke, noto per le sue posizioni conservatrici in ambito economico e finanziario, è stato sostituto da Frauke Petry, dell’ala ultranazionalista, che con toni populisti e non disdegnando dichiarazioni della più classica destra xenfoba (per il controllo delle frontiere contro i migranti clandestini  la polizia dovrebbe – come ultima ratio – anche “fare uso anche delle armi”)  ha cavalcato l’onda della paura nei confronti del diverso.

I voti che la AFD ha conquistato sono stati sottratti prevalentemente alla SPD, ai Verdi, e in parte minore alla CDU. Ma soprattutto la AFD ha portato a votare i precedenti astenuti. Che la rimobilitazione elettorale passi attraverso lo sfruttamento di tematiche nazionaliste e xenofobe non è affatto un buon segnale. Segnale anche peggiore è che il voto espresso alla AFD sia stato facilitato da un clima di opinione già influenzato negativamente dalle tematiche del risentimento espresse da un movimento di destra dal nome  PEGIDA (Patrioti europei contro l’islamizzazione dell’Occidente), che agisce prevalentemente con manifestazioni in strada e attivismo sui social network.

I numerosi commenti che sottolineano le dimensioni tutto sommato limitate del calo di voti per la CDU alle elezioni regionali non possono però nascondere un dato molto più significativo. In occasione delle elezioni parlamentari del 2013 la Cancelliera aveva registrato uno dei più alti indici di gradimento espressi a favore di un Cancelliere. Dopo le decisioni assunte da Merkel sulla politica di accoglienza dei richiedente asilo, la percentuale è fortemente calata.

Evidentemente il ruolo di guardiana dell’austerity paga più di quello della salvaguardia dei diritti dei migranti. Si tratta ancora una volta di un brutto segnale che indica il rischio di radicamento di un partito populista di destra nello scenario partitico tedesco, che finora ne era rimasto immune.

*Giorgia Bulli

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Giorgia Bulli

Giorgia Bulli, ricercatrice in Scienza Politica presso l’Università degli Studi di Firenze, Scuola di Scienze Politiche. Si occupa da anni di estrema destra in Italia e in Europa. Insegna “Comunicazione Politica ed elettorale” e “Analisi del linguaggio politico”. Collabora con la Humboldt Universität di Berlino, dove insegna e svolge ricerca su questi temi.

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